I predicatori dei Papi

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Quando il cardinal Laurent Mosengwo Pasinya è stato chiamato a predicare alla Curia romana gli esercizi spirituali di inizio Quaresima, tutti hanno pensato che il cardinale africano era pronto per il gran salto. Perché l’essere chiamati a predicare alla Curia è un segno di grande stima da parte del Papa. A volte prelude a un più alto incarico, magari a Roma. Altre volte aumenta il peso che le parole del “predicatore” avranno nei dibattiti della Chiesa. Eppure, più che guardare all’incarico o al significato “politico” di questa chiamata, si dovrebbe andare a guardare i temi degli esercizi. In questi casi, la Chiesa non è politica, ma pensiero. I temi raccontano di una preoccupazione generale del Sacro Collegio. La scelta di una persona riguarda anche la consapevolezza che quello che dirà sarà particolarmente importante. È il 1976 quando Karol Wojtyla viene chiamato a predicare gli esercizi spirituali di Quaresima alla Curia romana. È la prima volta che la scelta ricade su un membro del Collegio Cardinalizio.

Il tema scelto da Wojtyla per la sua predicazione alla Curia è “Cristo segno di contraddizione nel mondo”. Segno di contraddizione all’Est, nei Paesi dell’ateismo eretto a sistema. Ma segno di contraddizione anche in Occidente, in una società che faceva a meno di Dio, perciò indifferente alla Chiesa e alla sua morale. È segno di contraddizione anche nella Chiesa. Karol chiede a tutti di guardarsi dentro la coscienza. Ai prelati della Curia come a uomini che hanno nelle mani le sorti del mondo, ai magnati della finanza. Per spiegare il concetto, usa i versi del Riccardo III di Shakespeare. Roma, Anno 1983. Sono due anni che Joseph Ratzinger lavora come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Giovanni Paolo II gli chiede di guidare gli esercizi spirituali di Curia. E lui lo fa con il suo stile, un misto tra teologia e ricerca del mistero. Riflette sul significato della Quaresima, del “deserto” in cui ogni uomo deve entrare per un periodo, per vincere le tentazioni, come ha fatto Gesù.

E allo stesso tempo, c’è negli esercizi spirituali la critica al metodo storico con cui viene studiata oggi la figura di Gesù, ridotto a “personaggio” del passato, confinato in un contesto spazio-temporale che Lo allontana irrimediabilmente da noi, facendoci così perdere di vista la realtà viva e vera della Sua parola. È da lì – ma la riflessione viene da ancora più lontano – che nasce l’esigenza, da parte di Benedetto XVI – di coronare la sua opera con i volumi su Gesù di Nazaret. Salto avanti nel tempo. È il 1997. E a predicare gli esercizi spirituali in Curia viene chiamato Roger Etchegaray, al tempo presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Etchegaray è stato uno degli organizzatori dell’incontro tra le religioni ad Assisi nel 1986, criticato anche dallo stesso cardinale Ratzinger per il rischio di sincretismo religioso. Presenta ai membri della Curia Romana una riflessione incentrata su Gesù “Vero Dio e vero uomo”. E filo conduttore è un pensiero del filosofo francese Blaise Pascal: “Fuori da Gesù Cristo non sappiamo né chi è Dio né chi siamo noi”. Certo è che c’è necessità di guardare alle “cose di lassù”. E lo fa Giacomo Biffi, battagliero ex arcivescovo di Bologna, stimatissimo da Benedetto XVI, che lo chiama nel 2007 a predicare gli esercizi alla Curia. Per Biffi è un bis (aveva predicato gli esercizi anche nel 1989). Tema conduttore è il brano della lettera di San Paolo ai Colossesi: “Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio: pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 1-2).

È un invito sempre attuale. Specialmente in questo periodo in cui le lotte di Curia sono sempre sulle prime pagine dei giornali. Ma, più che alle lotte di potere, si dovrebbe guardare alla sostanza del messaggio cristiano. Un messaggio che è rimasto intatto per 2000 anni, nonostante tutto. Un messaggio che Benedetto XVI sta cercando di tenere vivo. Puntando in alto. E preparandosi per l’Anno della Fede.

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