Il card. Sandri in Serbia: mantenere l’identità senza costruire muri

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Il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, dopo i funerali del card. Sfeir, si è recato in Serbia per partecipare alle celebrazioni inaugurali dell’Eparchia di san Nicola di Ruski Krstur, creata da papa Francesco elevando l’Esarcato per i fedeli bizantini in Serbia.

Incontrando Sua Santità Irinej ha portato il saluto di papa Francesco, con riferimento a san Giovanni XXIII e santa Teresa di Calcutta, per custodire le buone relazioni tra cristiani di diverse confessioni e di vivere la carità verso i piccoli e i poveri come una via maestra sulla quale possiamo fare già tanto insieme.

Il porporato ha formulato anche gli auguri per gli ottocento anni dell’autocefalia della Chiesa Serba, le cui celebrazioni avranno luogo in autunno. Ha infine spiegato il motivo della sua presenza in Serbia, l’elevazione dell’Esarcato per i fedeli bizantini cattolici ad Eparchia, realtà presente da secoli sul territorio per quanto composta nella quasi totalità da popolazioni provenienti da altri regioni, la minoranza rutena.

In seguito la delegazione vaticana è stata accompagnata nella visita alla cattedrale patriarcale e nel tempio di san Sava, il santo patrono della Chiesa Ortodossa Serba. Infine domenica 19 le delegazioni sono giunte a Ruski Krstur, sede della cattedrale della nuova Eparchia, dove ha avuto luogo la Divina Liturgia Pontificale di proclamazione della nuova circoscrizione.

Nell’omelia il card Sandri ha sottolineato la novità nell’incontro tra Gesù e la Samaritana: “Il Vangelo appena proclamato, che la tradizione bizantina colloca entro il tempo di Pasqua, ci ha mostrato l’incontro e il dialogo tra Gesù e la donna Samaritana: nel contesto liturgico in cui ci troviamo esso evoca diversi livelli di interpretazione.

Il Signore dichiara di aver sete, e chiede alla donna di dargli da bere: sembra che abbia bisogno di qualcosa, e questo gli consente di avviare un discorso che porterà la donna non solo a riconoscere in Lui il Messia, ma a diventare a sua volta discepola ed annunciatrice della salvezza, riordinando la propria vita e il proprio modo di amare e andando a chiamare le persone del suo villaggio dalle quali prima si nascondeva per portarle da Gesù”.

Ed ha sottolineato che tale espressione è detta anche sulla croce: “Anche al termine del Vangelo, sulla Croce, Cristo ripeterà la parola ‘ho sete’, e anche in quel caso più che la mancanza materiale dell’acqua griderà all’umanità il suo desiderio che essa sia salvata. In questo modo si compirà quell’itinerario in cui Gesù non ha mai smesso di nutrirsi del ‘fare la volontà del Padre’, come egli stesso ha detto ai discepoli nel brano appena letto: mio cibo è fare la volontà del Padre”.

Quindi ha esortato i presenti a non dimenticare la propria storia: “Siate lieti e orgogliosi della vostra storia, guardandola sempre colmi di un debito di riconoscenza ma come la Samaritana del Vangelo non spegnete mai l’ardore apostolico: l’acqua del Battesimo deve rimanere in ciascuno di noi sorgente che zampilla per la vita eterna.

E’ il senso del provvedimento che il Santo Padre ha stabilito nei confronti della vostra comunità: riconoscerne la maturità ecclesiale con l’elevazione dell’Esarcato ad Eparchia non va inteso come un premio o punto di arrivo, ma come una responsabilità di presenza cristiana accanto ai fratelli della Chiesa Latina e in apertura disponibile e collaborativa con quelli della Chiesa Ortodossa, come ho potuto assicurare ieri al Patriarca, Sua Beatitudie Irinej nel corso dell’incontro che mi ha gentilmente concesso”.

Ed infine ha sottolineato che le parole rivolte dal papa ai giovani nella recente esortazione post sinodale hanno un valore universale: “Sono parole rivolte ai giovani, ma certamente valgono anche per una ‘giovane’ eparchia come la vostra: il momento di ieri sera ci ha aiutato attraverso la preghiera e la riflessione a ripercorrere le tappe della storia di questa comunità e certamente potremmo approfondirne ancora la conoscenza…

In particolare, in queste terre, crogiuolo di popoli non sempre in grado di vivere l’uno insieme all’altro, che videro nella storia tensioni e guerre, la vocazione civile ed ecclesiale dei Ruteni sia sempre quella di essere artefici e testimoni della bellezza di vivere la comunione nella reciproca diversità.

Il fatto che i ‘rusini’ non abbiano confini nazionali, li aiuti ad essere testimoni nell’oggi che per mantenere l’identità dei popoli non serve costruire muri e barriere; dall’altro, il loro riconoscersi a partire dal Vangelo ci faccia scoprire che esso non può essere brandito contro qualcuno o qualcosa”.

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