Papa Francesco ai giornalisti sulla ‘mistica’ del rispetto

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Nell’incontro con i giornalisti sul volo Skopje-Roma papa Francesco, di ritorno dal viaggio apostolico in Bulgaria e Macedonia ha parlato della tenerezza con cui le suore di Madre Teresa assistono i poveri ‘come fossero Gesù’; però prima delle domande ha condiviso con loro un pensiero su Jean Vanier, deceduto in questi giorni:

“Sapevo della malattia di Jean Vanier, suor Geneviève mi teneva informato. Una settimana fa l’ho chiamato al telefono, mi ha ascoltato, ma a malapena poteva parlare. Io vorrei esprimere la mia gratitudine per questa testimonianza: un uomo che ha saputo leggere l’efficacia [la fecondità] cristiana nel mistero della morte, della croce, della malattia, nel mistero di coloro che sono disprezzati e scartati nel mondo.
Ha lavorato non solo per gli ultimi ma anche per coloro che, prima di nascere, rischiano di essere condannati a morte. La sua vita si è spenta così. Semplicemente grazie a lui e grazie a Dio per averci dato quest’uomo con la sua grande testimonianza”.

Naturalmente nella prima domanda è stato chiesto di raccontare le sue impressioni di viaggio: “Sono due nazioni totalmente diverse. La Bulgaria è una nazione con una tradizione di secoli. La Macedonia pure ha una tradizione di secoli ma non come Paese, come popolo, che è riuscito ultimamente a costituirsi come nazione: una bella lotta. Per noi cristiani la Macedonia è un simbolo dell’entrata del cristianesimo in Occidente.

Il cristianesimo è entrato in Occidente attraverso di voi, quel macedone che è apparso a Paolo in sogno. Lui se ne andava per l’Asia, è un mistero quella chiamata. E il popolo macedone è fiero di questo, non perde occasione per dirci: ‘Il cristianesimo è entrato in Europa attraverso di noi, attraverso la nostra porta, perché Paolo è stato chiamato da un macedone’. La Bulgaria ha dovuto lottare tanto per la sua identità come nazione. Nel 1877 morirono 200.000 soldati russi per riprendere l’indipendenza dalle mani dei Turchi. Pensiamo cosa significa 200.000! Tante lotte per l’indipendenza, tanto sangue, tanto spirito per trovare il consolidamento dell’identità.

La Macedonia aveva la sua identità e adesso è arrivata a consolidarla come popolo, anche con piccoli grandi problemi, come quello del nome e le cose che tutti sappiamo. In tutti e due i Paesi ci sono comunità cristiane ortodosse e cattoliche, e anche musulmane. La percentuale ortodossa è molto forte in ambedue, è la più forte; quella dei musulmani di meno; e quella dei cattolici è minima in Macedonia, più grande in Bulgaria. Ma una cosa che ho visto in entrambe le nazioni sono i buoni rapporti tra i differenti credo, tra le diverse fedi.

In Bulgaria lo abbiamo visto con la preghiera per la pace. Questa è stata una cosa normale per i bulgari, perché hanno buoni rapporti: ognuno ha il diritto di esprimere la propria religione e ha il diritto di essere rispettato. Mi ha colpito questo, tanto! Poi il colloquio con il patriarca Neofit è stato di una bellezza… E’ un uomo di Dio! Mi ha edificato tanto, un grande uomo di Dio.

In Macedonia mi ha colpito una frase che mi ha detto il Presidente: ‘Qui non c’è tolleranza di religione, c’è rispetto’. Si rispetta. E questo oggi, in un mondo dove il rispetto manca tanto (pensiamo, il rispetto per i diritti umani, per tante cose, anche il rispetto per i bambini, per gli anziani), che lo spirito di un Paese sia il rispetto, questo colpisce. Mi ha fatto bene”.

Un’altra domanda ha chiesto un’impressione sulla Chiesa ortodossa e la vicenda della beatificazione di mons. Stepinac: “In genere, i rapporti sono buoni; sono buoni e c’è buona volontà. Posso dirvi sinceramente che ho incontrato tra i Patriarchi degli uomini di Dio. Neofit è un uomo di Dio. E poi, quello che io porto nel cuore (una preferenza) è Elia II, della Georgia: è un uomo di Dio che a me fa tanto bene. Bartolomeo è un uomo di Dio. Kirill è un uomo di Dio… Sono i grandi Patriarchi, che danno testimonianza.

Lei potrà dirmi: ma questo ha questo difetto, è troppo politico, quello ha un altro difetto… Ma tutti ne abbiamo, anch’io. Ma io nei Patriarchi ho trovato dei fratelli; e in alcuni davvero, non voglio esagerare, ma vorrei dire la parola, dei santi, uomini di Dio. E questo è molto importante. Poi ci sono cose storiche, cose storiche delle nostre Chiese, alcune vecchie.

Per esempio, oggi il Presidente [della Macedonia del Nord] mi diceva che lo scisma tra Oriente e Occidente è incominciato qui, in Macedonia. Adesso viene il Papa per la prima volta per ricucire lo scisma? Non so. Ma siamo fratelli, perché non possiamo adorare la Santa Trinità senza le mani unite di fratelli. Questa è una convinzione non solo mia, anche dei Patriarchi, tutti. Questa è una grande cosa”.

E sulla beatificazione di mons. Stepinac: “Un caso storico è questo: la canonizzazione di Stepinac. Egli è un uomo virtuoso, per questo la Chiesa l’ha dichiarato beato. Lo si può pregare, è beato. Ma a un certo momento del processo di canonizzazione ci sono stati punti non chiariti, punti storici. Io, che devo firmare la canonizzazione con la mia responsabilità, ho pregato, ho riflettuto, ho chiesto consiglio e ho visto che dovevo chiedere aiuto al Patriarca serbo Ireneo, un grande Patriarca.

E Ireneo ha dato l’aiuto, abbiamo fatto una commissione storica insieme e abbiamo lavorato insieme, perché sia a Ireneo che a me l’unica cosa che interessa è la verità, non sbagliare. A che serve una dichiarazione di santità se non è chiara la verità? Non serve a nessuno. Noi sappiamo che è un uomo buono e che è beato, ma per fare questo passo io ho cercato l’aiuto di Ireneo per fare la verità. E si sta studiando. Prima di tutto è stata fatta la commissione, hanno dato il loro parere. Ma adesso si stanno studiando altri punti, approfondendo alcuni punti perché la verità sia chiara. Io non ho paura della verità, non ho paura. Ho paura soltanto del giudizio di Dio”.

Un’ulteriore domanda ha riguardato le donne diacono: “E’ stata fatta la commissione, ha lavorato per quasi due anni. Erano tutti diversi, tutti ‘rospi di diversi pozzi’, tutti pensavano in modo diverso, ma hanno lavorato insieme e si sono messi d’accordo fino a un certo punto. Ma ognuno di loro poi ha la propria visione, che non concorda con quella degli altri e lì si sono fermati come commissione, e ognuno sta studiando come andare avanti. Sul diaconato femminile: c’è un modo di concepirlo non con la stessa visione del diaconato maschile.

Per esempio, le formule di ordinazione diaconale trovate fino adesso, secondo la commissione, non sono le stesse dell’ordinazione diaconale maschile, e assomigliano più a quella che oggi sarebbe la benedizione di una abbadessa… Ognuno continua a studiare. Si è fatto un bel lavoro perché si è arrivati fino a un certo punto comune, e questo può servire come base per andare avanti a studiare e dare una risposta definitiva sul sì o sul no, secondo le caratteristiche dell’epoca”.

Prima di concludere l’incontro con i giornalisti papa Francesco ha raccontato due esperienze di viaggio: “Un’esperienza con i poveri oggi qui, in Macedonia, nel memoriale di Madre Teresa. C’erano tanti poveri, ma bisognava vedere la mitezza di quelle suore: curavano i poveri senza paternalismo, come fossero figli. Una mitezza, e anche la capacità di accarezzare i poveri.

La tenerezza, la tenerezza di queste suore! Oggi noi siamo abituati a insultarci: il politico insulta l’altro, un vicino insulta l’altro, anche nelle famiglie si insultano tra loro. Non oso dire che c’è una cultura dell’insulto, ma l’insulto è un’arma a portata di mano, anche lo sparlare degli altri, la calunnia, la diffamazione… E vedere queste suore che curavano ogni persona come fosse Gesù, mi ha colpito…

E poi un’altra esperienza ‘limite’ sono state le Prime Comunioni in Bulgaria. E’ vero, mi sono emozionato perché la memoria è andata all’8 ottobre 1944, alla mia Prima Comunione, quando entravamo cantando ‘O santo altare, custodito dagli angeli’, quel canto vecchio che sicuramente qualcuno di voi ricorda. Ho visto quei bambini che si aprono alla vita con una decisione sacramentale. La Chiesa custodisce i bambini, sono un limite (sono piccoli), devono crescere, sono promessa, e questo io l’ho vissuto molto fortemente. Ho sentito che in quel momento quei 245 bambini erano il futuro della Chiesa, erano il futuro della Bulgaria”.

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