Gioia Bartali racconta suo nonno Gino

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Casa Bartali, metà anni ‘80: Gino è davanti alla Tv insieme alla nipote Gioia. La Rai trasmette Assisi underground, il documentario di Alexander Ramati che racconta l’aiuto dato dal grande campione per salvare 800 ebrei dallo sterminio nazista: “Nonno si infuriò. Disse che avrebbe denunciato il regista costringendolo a ritirare il film. Perché nemmeno mia nonna sapeva quello che lui aveva fatto: certe medaglie, diceva, si attaccano all’anima e non al bavero della giacca”.

Questo particolare è stato raccontato dalla nipote di Gino Bartali, Gioia, a Tolentino, durante la manifestazione ‘Ciclocolli’, dopo lo spettacolo teatrale ‘Bartali: prima tappa’ di Lisa Capaccioli e Paola Bigatto, interpretato da un talentuoso attore, Francesco Dendi. Attraverso il racconto di un ragazzo dai pantaloni alla zuava e la bici in spalla, lo spettatore con delicatezza si confronta con una figura conosciuta eppur misteriosa, di cui non vi è traccia visiva se non alla fine: Gino Bartali.

E’ chiaro fin da subito. Non è la consueta narrazione della vita di Gino. Lo spettacolo narra Gino Bartali attraverso gli occhi di un ragazzo, suo coetaneo, che lo ammira per il suo carattere forte, ma soprattutto per la sua missione: trasportare carte d’identità false nel telaio della sua bicicletta da Firenze ad Assisi.

L’artista si interpone tra lo spettatore e Gino Bartali, non solo come figura narrante ma anch’egli coinvolto e parte della stessa epoca. Rivelando qualche dettaglio, sapientemente estrapolato dalla biografia del campione, il narratore ha ricordato aneddoti curiosi, riportando lo spettatore nell’intimo di Gino con espressioni toscane. Lo spettacolo mette a fuoco Bartali come uomo, esempio di solidarietà e Giusto tra le Nazioni.

E così Gioia Bartali ha raccontato, con semplicità, la storia di questo grande campione di umanità prima ancora che dello sport: “Siamo nel 1943. Nel clima di tensione della Seconda Guerra Mondiale. La Delasem è in piena attività. La ‘Delegazione per l’assistenza degli emigranti’ fu in un primo periodo autorizzata dal regime e poi bandita. Molti dei suoi operatori persero la vita durante le retate della milizia fascista. Altri continuarono la missione di salvataggio degli Ebrei.

Come mio nonno, che prese parte alla rete interreligiosa coordinata dal card. Elia dalla Costa insieme al Rabbino Nathan Cassuto e a p. Rufino Niccacci, priore di Assisi. Per due anni Gino corse in bicicletta tra la Toscana e l’Umbria. Arrivando a percorrere nello stesso giorno oltre 300 km. Non per vincere il Giro d’Italia, ma per salvare vite!”

Al termine dello spettacolo le ho chiesto di raccontarci suo nonno Gino in ‘versione familiare’: “Nonno è sempre stato una persona disponibile, non solo in famiglia. Aveva un carattere gioviale ed era disponibile, perché ci teneva a far star bene la gente, ed era a disposizione per qualsiasi cosa. Anche in casa era sempre molto impegnato nell’aiuto ai famigliari. Io lo ricordo sempre al telefono od ad aprire la corrispondenza. Ed a 20 anni dalla morte la gente lo ricorda ancora con affetto”.

Ha ‘sfruttato’ il ciclismo per percorrere in tempo di guerra da Firenze ad Assisi per salvare gli ebrei dalla deportazioni: “Questo è un aspetto straordinario di mio nonno, senza toglier nulla alla sua carriera sportiva. Chi avrebbe potuto pensare che un ciclista avrebbe potuto operare in maniera segreta senza dire niente. Questa è la cosa più bella: non ha voluto mai raccontare quello che ha fatto, perché era un’opera di bene e come tale doveva essere fatta, perché il bene si fa ma non si dice”.

In quale modo avete scoperto questa bella storia?
“Al termine degli anni ’80 uscì fuori qualcosa, perché ci fu un film girato ad Assisi, ‘Assisi undergruond’, in cui si raccontava la storia di questa città che, in tempo di guerra, aveva dato ospitalità ed aiutato molta gente. In questa regia, grazie alla testimonianza di persone viventi che avevano vissuto in quel periodo, uscì fuori la figura di mio nonno, che aiutò gli ebrei. Mi ricordo che mio nonno si arrabbiò moltissimo e chiese alla famiglia di non raccontarlo. Quindi abbiamo rispettato la sua volontà di conservare il silenzio ed io non ho avuto, a quel tempo, interesse di approfondire le vicende. Se lo avessi oggi, avrei tante cose da chiedere”.

Come nasce la storia di Gino Bartali e gli ebrei?
“Nasce da un’amicizia, nata prima della guerra, con il card. Elia Dalla Costa di Firenze che ovviamente non gli ha escluso la vicinanza anche con altri cardinali, tralasciando che Gino Bartali era amico di tutti i papi. Dopo l’8 settembre, in quel momento di caos generale dove i tedeschi prendevano gli ebrei e i dissidenti politici, c’è stato bisogno di una figura come quella di mio nonno.

Il card. Elia Dalla Costa già operava in questa rete clandestina Delasem, ma a un certo punto ha avuto necessità di una persona che fungesse da postino da Assisi a Firenze, una persona della quale si fidasse ciecamente e, data l’amicizia e il rapporto che scorreva tra il cardinale e mio nonno, decise di affidargli questo compito. Inoltre mio nonno conosceva anche l’allora vescovo di Assisi, mons. Nicolini, quindi nel momento che hanno deciso di chiamare lui sapevano perfettamente che tipo di persona fosse: una persona predisposta assolutamente per il bene.

In quel momento mio nonno poteva anche rifiutare una missione di questo tipo ma dall’altra parte aveva capito che quel dono, quella forza esplosiva nell’andare in bicicletta poteva essere messa veramente a servizio degli altri e quindi ha fatto semplicemente il suo dovere”.

Portava sempre il distintivo dell’Azione Cattolica: quale fede aveva?
“Non per falsa modestia ma per carattere e per un voto che fece nel 1937 diventò terziario carmelitano nella fraternità san Paolino di Firenze, dopo la morte del fratello minore Giulio, ciclista promettente e che mio nonno diceva fosse più bravo di lui. Scelse il nome di religione di Fra’ Tarcisio di Santa Teresa di Gesù Bambino, alla quale era devotissimo. Ricevere il mantello bianco di terziario carmelitano significava, concretamente, consacrarsi alla Madonna e scegliere una vita di carità e umiltà. Eppoi andava orgoglioso dello ‘stemma’ dell’Azione Cattolica, a cui è sempre stato fedele”.

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