Cina: a 30 anni da piazza Tiananmen

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Tra il 3 e il 4 giugno 1989, negli stessi giorni in cui in Europa si votava per il nuovo Parlamento europeo, a Pechino finiva il sogno della libertà con la repressione nel sangue della protesta degli studenti che chiedevano partecipazione, diritti e minore della corruzione ma non la fine del comunismo o la caduta del regime.

Però mentre negli Stati europei il ricordo appare un po’ sbiadito da Taiwan è arrivato l’appello del Consiglio per gli Affari continentali, incaricato dei rapporti ufficiali tra Taipei e la Cina continentale, in cui si chiede alle autorità della Repubblica popolare di ‘pentirsi con sincerità’ per la repressione.

Nel frattempo il governo cinese ha aumentato la pervasività della censura su Internet, già molto incisiva e che limita quotidianamente la libertà di espressione dei cinesi. Come ha scritto Reuters, il governo cinese ha adottato sistemi automatici per identificare i contenuti contro il governo, impedendone la pubblicazione.

Chi si occupa della censura, presso le società che forniscono le connessioni a Internet in Cina, ha spiegato che gli strumenti per bloccare i contenuti relativi ai fatti del 1989 hanno raggiunto un livello di affidabilità senza precedenti, anche grazie a sistemi di riconoscimento automatico delle immagini e delle registrazioni vocali.

Le proteste di piazza Tienanmen iniziarono a metà aprile del 1989 e proseguirono fino al 4 giugno dello stesso anno. Organizzate da studenti, intellettuali e operai, le manifestazioni erano nate in seguito alla morte del leader comunista riformista Hu Yaobang e riflettevano le preoccupazioni di parte della popolazione per i rapidi cambiamenti economici nel paese, la corruzione e la mancanza di sufficienti libertà di stampa e di espressione.

Dopo giorni di proteste, le manifestazioni furono represse con la forza il 4 giugno, con l’esercito che sparò sulla folla con fucili e carri armati, causando la morte di centinaia di persone (secondo altre stime, migliaia). La fotografia di uno studente, fermo davanti a una colonna di carri armati, divenne il simbolo dei fatti di piazza Tienanmen, soprattutto per l’opinione pubblica occidentale.

Intanto a Roma è campeggiata una gigantografia di un carrarmato davanti alla quale attiviste e attivisti di Amnesty International Italia si sono posti in gesto di sfida, ricordando l’iconica immagine dell’uomo che per qualche istante fermò l’avanzata dell’esercito cinese in piazza Tiananmen. Infatti in questo modo nel pomeriggio del 3 giugno, nei pressi dell’Ambasciata della Repubblica popolare cinese a Roma, l’organizzazione per i diritti umani ha commemorato il 30^ anniversario del massacro di Pechino del 1989:

“Il 3 e il 4 giugno 1989 a Pechino i soldati aprirono il fuoco contro le manifestazioni pacifiche di piazza Tiananmen e dintorni uccidendo centinaia se non migliaia di persone che chiedevano riforme politiche. Anche quest’anno in Cina è proibito ricordare e commemorare i fatti di Tiananmen. Nelle ultime settimane la polizia ha arrestato, posto agli arresti domiciliari o minacciato decine di attivisti, compresi i familiari delle vittime”.

Durante la manifestazione, le attiviste e gli attivisti di Amnesty International hanno ricordato le richieste che l’organizzazione per i diritti umani continua a rivolgere alle autorità di Pechino: riconoscere pubblicamente le violazioni dei diritti umani commesse a Tiananmen nel 1989; avviare un’indagine pubblica e indipendente e chiamare i responsabili delle violazioni dei diritti umani a risponderne di fronte alla giustizia; risarcire le vittime del massacro del 1989 e i loro familiari; porre fine alle minacce e ai procedimenti giudiziari contro coloro che commemorano o parlano pubblicamente delle proteste del 1989 e coloro che, più in generale, esercitano il loro diritto alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica.

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