Pietro Bartolo racconta l’accoglienza a Lampedusa

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Macerata, su invito del circolo culturale ‘Aldo Moro’, ha ospitato il dott. Pietro Bartolo, che ha presentato l’ultimo libro ‘Le stelle di Lampedusa. La storia di Anila e di altri bambini che cercano il loro futuro fra noi’.

Davanti ad una platea silenziosa e commossa dalle immagini dei profughi, il medico di Lampedusa ha raccontato la sua esperienza professionale e umana nel Poliambulatorio dell’isola, definita da lui stesso come ‘una zattera che ha accolto sempre tutti’, e sul molo Favarolo, il molo della sofferenza ma anche della speranza: “La mia seconda casa. In realtà la mia prima casa perché ho passato su quel molo più giorni e più notti che a casa mia”.

Pietro Bartolo, sempre il primo a salire a bordo per verificare che ci siano malattie infettive gravi, ha ripercorso le stragi in mare, come quella del 3 ottobre 2013 dove morirono 368 persone, ed ha ricordato i morti sui quali è stato costretto a compiere ispezioni cadaveriche, senza essere lui un medico legale:

“Una volta, salito su un peschereccio, dopo aver visitato, uno a uno, i vivi sono passato a ispezionare, uno a uno, i morti che erano già stati posizionati all’interno dei sacchi dai Vigili del Fuoco, e constatare il decesso. Cosa che faccio sempre prima di chiudere i sacchi. E mi accorsi che una ragazza era viva. Dopo un primo soccorso al Poliambulatorio di Lampedusa, la ragazza è stata trasferita all’ospedale di Palermo, dove dopo 40 giorni è stata dimessa. Quella ragazza, Kebrate, che era già nel sacco, è andata a vivere in Svezia”.

Ha mostrato anche il monumento alla memoria dei migranti deceduti in mare, la ‘Porta d’Europa’, che è stato realizzato a Lampedusa nel 2008: “Una porta questa sempre aperta, che rappresenta la storia delle migrazioni. E’ stata realizzata dall’artista Mimmo Paladino che l’ha voluta proprio là, al 35° parallelo. Dopo quella porta c’è il mare”.

Il nuovo libro di Pietro Bartolo è a metà strada tra un romanzo di formazione e un documentario, che racconta la storia di Anila, una bambina che quando Bartolo la incontrò aveva quasi 10 anni. Lampedusa per lei, come per molti, non è la fine di un viaggio ma un nuovo punto di partenza. Quello di Anila verso il suo vero obiettivo, trovare la mamma ‘da qualche parte in Europa’, quello di Pietro Bartolo di salvarla.

Dott. Pietro Bartolo, chi sono le stelle a Lampedusa?
“Le stelle di Lampedusa sono i suoi abitanti; sono i bambini che arrivano; sono le persone che mi hanno aiutato affinché questi bambini che arrivano possono essere accolti dignitosamente. Il libro parla di bambini, e soprattutto di Anila, una bambina stupenda partita da sola dalla Nigeria per arrivare a Lampedusa alla ricerca della madre. Ed io l’ho aiutata.

Una bambina di 9 anni è venuta fino in Italia per ricostruire una famiglia perduta e ce l’ha fatta. Come ce l’ha fatta Anila, così spero che ce la possano fare tutti i bambini, che purtroppo sono nati dalla ‘parte sbagliata’, che noi abbiamo costruito. Quindi abbiamo la responsabilità di accoglierle e di aiutarle, perché insieme si può vivere”.

Ma chi è Anila?
“Anila è un’eroina, parte da sola a 8 anni, viaggia per un anno e mezzo, è arrivata a Lampedusa dopo aver avuto esperienze allucinanti, violenze, maltrattamenti, ustionata, era terrorizzata e quando è arrivata da me, le ho chiesto ‘Come mai sei qui tutta sola?’, lei mi ha risposto ‘Io cerco la mia mamma’.

Provate ad immaginare, per un momento, una bambina di soli 8 anni, che affronta il mare, difficoltà incredibili, come la malattia dei gommoni, rischia di morire e poi, quando riesco a trovarle la mamma, e non è stato facile, mi sono trovato di fronte un mostro, la burocrazia, un mostro che impedisce tutto.

E’ stato difficilissimo dover spiegare alla bambina che ci sarebbero volute settimane, forse mesi e ogni volta vedevo il dolore nei suoi occhi. Fin dall’inizio mi chiamava papà ma con il passare del tempo ha cominciato ad odiarmi, io andavo a trovarla spesso, e un giorno non ha più voluto vedermi, e questo mi ha fatto tanto male… Dopo 6 mesi sono riuscito a ricongiungere la bimba con la mamma”.

Da quasi 30 anni è medico a Lampedusa: cosa si prova?
“Il lavoro da medico significa anche accogliere le persone nella sofferenza. Una cosa bella, perché ho imparato la gratitudine, il rispetto, e mi hanno fatto diventare una persona con una visione nuova della vita, in quanto sono persone, che hanno anche sogni. Il più grande è quello di sopravvivere, chiedendo un po’ di umanità. Tutti abbiamo il diritto di vivere una vita dignitosa”.

Però anche Lampedusa è testimone di un grande impegno, spesso sottaciuto: “Lampedusa è un paese straordinario, è da quasi 30 anni che accoglie tutti, senza lamentarsi mai. Quando vado fuori all’estero, mi chiedono come questo sia stato possibile. Io ho sempre risposto loro che il popolo di Lampedusa è un popolo di pescatori.

Lo sono stato anche io, è un popolo di mare che non si stanca facilmente, e tutti quelli che vengono dal mare sono benvenuti, questa è la legge del mare. Noi non possiamo lasciare nessuno in mare, è la nostra vita e non deve diventare un cimitero, deve ritornare ad essere un mare di vita, un ponte come è sempre stato.

Nel Mediterraneo si sono incontrati tutti i popoli turchi, gli Egiziani, i Fenici e questo ci ha fatto diventare quella che viene chiamata la culla della cultura. Tutto questo ci ha fatto crescere, ci ha fatto diventare una nazione di grande civiltà”.

Ed ha concluso: “Ogni dolore è compensato dalla speranza di dare loro una vita quasi normale, ma ci vuole l’impegno di tutti, non bisogna girarsi dall’altra parte, perché insieme si può vivere e si può crescere”.

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