Cacciari ad Ancona: il viaggio di san Francesco è farsi prossimo

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La riflessione del filosofo Massimo Cacciari su ‘L’erranza di san Francesco’ ha aperto l’anno francescano nell’arcidiocesi di Ancona-Osimo, in occasione dell’ottavo centenario della partenza del santo dal porto di Ancona verso la Terra Santa. All’evento che, si è svolto nell’aula magna dell’ateneo ‘Guido Bassi’, hanno partecipato l’arcivescovo di Ancona, mons. Angelo Spina, mons. Piero Coccia, presidente della Conferenza Episcopale marchigiana, il rettore dell’Univpm, Sauro Longhi, e il direttore dell’Ufficio diocesano per la cultura Giancarlo Galeazzi.

Introducendo i lavori mons. Spina ha affermato: Francesco è colui che vince la paura. Quando si ha paura ci si chiude e si costruiscono i muri ma lui durante la quinta crociata si imbarca e parte per la Terra Santa e incontra a Damietta il Sultano, un uomo di un’altra religione e di un’altra cultura. Francesco va lì scalzo, ma con un fuoco nel cuore perché desidera dialogare con lui e quando torna è cambiato.

Potremmo dire che la grandezza di Francesco è l’antropologia dell’ospite, perché lui è stato disastrato nel suo percorso esistenziale, ma ha vissuto un’esperienza incredibile. Figlio di ricchi, a un certo punto nella chiesa di san Damiano vede il Crocifisso che lo abbraccia e lui si sente così amato, che fa spazio, si svuota per avere un ospite nella vita. In quel Crocifisso Francesco inizia il cammino dell’alterità, poi abbraccerà il lebbroso che prima gli faceva ribrezzo e comincerà a vivere la fraternità, perché siamo fratelli. Ancona, dunque, non deve dimenticare che è la porta d’Oriente, ma con san Francesco è anche la via della pace”.

Nella relazione il prof. Massimo Cacciari ha sottolineato il tipo di viaggio del santo assisate: “La forma del viaggio di Francesco è straordinaria è un correre verso l’altro. Lui va, corre lietamente, e si fa prossimo a tutti coloro che incontra. Ha sete di testimoniare, ha sete di martirio. Questi sono gli elementi fondamentali dell’erranza francescana.

San Francesco non ha mete privilegiate, ma ha un’irrefrenabile nostalgia di andare, ovunque esista la possibilità di ascolto. E’ nostalgia di predicare Verbum ovunque, anzi di mostrarlo. Ma non basta andare, bisogna andare a piedi nudi per il mondo, porgendo l’altra guancia, donando e perdonando”.

Quindi rifacendosi all’annuncio del Vangelo ha sottolineato la necessità di viaggiare leggeri: “Per andare occorre essere nudi e liberi, non si può andare se si porta troppa zavorra con sé. Cos’è la zavorra? Innanzitutto è la casa, fissarsi in una dimora. A Francesco anche la cella gli sembrava una dimora eccessiva per fratello corpo, ma la dimora che ci possiede di più è l’amore che abbiamo per noi, quella che evangelicamente si chiama filopsichia.

Questa è la prigione ultima, è la filopsichia il fondamento di ogni peccato direbbe Francesco, ovvero l’amore di sé che produce inimicizia nei confronti dell’altro, incapacità di accoglienza”.

Il prof. Cacciari ha anche sottolineato che “la povertà è proprio spogliarsi del possesso di sé. Spogliarsi della filopsichia, come ha fatto il santo. Se non lo fai necessariamente cadrai in compromessi e vivrai passioni tristi, come l’invidia, la gelosia, il risentimento, l’odio. Questo è l’appello di Francesco. Questa è la strada della letizia e della libertà, di chi si fa prossimo, la strada dell’amicizia, dell’annuncio lieto”.

Infine il filosofo ha sottolineato anche gli aspetti della misericordia e della letizia nel santo: “L’amore è esigentissimo e Francesco era tanto misericordioso quanto esigente, come Gesù. Misericordia non è un soccorrevole farsi vicino, ma è quando il mio cuore di fronte all’angoscia e al dolore dell’altro, va a pezzi, si ferisce. Solo attraverso questa ferita, il mio cuore si apre e posso accogliere l’altro, come ha fatto il samaritano nel Vangelo”.

Ha concluso l’incontro evidenziando che il cammino di san Francesco è “correre verso l’altro lietamente, è farsi prossimo. Va bandita ogni staticità e nebulosità. Francesco ai suoi frati diceva che la loro predicazione doveva essere lieta. Lui ha sete di andare, di testimoniare, che è sete di martirio. E per questa sete irrefrenabile, corre dal sultano per mostrare il Verbum a piedi nudi, libero. Mostra il Vangelo lietamente, gli mostra cosa ha operato in lui la fede, e il sultano ne rimane affascinato”.

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