Dalle diocesi la Messa crismale apre il triduo pasquale

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Nelle diocesi italiani i vescovi hanno celebrato la messa di consacrazione dell’olio crismale e da Loreto Mons. Fabio Dal Cin, ha voluto rimarcare anzitutto che il ricordo, per quanto vivo, del pellegrinaggio del 25 marzo scorso di papa Francesco alla Santa Casa, da solo non basta: “Anzitutto occorre prendere sempre più coscienza della nostra consacrazione battesimale e sacerdotale”, guardando alla Madre di Dio che proprio tra le mura della Santa Casa ha ricevuto la sua vocazione:

“Qui Maria è stata unta di Spirito Santo che è sceso su di Lei, su di Lei ha steso la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Qui Maria ha ricevuto e ha custodito la presenza vera, reale della persona del Figlio di Dio. A questa Chiesa che è in Loreto e a questo Santuario il Papa ha dato il mandato di custodire l’Esortazione Apostolica destinata ai giovani. L’evento non è solo storico, unico nel suo genere, perché è stato firmato proprio in questo luogo un documento sinodale, ma soprattutto simbolico. Si tratta infatti di un messaggio di Dio a cui non possiamo sottrarci”.

Ricordando poi le parole con le quali il papa gli ha consegnato la prima copia dell’Esortazione apostolica ‘Cristo vive’, mons. Dal Cin ha invitato “tutti ad invocare lo Spiro Santo perché possiamo accogliere le sue ispirazioni” ed infine ha chiesto di “porre per iscritto suggerimenti e proposte che insieme si potranno attuare”.

Da Torino mons. Cesare Nosiglia ha invitato a riflettere sulla vocazione: “Le vocazioni segnano la temperatura spirituale delle nostre comunità e ne manifestano il radicamento evangelico, ma segnano anche la nostra comunione presbiterale e ne testimoniano la sincerità e profondità umana, spirituale, ecclesiale. Parte dunque dal nostro rinnovamento spirituale la prima via della pastorale vocazionale e su questo si misura il comune impegno di favorirne la crescita e lo sviluppo.

E’ difficile che una vocazione al sacerdozio nasca senza un rapporto stretto con un sacerdote, senza contatti personalizzati con i ragazzi e giovani, senza amicizia e paziente accompagnamento spirituale. Se sperimentano in noi la gioia e l’entusiasmo di essere ministri di Cristo, la generosità nel servizio alla Chiesa, la prontezza nel farsi carico delle situazioni spirituali, umane e familiari della gente, soprattutto dei poveri, malati e sofferenti, saranno spinti a interrogarsi se non possa questa essere anche per loro la via migliore da seguire nella vita”.

Rivolgendosi ai sacerdoti li ha invitati alla testimonianza: “Pertanto, non preoccuparti di quello che devi fare ogni giorno, ma di quello che devi essere e di testimoniare la gioia di servire il Signore nei tuoi fedeli. Ricordati che non sei tu a sostenere la radice, che ti ha fatto sacerdote, ma è la radice a sostenere te e i tuoi impegni pastorali.

Se vengono meno questa consapevolezza e la cura della radice, svanisce anche il frutto di tutto ciò che fai. Riandare al Cenacolo significa anche accogliere, come una continua sfida e come un dono da attuare nel nostro ministero, il comandamento nuovo espresso mediante la lavanda dei piedi che Gesù compie come gesto di umiltà e di servizio ai suoi apostoli, invitandoli a fare altrettanto gli uni verso gli altri.

Vedo crescere questo impegno in molti presbiterii parrocchiali e di unità pastorale; ho sperimentato nelle visite pastorali il tanto bene che ogni presbitero fa e riceve dagli altri presbiteri. Crediamo, dunque, di più in noi stessi, abbiamo stima di quello che facciamo e, come Gesù ci insegna, riconosciamo i buoni esempi che i confratelli ci offrono e le cose belle che compiono, godendo per loro e con loro come fossero fatte da noi stessi”.

Mentre nella diocesi di Milano mons. Mario Delpini si è soffermato a riflettere sulla comunione trinitaria: “Nella Chiesa, mandata in ogni luogo e in ogni tempo, vivificata dallo Spirito Santo, continua l’opera che il Padre ha dato da compiere al Figlio. La premura, la compassione, la dedizione a servizio dell’umanità ferita è rivelazione del Padre che donando lo Spirito desidera rendere partecipi tutti i suoi figli della gloria dell’Unigenito Figlio, Gesù, sempre vivo alla sua destra, a intercedere per tutti. La missione di Gesù che è stato mandato per rivelare la verità di Dio sembra imbarazzare i cristiani.

Molti ritengono il mistero trinitario come un enigma sottratto all’intelligenza e rinchiuso in un teorema incomprensibile, mentre Gesù ha mandato lo Spirito, attirando tutti a sé, per realizzare nell’intima unione con Dio quella unità del genere umano in cui finalmente l’uomo splende come immagine di Dio… Se ci si lascia attrarre dentro questo mistero, si scopre che la rivelazione trinitaria ci introduce in una dimensione nuova:

impariamo non soltanto che Dio ci ama, ma che in se stesso è amore, comunione tra persone, amore eternamente generativo, missione che genera i legami che ci fanno esistere e rendono possibile che noi facciamo esperienza di questo amore. La fraternità che è la vocazione di tutti gli uomini, la fraternità nel presbiterio che è la grazia che ci raduna trovano in questa grazia il loro principio. L’amore trinitario è fondamento della comunione inclusiva di ogni differenza e di ogni altro”.

Dalla diocesi di Albano mons. Marcello Semeraro ha sottolineato il compito sacerdotale: “Cari fratelli presbiteri, proprio noi, che siamo feriti, siamo chiamati a portare la guarigione. Abbiamo le nostre ferite quotidiane e molte di queste sono sotto gli occhi dei fedeli che spesso, per carità cristiana non ci dicono nulla. Eppure, proprio noi che siamo feriti, siamo chiamati a guarire gli altri. Ci chiama Cristo, che si è fatto uomo per assumere su di sé le nostre infermità”.

Prendendo spunto dalle omelie di papa Francesco ha sottolineato che Gesù “ci ha presentato un Dio vicino, che si prende cura dell’uomo e che si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani; e per avere mani si è fatto uomo. Dio non ci salva soltanto mediante un decreto, ma ci salva con carezze, ci salva con la sua vita per noi. Dio, in tutto questo, noi possiamo imitarlo… Sarebbe bello se anche noi fossimo riconosciuti dalle ferite non certo quelle provocate dalle miserie umane di cui ho detto prima, ma da quelle lasciateci dalla carità pastorale”.

Da Agrigento il card. Francesco Montenegro ha esortato i sacerdoti a non essere ‘piatti’: “Se non vogliamo cadere nella mediocrità, nell’abitudine piatta e nelle ripetizioni stanche di gesti senz’anima, è necessario puntare a ideali alti ed esaltanti. La vita delle nostre comunità non può percorrere i vecchi e consunti binari di sempre, né accontentarsi di singhiozzi di entusiasmo; farlo sarebbe solo porre toppe, acquietare la coscienza per un po’, provare brevi illusioni che vengono spente dal vecchio che riprende il sopravvento”.

Quindi ha evidenziato alcuni ‘rischi’, che mettono a rischio la fedeltà a Dio: “Non possiamo continuare a fare quello che si è sempre fatto; rischiamo di invischiarci sempre più in tradizioni e abitudini che vanno perdendo significato. Dà più soddisfazione, è vero, organizzare processioni anziché vivere la missione verso le famiglie e i malati.

Diciamo che le feste religiose sono frequentatissime, eppure sempre meno gente conosce il Vangelo. Siamo preoccupati delle tradizioni religiose, non sempre di qualità, ma sono numerosi i cristiani che frequentano i maghi. Ci lasciamo prendere la mano dalle scenografie religiose, senz’altro interessanti e belle esteticamente, ma andiamo dimenticando il mistero. E’ vero che i giovani partono per studiare o lavorare, ma quanti restano non vengono da noi”.

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