Papa Francesco alla Caritas: unità sulle differenze

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Con una celebrazione eucaristica nella basilica di san Pietro papa Francesco ha aperto la 21^ assemblea generale di Caritas Internationalis, chiedendo un’organizzazione ‘in cammino, senza temere gli scossoni della vita’, all’inizio di un’assemblea, pronta ad eleggere un presidente ed un segretario generale, nonché i vertici dello stesso organismo che fa da ombrello a 165 realtà caritative della Chiesa nel mondo, dopo le modifiche agli statuti che nel 2012 papa Benedetto XVI diede a Caritas Internationalis legandola alla Santa Sede, proprio per evitare quella tentazione di efficientismo di accettare sotto l’ombrello dell’organizzazione anche sigle con vedute non del tutto vicine alla dottrina sociale della Chiesa:

“Ecco la tentazione dell’efficientismo, del pensare che la Chiesa va bene se ha tutto sotto controllo, se vive senza scossoni, con l’agenda sempre in ordine, tutto regolato… E’ anche la tentazione della casistica. Ma il Signore non procede così; infatti ai suoi dal cielo non manda una risposta, manda lo Spirito Santo. E lo Spirito non viene portando l’ordine del giorno, viene come fuoco”.

Il papa ha ribadito la necessità di una Chiesa in ‘cammino’: “Gesù non vuole che la Chiesa sia un modellino perfetto, che si compiace della propria organizzazione ed è capace di difendere il proprio buon nome. Povere quelle Chiese particolari che si affannano tanto nell’organizzazione, nei piani, cercando di avere tutto chiaro, tutto distribuito. A me fa soffrire.

Gesù non ha vissuto così, ma in cammino, senza temere gli scossoni della vita. Il Vangelo è il nostro programma di vita, lì c’è tutto. Ci insegna che le questioni non si affrontano con la ricetta pronta e che la fede non è una tabella di marcia, ma una ‘Via’ da percorrere insieme, sempre insieme, con spirito di fiducia”.

Prendendo spunto dal racconto degli Atti degli Apostoli ha sottolineato tre ‘elementi’ decisivi per una Chiesa in cammino: l’umiltà dell’ascolto, il carisma dell’insieme, il coraggio della rinuncia. Ed ha iniziato dall’ultima, spiegando in cosa consiste il ‘coraggio della rinuncia’:

“L’esito di quella grande discussione non è stato imporre qualcosa di nuovo, ma lasciare qualcosa di vecchio. Però quei primi cristiani non hanno abbandonato cose da nulla: si trattava di tradizioni e precetti religiosi importanti, cari al popolo eletto. C’era in gioco l’identità religiosa. Tuttavia hanno scelto che l’annuncio del Signore viene prima e vale più di tutto. Per il bene della missione, per annunciare a chiunque, in modo trasparente e credibile, che Dio è amore, anche quelle convinzioni e tradizioni umane che sono più di ostacolo che d’aiuto, possono e devono essere lasciate”.

Il papa ha evidenziato che compito della Chiesa è quello di evitare il doppio gioco: “Dio purifica, Dio semplifica, spesso fa crescere togliendo, non aggiungendo, come faremmo noi. La vera fede purifica dagli attaccamenti. Per seguire il Signore bisogna camminare spediti e per camminare spediti bisogna alleggerirsi, anche se costa.

Come Chiesa, non siamo chiamati a compromessi aziendali, ma a slanci evangelici. E nel purificarci, nel riformarci dobbiamo evitare il gattopardismo, cioè il fingere di cambiare qualcosa perché in realtà non cambi nulla. Questo succede ad esempio quando, per cercare di stare al passo coi tempi, si trucca un po’ la superficie delle cose, ma è solo maquillage per sembrare giovani. Il Signore non vuole aggiustamenti cosmetici, vuole la conversione del cuore, che passa attraverso la rinuncia. Uscire da sé è la riforma fondamentale”.

Ed i cristiani sono giunti al ‘coraggio della rinuncia’ attraverso l’umiltà dell’ascolto: “Vediamo come ci sono arrivati i primi cristiani. Sono giunti al coraggio della rinuncia partendo dall’umiltà dell’ascolto. Si sono esercitati nel disinteresse di sé: vediamo che ciascuno lascia parlare l’altro ed è disponibile a cambiare le proprie convinzioni. Sa ascoltare solo chi lascia che la voce dell’altro entri veramente in lui.

E quando cresce l’interesse per gli altri, aumenta il disinteresse per sé. Si diventa umili seguendo la via dell’ascolto, che trattiene dal volersi affermare, dal portare avanti risolutamente le proprie idee, dal ricercare consensi con ogni mezzo. L’umiltà nasce quando, anziché parlare, si ascolta; quando si smette di stare al centro… E’ sempre importante ascoltare la voce di tutti, specialmente dei piccoli e degli ultimi. Nel mondo chi ha più mezzi parla di più, ma tra noi non può essere così, perché Dio ama rivelarsi attraverso i piccoli e gli ultimi”.

Infine l’ascolto della vita attraverso il racconto delle esperienze: “La Chiesa fa discernimento così; non davanti al computer, ma davanti alla realtà delle persone. Si discutono le idee, ma le situazioni si discernono. Persone prima dei programmi, con lo sguardo umile di chi sa cercare negli altri la presenza di Dio, che non abita nella grandezza di quello che facciamo, ma nella piccolezza dei poveri che incontriamo. Se non guardiamo direttamente a loro, finiamo per guardare sempre a noi stessi; e per fare di loro degli strumenti del nostro affermarci, usiamo gli altri”.

Tutto questo passa attraverso il carisma dell’insieme: “Infatti, nella discussione della prima Chiesa l’unità prevale sempre sulle differenze. Per ciascuno al primo posto non ci sono le proprie preferenze e strategie, ma l’essere e sentirsi Chiesa di Gesù, raccolta attorno a Pietro, nella carità che non crea uniformità, ma comunione. Nessuno sapeva tutto, nessuno aveva l’insieme dei carismi, ma ciascuno teneva al carisma dell’insieme. E’ essenziale, perché non si può fare davvero il bene senza volersi davvero bene”.

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