‘Riconoscere l’Europa come casa comune’: a colloquio con Gianni Borsa

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L’Europa, una ‘casa comune’, una grande costruzione economica e politica avviata all’indomani dei due conflitti mondiali, realizzata nel corso dei decenni, che oggi attraversa una singolare crisi di identità. Che cosa resta del ‘sogno’ dei padri fondatori della Comunità, oggi Unione europea, si chiede il giornalista Gianni Borsa, che per professione segue la vita delle istituzioni comunitarie a Strasburgo e Bruxelles, nel libro ‘Europa. Parole per capire, ascoltare, capirsi’:

“C’è, al fondo, la costruzione di un ‘noi’ che metta all’angolo l’individualismo e gli egoismi imperanti, il grande male che distrugge qualunque comunità umana: dalla famiglia alla città, fino alla nazione e all’ordine internazionale. Chi si chiude in sé, nella sua casa, resta solo, triste e sterile; e, solo, finisce di vivere”.

Nella sua analisi Borsa non trascura le difficoltà in cui si dibatte il vecchio continente: una crisi, in realtà, che si alimenta non tanto a Bruxelles, quanto nei singoli Stati aderenti all’Unione, ciascuno dei quali è attraversato da pulsioni spesso in contrasto tra loro. Ma, benché ‘malata’, la casa comune va consolidata e rifondata (come suggerisce nel commento all’icona biblica don Isacco Pagani), guardando agli indubbi ‘vantaggi’ che essa porta ai suoi membri.

Quindi alla prospettiva di ‘più Europa’, Gianni Borsa preferisce però quella di una ‘Europa più’: più funzionale, efficace, concreta, coesa, solida, leggera, convinta, unita, aperta, simpatica: “Un’Europa che si faccia voler bene, in cui diventa evidente che condividere moltiplica, che la solidarietà è un’arma vincente se e quando assegna a ciascuno ciò di cui ha realmente (non egoisticamente) bisogno e quando ognuno fa la sua parte. Vale per l’Europa come vale in famiglia, nella propria città o nazione”.

Incontrandolo a Macerata in un incontro organizzato da Azione Cattolica Italiana, Acli, Agesci e l’associazione culturale dei Focolarini, ‘Agorà’, gli abbiamo chiesto di spiegarci perché ha scritto questo libro sull’Europa: “In questo libro ho provato a raccogliere 15 anni di esperienza come corrispondente dell’agenzia di stampa Sir a Bruxelles e Strasburgo. Anni davvero interessanti sul piano professionale, fra introduzione della moneta unica, firma della Costituzione europea e suo fallimento, ingresso dei Paesi dell’est nella ‘casa comune’, Trattato di Lisbona…

Poi la crisi economica, quindi quella migratoria, l’Unione economica e monetaria, il nuovo ‘pilastro sociale’. L’Europa in un mondo in rapida trasformazione, dunque. Basti pensare a internet e ai social! Davvero tanti eventi da raccontare in presa diretta, che mi hanno sollecitato a qualche riflessione sul ‘valore aggiunto’ che l’Ue ha portato lungo la storia ai suoi Stati membri, ed ulteriori interrogativi sull’attualità e sulle sfide future che attendono il processo di integrazione comunitaria.

Mi sono convinto che l’Ue sia un cantiere aperto: aperto alle novità imposte dalla storia. E deve sempre guardare avanti. Per questo ho scritto nel libro (che ha una prima, importantissima parte, a firma dell’amico biblista Isacco Pagani): ‘L’Europa e gli europei devono cercare un nuovo sogno e dar vita, insieme, a un nuovo inizio”. Ne sono convintissimo, anche in vista del voto per l’Europarlamento del 26 maggio”.

In quale modo vivere la ‘casa’ Europa?
“Nella casa comune occorre esserci da cittadini e da cittadini protagonisti. Questo vale per l’Europa, così come dovrebbe funzionare per le nostre città, la nostra nazione. Dobbiamo sentirci corresponsabili del bene comune, della realizzazione di comunità accoglienti, aperte, sicure, giuste. Anche l’Ue dovrebbe essere così”.

Come vede il futuro dell’Unione europea e degli europei?
“Appare sempre più chiaro che con l’Unione europea c’è in gioco non solo, e non tanto, il futuro di una costruzione politica (come tale, essa è pur sempre un mezzo, non un fine) ma un originale, finora unico, esperimento politico-istituzionale tra popoli e Stati diversi che si uniscono per il maggiore e reciproco bene possibile (una costruzione politica più apprezzata fuori d’Europa che al suo interno, e spesso presa a modello).

Questo lo sanno sia i sostenitori della causa europea, sia (pur senza riconoscerlo pubblicamente)i suoi detrattori. Ma una simile struttura politica ha bisogno, ora più che mai, di convinzione, coraggio e tempo, mentre la web-politica, fatta di slogan, tweet e like, non vede altro tempo se non quello che trascorre tra un’elezione e l’altra, addirittura tra un sondaggio e l’altro. La vera politica necessita di donne e uomini ‘nuovi’ che si rimettano al lavoro per aggiustare e accomodare la casa europea”.

Quale contributo possono offrire i cattolici all’Europa?
“Lo ha spiegato a chiare lettere papa san Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica ‘Ecclesia in Europa’ dove, al numero 117, scrive: ‘E’ necessaria una presenza di cristiani, adeguatamente formati e competenti, nelle varie istanze e istituzioni europee, per concorrere, nel rispetto dei corretti dinamismi democratici ed attraverso il confronto delle proposte, a delineare una convivenza europea sempre più rispettosa di ogni uomo e di ogni donna e, perciò, conforme al bene comune’. Cittadini-credenti preparati, impegnati, informati, che escono dal proprio guscio mettendosi al servizio della polis”.

E’ realizzabile il ‘sogno’ europeo del card. Martini?
“Carlo Maria Martini sognava un’Europa dello spirito, fondata su valori condivisibili (pace, solidarietà, giustizia, equità…), aperta al trascendente e al contempo vicina alle persone, cioè al servizio dei cittadini. Il cardinale interpretava, da uomo di fede, il Dna dell’Unione europea.

Sta a noi, oggi, far diventare quel sogno un progetto politico, da realizzare insieme. Sostenendo la buona politica che marcia in quella direzione e tenendoci alla larga da chi, invece, vede nell’Europa un capro espiatorio cui intestare tutti i mali del nostro tempo per lucrare, in questo modo, consensi e voti. L’Europa di Martini era, e rimane, un grande progetto da costruire con coraggio”.

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