Ancona ha festeggiato san Ciriaco: la croce per testimoniare la speranza

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Sabato 4 maggio Ancona ha festeggiato il patrono san Ciriaco, nato a Gerusalemme, che secondo la tradizione, dopo la conversione, si era recato in pellegrinaggio a Roma e lungo il viaggio era passato da Ancona e in quella città fu acclamato vescovo, rimanendovi molti anni; si era poi recato in Palestina per rivedere la propria città e là subì il martirio.

E nell’omelia l’arcivescovo della diocesi di Ancona-Osimo, mons. Angelo Spina, ha ricordato il legame della città con Gerusalemme: “Conosciamo tutti la storia di san Ciriaco, il cui primo nome era Giuda, ebreo, scriba a cui si rivolse Elena, la madre dell’imperatore Costantino perché gli svelasse dove era custodita la croce di Cristo. Dietro le sue insistenze cedette e nel 326 a Gerusalemme venne ritrovata la santa Croce.

A seguito di questi eventi Giuda si convertì al cristianesimo e si fece battezzare prendendo il nome di ‘Kuriakòs’ (dal greco Kurios, che significa del Signore) venne, poi, eletto vescovo. Ma per quello che aveva fatto subì un processo e il martirio a Gerusalemme nel 363, con atroci tormenti, durante la persecuzione di Giuliano l’Apostata”.

Inoltre ha sottolineato che fu lui a ritrovare la croce sulla quale fu appeso Gesù: “Ciriaco è l’uomo della croce che prima la fa ritrovare, poi l’abbraccia e infine la testimonia. La croce, pertanto, è qualcosa di più grande e misterioso di quanto a prima vista possa apparire. Indubbiamente è uno strumento di tortura, di sofferenza e di sconfitta, ma allo stesso tempo esprime la completa trasformazione, la definitiva rivincita sui mali nel mondo, e questo la rende il simbolo più eloquente della speranza che il mondo abbia mai visto.

Vediamo chiaramente che l’uomo non può salvare se stesso dalle conseguenze del proprio peccato”. Quindi l’uomo è salvato da Dio: “Non può salvare se stesso dalla morte. Soltanto Dio può liberarlo dalla sua schiavitù morale e fisica. E poiché Dio ha amato così tanto il mondo, ha inviato il suo Figlio unigenito non per condannare il mondo, come avrebbe richiesto la giustizia, ma affinché attraverso di Lui il mondo potesse essere salvato.

L’unigenito Figlio di Dio è stato innalzato sulla croce perché chiunque si rivolge a lui con fede viva riceve salvezza. Ecco perché il mondo ha bisogno della croce. Cristo scrive la sua storia d’amore lasciandosi crocifiggere sulla croce. Per questo niente e nessuno è scartato dalla croce”.

La croce è quindi un simbolo di tortura, ma è soprattutto un simbolo di speranza: “Essa non è semplicemente un simbolo privato di devozione, non è un distintivo di appartenenza a qualche gruppo all’interno della società, ed il suo significato più profondo non ha nulla a che fare con l’imposizione forzata di un credo o di una filosofia.

La Croce parla di speranza, parla di amore, parla della vittoria della non violenza sull’oppressione, parla di Dio che innalza gli umili, dà forza ai deboli, fa superare le divisioni, e vincere l’odio con l’amore. Un mondo senza croce sarebbe un mondo senza speranza. Solo la croce pone fine a ogni vendetta, a ogni odio, a ogni violenza”.

Citando sant’Andrea di Creta il vescovo ha sottolineato che la croce è profezia dell’amore: “Essa è profezia, e in tempi di paura come i nostri abbiamo bisogno di profezia che ci porta avanti nella speranza. Essa è la nostra unica speranza. Essa ci viene consegnato nelle mani perché porti linfa nuova per costruire anche oggi quella civiltà dell’amore che san Ciriaco ha testimoniato”.

E l’esempio del patrono della città è uno stimolo per i cittadini: “Noi siamo chiamati ad edificare questa nostra città, non più con le pietre ma con le persone, con uomini e donne che sanno raccogliersi e unirsi per edificare un futuro migliore per sé e per tutti. Certo, i tempi che viviamo sono ben diversi da quelli delle generazioni che si sono succedute lungo i secoli e che hanno costruito sino ad oggi lo splendore di questa città.

Davanti a noi c’è un futuro che non è ancora chiaro. Ma senza alcun dubbio ci è chiesto, per affrontarlo in maniera adeguata, di un nuovo slancio, di una rinnovata energia, come dicevo prima, di profezia. E’ per questo che raccoglierci attorno a san Ciriaco non è senza significato, e non può essere solo un semplice rito esteriore”.

Quindi non è ammessa nessuna ‘distrazione’ dinnanzi alle sfide della contemporaneità: “Non ci è permesso di distrarci, di rinchiuderci ciascuno nel proprio piccolo orizzonte, non possiamo dire ciascuno salvi se stesso. I problemi da affrontare sono tanti. Accenno solo ad alcuni: quello del lavoro, delle famiglie e dei giovani, la gran parte dei quali è costretta a guardare il proprio futuro oltre questa terra (gli esodati a causa del lavoro).

Ci sono i problemi legati alla difesa della vita perché non venga banalizzata e disprezzata, come non difenderla? E quelli legati all’ambiente, la custodia della terra e del mare, come non farcene carico per vincere la paura che ci imprigiona? E non posso tacere la preoccupazione che sento alta per i più piccoli, per i nostri ragazzi; sì, per i nostri adolescenti che siamo chiamati a sottrarre, mentre siamo forse ancora in tempo, a quei mercenari che li avvelenano mentre stanno aprendosi alla vita. Già questi cenni mostrano l’urgenza dell’impegno di tutti”.

Infine un invito a cogliere le opportunità per un nuovo ‘futuro’: “E’ necessario raccoglierci assieme e avere l’audacia per un nuovo futuro di questa nostra terra. Ma a tutti è chiesto un cambiamento nel cuore. Sì, non si può percorrere questa via senza abbandonare almeno un poco il proprio egocentrismo, l’amore solo per le proprie cose, la preoccupazione solo per i propri affari, piccoli o grandi che siano. C’è bisogno di allargare il proprio cuore alle preoccupazioni degli altri, all’amore per chi è più debole, all’interesse per il bene comune di tutti. Sì, abbiamo bisogno tutti di avere un cuore un po’ più largo di quello che abbiamo. Tanti ancora hanno bisogno di essere amati, di essere esortati, di essere aiutati”.

Tali opportunità si colgono attraverso un’apertura del cuore, come hanno fatto i santi: “Cari fratelli e sorelle, apriamo il nostro cuore al Vangelo come hanno fatto i santi. I santi che già sono giunti alla presenza di Dio mantengono con noi legami d’amore e di comunione, sono i campioni del bene, coloro che hanno vissuto le beatitudini e ci indicano la via della terra e quella del cielo, perché la santità è il volto più bello della Chiesa. Lasciamoci guidare da san Ciriaco, l’innamorato di Cristo e il testimone della croce fino al martirio, sulla via della santità affinché la nostra Arcidiocesi di Ancona Osimo e la nostra città siano affidabili come luoghi di pace e di solidarietà”.

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