Dal Meeting di Rimini uno sguardo nel mondo

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‘In Siria la guerra continua: le sanzioni imposte al paese hanno effetti devastanti soprattutto per i più deboli’: con questo annuncio, Andrea Avveduto, giornalista e responsabile della comunicazione dell’Associazione Pro Terra Sancta, ha introdotto al Meeting riminese i protagonisti del progetto ‘Aleppo: un nome e un futuro’, per il sostegno ai bambini orfani e abbandonati, con gli interventi di mons. George Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo; p. Firas Lutfi, responsabile Terra Sancta College e Franciscan Care Center di Aleppo, e Binan Kayyali, direttrice Franciscan Care Center di Aleppo, con un video-collegamento dal Franciscan Care Center, di Mahmoud Akkam, muftì di Aleppo, che ha parlato dell’amicizia nata dalla collaborazione, frutto della moderazione:

“E’ il contrario dell’estremismo. La moderazione è il tentativo di realizzare la giustizia, il tentativo di dare a ogni uomo il suo diritto”. Dopo la proiezione di un breve video, che ha raccontato il contesto di devastazione in cui si trova Aleppo, mons. Khazen ha raccontato la storia di convivenza tra cristiani e mussulmani ad Aleppo:

“La lunga storia tracciata dall’incontro tra San Francesco e il sultano Malik al Kamil ha segnato l’inizio del dialogo tra cristiani e musulmani. Momento decisivo è stato anche il 1965, con la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Allora non la si comprendeva molto, ma se n’è vista l’attualità con la comparsa dei gruppi estremistici”.

Il prelato ha poi continuato considerando come l’estremismo islamico abbia devastato soprattutto i musulmani moderati: “Sulla stessa linea si pone il documento sulla fratellanza umana, derivato dal recente viaggio di papa Francesco negli Emirati Arabi. In esso appare il rifiuto del termine ‘minoranza’, per affermare la dignità di ogni uomo e di ogni credo. Si tratta di una vera conquista per il dialogo”.

Il vescovo di Aleppo ha quindi ripercorso i passaggi decisivi del rapporto con le istituzioni cittadine: “Nel 2012 abbiamo risposto al bisogno concreto di centocinquanta musulmani che avevano perso tutto nei bombardamenti.

Li abbiamo ospitati nel nostro centro e ci siamo trovati a collaborare con le istituzioni musulmane per gestire il loro problema. La gestione con loro era per noi necessaria per non essere accusati di proselitismo. Sulla traccia di questo percorso è nato il progetto ‘Aleppo: un nome e un futuro’”.

Quindi p. Lutfi ha raccontato che, dopo la fine della fase più acuta della guerra, “ci ha mossi il Vangelo di Luca 25, la parabola del Buon Samaritano. L’aver accettato il rischio ci ha portati ad andare a incontrare le persone dell’area est di Aleppo, la più devastata, occupata dagli estremisti che lì hanno vissuto per molto tempo, lasciando donne e bambini orfani, senza nome perché non registrati a nessuna anagrafe.

Dapprima ci ha accolto ‘la distanza di un velo’. Ma dopo tre mesi abbiamo incontrato uno sguardo, un sorriso, un volto: era nata la fiducia che ci ha permesso di continuare”.

Binan Kayyali ha delineato le motivazioni e l’organizzazione del progetto, in quanto lo scopo è quello di ‘lenire le ferite’, fisiche, psicologiche e morali che la guerra ha lasciata dietro di sé.

Il progetto è organizzato in due centri con dipartimenti che si occupano dell’istruzione sia dei bambini che delle loro madri, ma anche della cura dei talenti, insieme a quelle di salute fisica e psicologica: “Questi bambini non hanno mai giocato, hanno vissuto nella paura e nelle violenze”.

Altro incontro che ha contribuito a chiarire l’apporto della cooperazione italiana allo sviluppo in Africa e nel Medio Oriente, è stato sviluppato attraverso 6 reportage girati in varie parti del mondo con la partecipazione di Luca Maestripieri, dirigente dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo Aics, Giorgio Marrapodi, direttore generale della Cooperazione allo sviluppo Maeci.

Il video di più grande attualità è stato ‘Journal Rappe’, il telegiornale di Gunman Xuman e Keyti, due rapper famosi in Senegal, che informa a ritmo di rap i giovani senegalesi sui rischi di una migrazione irregolare.

E’ stato realizzato dall’associazione culturale senegalese Africulturban, nell’ambito di un progetto targato Unesco e Aics sull’accesso ad un’informazione di qualità sui rischi, ma anche sulle opportunità della migrazione in Africa occidentale e centrale, e verso l’Europa. Maestripieri ha molto insistito sull’importanza di questo progetto ‘per evitare che molti giovani continuino ad intraprendere viaggi lungo rotte di morte, controllate dalla criminalità organizzata’.

In Somalia, un paese che ha conosciuto 20 anni di guerra civile, le statistiche dell’Oms parlano di una donna su ventidue che muore di parto. Per questo è nato il progetto ‘Nato in Somalia’ che, in collaborazione con l’Onu, gestisce un ospedale per le donne in stato di gravidanza.

Il Sudan, dove c’è un ufficio dell’Agenzia, vede esperti italiani impegnati a favorire lo sviluppo di comunità rurali e la nascita di piccoli imprenditori agricoli.

Infine l’America Latina è interessata, da anni, da interventi volti a limitare il fenomeno degli incendi boschivi, causati dai contadini che danno fuoco ai campi dopo il raccolto, pensando così di renderli più fertili.

Il progetto si chiama ‘Amazzonia senza fuoco’ e, dopo aver interessato il Brasile, è stato esportato in Bolivia, e successivamente approderà in Ecuador. Si tratta di formare delle brigate di protezione civile in grado di svolgere un’attività preventiva ma anche di immediato intervento in caso di incendi.

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