Al Meeting di Rimini Paolo Rumiz ha raccontato l’Europa benedettina

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Al meeting dell’amicizia tra i popoli, svoltosi a Rimini, i giovani si sono interrogati sul significato di Europa con il giornalista Paolo Rumiz, che ha viaggiato per raccontare guerre come quelle nei Balcani e in Afghanistan; mentre il suo ultimo viaggio in Europa si è trasformato in un percorso attraverso 14 monasteri raccontati con il titolo ‘Il filo infinito’, quello che lega il monachesimo benedettino all’Europa di oggi.

Lo scrittore ha raccontato la genesi del libro, nato dall’esigenza di narrare il terremoto di tre anni fa: “E’ un’idea che si sviluppò quando ebbi occasione di viaggiare lungo la linea di faglia di un paesaggio sismico, ma unico al mondo per la bellezza, gli Appennini. E scendendo a Norcia, a Camerino, vidi l’oscenità di queste case sventrate, ancora aperte nella loro intimità. Fui folgorato dalla celeste bellezza piegata dalla forza del sottosuolo.

Ma la più grande impressione fu vedere, nel cuore di Norcia distrutta, la statua del santo con la scritta ‘Patrono d’Europa’ ergersi ancora intatta. Cosa mi indicava, era forse un gesto come per dirmi cosa potesse essere utile per questa Europa allo sbando? Quella notte non feci altro che approfondire la storia di quest’uomo, e la sua opera mi apparve come qualcosa di straordinario e di inaudito in quel VI secolo, il più buio della sua storia, in cui l’Europa era attraversata da milioni di barbari, non ‘quattro gatti’ come quelli che oggi attraversano il mare”.

San Benedetto, ha aggiunto Rumiz, veniva da una terra sismica, ed era un uomo abituato a lasciare la propria residenza. Fece nascere una rete civiltà, costituita dai monasteri che erano luoghi d’eccellenza, collegati tra loro da cammini atti anche alla sosta, luoghi dove si pregava, si lavorava e si viveva con gioia. Nelle immagini più antiche dell’Ordine San Benedetto è pertanto mostrato con la zappa in mano, a riconoscere la santità del lavoro.

La sua fu una visione ‘tellurica’ del sacro, uno spaesamento tra il celeste e il buio più profondo che fece nascere una visione del mondo che attuava in pieno il Cristianesimo. Quindi ha spiegato l’attualità benedettina attraverso alcuni esempi: “Ad esempio l’accento posto nella valorizzazione del paesaggio sul ‘genius loci’, che fosse quello dell’agricoltura, della produzione vinicola, o della salvezza dei codici antichi… Anche se forse non ce ne rendiamo conto, siamo immersi in un paesaggio benedettino.

Tutti, bussando alla porte dei monasteri, potevano essere accolti. Erano migranti loro stessi. San Colombano venne dall’Irlanda agli Appennini. La rinascita dell’Italia è stata frutto di una risistemazione razionale e perfetta della linea di faglia che attraversa l’Appennino.

Anche il canto, insieme alla semplicità dei gesti, era un elemento importante che colpiva i barbari, perché attraverso la voce si sentiva che c’era un mondo nuovo e faceva pensare a coloro che venivano da lontano… Un santo perimetro che non era chiuso in sé stesso, ma fatto per accogliere Colui che viene”.

E proprio da Norcia è partito il viaggio di Rumiz; da quella scritta visibile a Norcia: ‘san Benedetto patrono d’Europa’: “Di abbazie ne ho visitate quindici; le ho scelte perché ognuna è diversa dall’altra, ognuna abbazia declina a modo suo la regola, si specializza in qualcosa e porta avanti quel disordine democratico che caratterizza l’ordine. Perché all’interno dell’abbazia l’autorità è dell’abate che però ha il dovere di ascoltare tutti, di incontrare per discutere”.

Quindi un viaggio sulle orme di san Benedetto per non perdere la memoria: “Perché siamo un Paese senza memoria, e non avendola abbiamo perso il senso di noi. Non si percepisce che le regola benedettina ha lasciato, con Roma, una traccia profonda nella nostra storia europea. Non siamo consapevoli della nostra storia e non siamo capaci di interpretarne, leggere, le tracce… E nel paesaggio benedettino, in quello spazio naturale che circonda i monasteri esiste un equilibrio ecologico, una attenzione a che tutte le componenti fossero in ordine e in relazione che dona sempre un senso di serenità”.

Da questa nuova visione nasce la regola benedettina: “La regola infatti non si limita solo all’ora et labora, ma aggiunge anche ‘et lege et laetitia’. Ovvero la cultura e la letizia, e io sono assai affezionato a quest’ultimo, al dovere della letizia, che non è la rivendicazione del diritto alla felicità, ma piuttosto un dovere verso il mondo. Una condizione di vita che si instaurava all’interno della vita comunitaria monastica che oggi invece andiamo a ricercare forzosamente, ma non sappiamo trovare”.

Al termine del racconto ha provato ancora una volta a far comprendere il significato del suo viaggio: “Ho appena concluso un viaggio nei monasteri del Continente, e vi ho ritrovato tanti valori perduti, massacrati dalla modernità consumistica, valori che lì ritrovavano il loro ultimo, disperato rifugio.

Cose inestimabili come convivialità, accoglienza, preghiera, canto corale, manualità, attaccamento ai luoghi, ritualità, lettura, cortesia, leadership attraverso l’ascolto. Persino la democrazia. E il silenzio, il grande guardiano di bocche sempre pronte a lanciare parole ostili. Ho trovato grandiosi presìdi dello spirito circondati dal frastuono del nulla. Minacciati non da orde islamiche, ma dalla nostra corsa alla liquidazione di una civiltà”.

E così termina anche il reportage: “Il viaggio è finito. Per un mese ho girovagato non solo per monasteri ma attraverso i valori fondanti dell’Europa. Laboriosità, silenzio, invenzione, accoglienza, canto e, perché no, democrazia nel rapporto fra genti. Valori innegabilmente cristiani e innegabilmente opposti a quelli dei farisei che agitano il Vangelo nei comizi.

Nei santi perimetri delle tue abbazie, Benedetto, ho trovato sempre un approdo sicuro, una difesa dal vociare demoniaco, dal disorientamento delle coscienze e dall’egoismo materialista che ci circonda. Non so cosa resterà di tutto questo. Forse un mondo millenario sarà travolto dal Globale con la complicità dei professionisti della paura. Sono preoccupato per l’Europa. Ma so anche che abbiamo il dovere della speranza. E che tra le montagne di Benedetto si nascondono la formula e il mistero della rinascita”.

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