Papa Francesco ai rom e sinti: non cedere al rancore

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza ha incontrato in Vaticano 500 rom e sinti per un momento di preghiera, che precede la grande festa del popolo gitano al Divino Amore. L’incontro è stato promosso dalla Fondazione Migrantes alla presenza del presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti; del vicario, mons. Angelo De Donatis; dal prefetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, card. Peter Kodwo Appiah Turkson; del presidente della Commissione Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, mons. Guerino Di Tora; del neo arcivescovo di Siena-Val d’Elsa-Montalcino e segretario della Commissione Cei per le migrazioni, mons. Paolo Lojudice; e del vescovo di Avezzano, mons. Pietro Santoro.

I Rom e i Sinti nel mondo sono circa 36.000.000 e in Europa quasi 12.000.000. In Italia sono almeno 170.000. Ed ha un santo gitano, il beato Zefirino. L’incontro di preghiera è stato aperto dal card. Gualtiero Bassetti, che ha ringraziato Francesco e ha ricordato le parole di Paolo VI ai rom: “Questi nostri fratelli non sono diversi perché il diverso è altro, il diverso non lo prendiamo neppure in considerazione. Invece tutti siamo unici e l’unicità è dono e ricchezza”.

Dopo la proclamazione del Vangelo tre giovani donne (Dzemila, Miriana e Negiva), a nome del gruppo ‘Mondo di mamme’, composto da donne di diverse culture e religioni che vivono nella periferia di Roma, hanno spiegato al papa la loro vita: “Alcune di noi vivono in appartamenti in affitto, altre in case popolari, altre ancora in quelli chiamati ‘campi nomadi’ che altro non sono che baraccopoli, dei ghetti dove, su base etnica, le nostre famiglie sono segregate dalle istituzioni comunali.

Come donne e come mamme avvertiamo sulla nostra pelle la distanza che spesso la società maggioritaria costruisce tra noi e le istituzioni pubbliche. I servizi sanitari non sempre sono garanzia di assistenza e supporto adeguato. Spesso la burocrazia, ma recentemente anche politiche discriminatorie, non facilitano a quante di noi non hanno una posizione amministrativa regolare l’accesso ai servizi di base che possano garantire la salute a noi e ai nostri figli”.

Al termine dei racconti papa Francesco nel discorso ha affrontato il tema dei pregiudizi sul popolo gitano, chiedendo loro di non farsi prendere dal rancore per le discriminazioni, ma di contribuire a fondare una società dell’amore: “La speranza può deludere se non è vera speranza, ma quando la speranza è concreta, come in questo caso, negli occhi dei figli, mai delude, mai delude! Quando la speranza è concreta, nel Dio vero, mai delude.

Le mamme che leggono la speranza negli occhi dei figli lottano tutti i giorni per la concretezza, non per le cose astratte, no: crescere un figlio, dargli da mangiare, educarlo, inserirlo nella società… Sono cose concrete. E anche le mamme sono speranza. Una donna che mette al mondo un figlio è speranza, semina speranza, è capace di fare strada, di creare orizzonti, di dare speranza”.

Inoltre il papa ha insistito sulla ‘specialità’ di molti nel catalogare le persone: “Mettiamo l’aggettivo. E questo distrugge, perché non lascia che emerga la persona. Questa è una persona, questa è un’altra persona, questa è un’altra persona. I bambini sono persone. Tutti. Non possiamo dire: sono così, sono brutti, sono buoni, sono cattivi.

L’aggettivo è una delle cose che crea distanze tra la mente e il cuore… E’ questo il problema di oggi. Se voi mi dite che è un problema politico, un problema sociale, che è un problema culturale, un problema di lingua: sono cose secondarie. Il problema è un problema di distanza tra la mente e il cuore. Questo: è un problema di distanza”.

Inoltre ha sottolineato il dovere di rendere i cittadini con pari dignità: “E’ vero, ci sono cittadini di seconda classe, è vero. Ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente: questi sono di seconda classe, perché non sanno abbracciare. Sempre con l’aggettivo buttano fuori, scartano, e vivono scartando, vivono con la scopa in mano buttando fuori gli altri, o con il chiacchiericcio o con altre cose. Invece la vera strada è quella della fratellanza… E tutti dobbiamo collaborare”.

Papa Francesco ha invitato a non farsi prendere dal ‘rancore’: “Ma vi chiedo, per favore, il cuore più grande, più largo ancora: niente rancore. E andare avanti con la dignità: la dignità della famiglia, la dignità del lavoro, la dignità di guadagnarsi il pane di ogni giorno e la dignità della preghiera. Sempre guardando avanti. E quando viene il rancore, lascia perdere, poi la storia ci farà giustizia. Perché il rancore fa ammalare tutto: fa ammalare il cuore, la testa, tutto… Un gruppo di gente che è capace di creare la vendetta, di vivere nell’omertà: questo è un gruppo di gente delinquente; non la gente che vuole lavorare”.

Infine alcune raccomandazioni sull’affidamento al Signore: “C’è Uno che ti guarda prima, che ti vuole bene, Uno che ha dovuto vivere ai margini, da bambino, per salvare la vita, nascosto, profugo: Uno che ha sofferto per te, che ha dato la vita sulla croce. E’ Uno, come abbiamo sentito nella Lettura che tu hai fatto, che va cercando te per consolarti e incoraggiarti ad andare avanti.

Per questo vi dico: niente distanza; a voi e a tutti: la mente con il cuore. Niente aggettivi, no: tutte persone, ognuno meriterà il proprio aggettivo, ma non aggettivi generali, secondo la vita che fai. Abbiamo sentito un bel nome, che include le mamme; è un bel nome questo: ‘mamma’. E’ una cosa bella”.

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