A Venezia il patriarca invita a scoprire la vita cristiana

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“Santissimo Redentore, mentre scende la sera del giorno della festa a Te dedicata, noi Ti adoriamo realmente presente nella Santissima Eucaristia. Innanzitutto Ti domandiamo la grazia che in tutte le nostre comunità cresca la fede nell’Eucaristia celebrata e adorata. Ti affidiamo le nostre famiglie, le nostre case, le nostre attività e soprattutto gli anziani, i malati, i bambini e i giovani.

La città e la Chiesa di Venezia gioiscano sempre della Tua protezione. Donaci fede, entusiasmo, intelligenza e coraggio affinché sappiamo operare con cuore generoso, disinteressato e libero. Fa’ che la vita umana sia sempre rispettata, da quando palpita nel grembo materno fino al momento del suo naturale spegnersi. Sostieni chi opera e collabora alla difesa e alla promozione della vita.

Dona ai giovani entusiasmo, intelligenza e, soprattutto, un cuore buono. Fa’ che sappiamo tener viva la tradizione di fede delle nostre terre venete, da sempre spazio di libertà, accoglienza e laboriosità. Cresca il rispetto reciproco nei confronti dei più piccoli e dei più fragili, accogliendo e integrando con vera generosità.

Il nostro legittimo desiderio di crescere non diventi mai polemica violenta o sopraffazione degli altri per un malinteso senso di emulazione. Aiutaci, o Santissimo Redentore, a portare gli uni i pesi degli altri. Sostieni chi ci governa affinché il suo servizio sia veramente tale”.

Questa preghiera del patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ha chiuso la festa del Redentore, svoltasi domenica scorsa. Durante l’omelia del Santissimo Redentore mons. Moraglia ha ricordato la finalità della celebrazione: “come ogni anno, in questa basilica del Redentore, la città di Venezia torna in pellegrinaggio per sciogliere il voto fatto al termine della pestilenza che in due anni, dal 1575 al 1577, fece morire più di un terzo della popolazione.

Viene spontaneo domandarsi (al di là dell’aspetto esteriore della festa) quanti, in realtà, la vivono ancora secondo il suo significato originario, seppur nella diversità dei tempi. Celebrare oggi la festa del Santissimo Redentore, secondo la sua intenzione originaria, significa avvertire un bisogno di salvezza e percepire nella vita personale, familiare e sociale tutta la propria fragilità e impotenza”.

Prendendo spunto da una lettera di una giovane il patriarca ha invitato a non dimenticare il senso della vita: “La rivelazione cristiana ci dice che tutto ha origine dalla comunione di tre Persone perfette, uguali, realmente distinte; Dio è questi Tre che si donano da sempre in termini di coscienza, libertà, amore e che sono l’unico Dio. Lui è la Persona per eccellenza e l’unico fondamento possibile. Dio è il senso ultimo, la Persona capace di legittimare tutti gli esseri che non hanno in sé la ragione d’essere”.

Se si dimentica Dio l’uomo è in balia della superstizione: “Se noi smarrissimo il senso del vivere e non sapessimo più rispondere alle domande prettamente umane, allora non sapremmo più rispondere neanche alla domanda ‘chi è l’uomo?’.

Diventeremmo un terreno di conquista per ogni ideologia, per le idee più balzane e le differenti forme di superstizione (a partire dagli oroscopi) e, soprattutto, l’esistenza diventerebbe invivibile; infatti, come si muore se siamo privati del pane materiale, così si muore non fisicamente ma spiritualmente – una morte non meno reale! – se si è privati del significato del vivere”.

Ritornando su un pensiero di Madeleine Delbrel mons. Moraglia ha spiegato che il cristiano percepisce il senso della vita: “Anche gli uomini più disinteressati, di fronte alle domande sul senso della vita, su cosa c’è dopo questa esistenza terrena e se esista una salvezza eterna, appaiono più interessati e partecipi.

Si può ostentare disinteresse e, perfino, supponenza ma se si è personalmente coinvolti e si avverte che la propria vita è realmente minacciata e il rischio è di perdere la vita, allora si parla meno, si ascolta di più e si è interiormente più ben disposti. L’uomo avverte tutta la sua fragilità e bisogno di salvezza quando si sente minacciato nell’integrità fisica o quando avverte di aver smarrito il ‘senso’ e il ‘gusto’ della vita.

Solo chi l’ha provato può dire il dramma di aver smarrito il ‘senso’ e il ‘gusto’ del vivere; è ciò che noi chiamiamo angoscia, ansia, inquietudine o depressione, situazioni di vita che oggi, più che nel passato, accompagnano l’uomo. E ci sarà bene un perché. C’è chi si trova in situazioni personali, familiari o lavorative drammatiche eppure possiede animo, coraggio, voglia di lottare e riesce a trovare la strada per uscire da situazioni impossibili o disperate”.

Infine l’invito a vivere la rivelazione cristiana: “La rivelazione cristiana ci indica una strada che, se per un verso, ribadisce che il tempo non si ferma, dall’altro ci ricorda che tutto rimane, perché la nostra vita è scritta in cielo dove tutto è vivo e attuale…

In questa chiesa (retta dalla Fraternità Cappuccina e dedicata al Santissimo Redentore, tanto cara ai veneziani) impegniamoci allora a vivere di più secondo la spiritualità del Cantico delle Creature, accettando la nostra vita così com’è, con le sue stagioni, la sua primavera e il suo autunno, in modo da gioire della creaturalità. Questo vuol dire apprezzare il piano di Dio, che riguarda anche il nostro corpo, e che ci salva nel Figlio suo Gesù oggi invocato da noi col bel titolo di Santissimo Redentore”.

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