Dal Rinnovamento nello Spirito la proposta di Zaccheo

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‘Gesù è il Signore!’: con questo grido di lode si è aperta l’ultima mattina della Convocazione nazionale dei gruppi e delle comunità del Rinnovamento nello Spirito, svoltosi a Rimini. Un incontro incentrato sulla responsabilità di Zaccheo, come ha sottolineato il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, prof. Stefano Zamagni:

“Nel termine responsabilità è possibile trovare una risposta afferente. Responsabilità significa, letteralmente, capacità di risposta e questo ci indica che siamo di fronte a una nozione intrinsecamente relazionale. L’atto del rispondere, infatti, rinvia necessariamente alla dualità fra chi dà e chi riceve risposta e al loro rapporto. Ma responsabilità, dal latino res-pondus, significa anche portare il peso delle cose, delle scelte effettuate.

Non solamente si risponde ‘a’, ma anche ‘di’. Se ‘rispondere a’ significa riconoscere il legame che gli altri ci costituiscono e ci fanno esistere almeno quanto la nostra individualità, ‘rispondere di’ vuol dire invece portare nel rapporto quella unicità e differenza che ci fa diversi dagli altri”.

Poi ha sottolineato il messaggio di speranza, contenuto nell’esortazione ‘Laudato Sì’: “L’uomo di oggi è afflitto dalla necessità di scegliersi i fini e non soltanto i mezzi. Di qui l’esigenza di una nuova speranza: di fronte al potenziarsi della catena dei mezzi, l’uomo contemporaneo non sembra trovare altra via che lasciarsene asservire o ribellarsi. Non era così quando la catena dei mezzi era meno potente. E’ comprensibile che la speranza di chi non ha sia diretta sull’avere: è questa la vecchia speranza.

Continuare a crederlo oggi sarebbe un errore. Se è vero che lasciar cadere la ricerca dei mezzi sarebbe stolto, ancor più vero è sapere che la nuova speranza va diretta sui fini. Avere speranza, oggi, significa precisamente questo: non considerarsi né come il mero risultato di processi che cadono fuori dal nostro controllo, né come una realtà autosufficiente senza bisogno di rapporti con l’altro”.

Infatti l’amministratore apostolico di Gerusalemme dei Latini, mons. Pierbattista Pizzaballa, ha esortato ad essere come Zaccheo: “Possiate diventare tanti sicomori sui quali i Zacchei di oggi possano arrampicarsi per vedere Gesù… Nulla è ancora perduto perché c’è ancora tanta gente disposta a spendersi per Cristo”.

Commentando il vangelo, mons. Pizzaballa si è soffermato su due concetti: la ‘scienza’ che permette di conoscere la realtà e ‘la sapienza’, che ‘dà sapore’ alla stessa: “«Siamo noi a servizio della comunità? Siamo noi a servizio della verità? Nel nostro parlare, nel nostro agire, nel nostro comportarci, siamo il Sicomoro della situazione? Ebbene, tutto ciò è possibile se è avvenuto quell’incontro personale e vivo con il Signore Gesù, incontro che ci porta a una decisione concreta, chiara, evidente, determinata e determinante verso la società, verso la vita”.

Al termine il presidente Salvatore Martinez ha rivolto a mons. Pizzaballa parole di gratitudine per la sua presenza a Rimini e per il suo impegno apostolico in Terra Santa: “Caro padre Pierbattista, sento vivo il desiderio di ringraziarti… Chi abbraccia il Sentiero di vita nuova nello Spirito in Terra Santa abbraccia davvero l’inizio di una vita nuova! Tu ci ha aiutato a comprendere quanto la profezia sia crocifissa, e Gesù stesso, rivolgendosi a Gerusalemme, dice: ‘Tu che uccidi i profeti!’. C’è davvero bisogno d’amore in questa Terra e… la sua polvere che si attacca ogni volta al nostro cuore, spinge a tornare ogni anno”.

Inoltre il presidente Martinez ha ricordato l’impegno che da qualche anno lega il Rinnovamento nello Spiriti alla terra di Gesù, per un progetto voluto da san Giovanni Paolo II prima e da papa Francesco oggi: la costruzione del ‘Centro internazionale Famiglia di Nazareth’. E nella relazione centrale mons. Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, ha analizzato due verbi del versetto (‘scendere’ e ‘accogliere’) ed i due sostantivi (‘la fretta’ e ‘la gioia’):

“Zaccheo è un uomo solo, inviso a tutti. Gesù gli chiede di scendere, di lasciare il posto sicuro e guadagnato, che ha una visuale apparentemente ottima ma lo lascia lontano da Lui e dagli altri. Bisogna scendere per vivere il rischio dell’incontro! E, certamente, a noi oggi è richiesta una discesa”.

Parlando della cultura dell’incontro mons. Marcianò si è soffermato sulla parola ‘accoglienza’: “Oggi strumentalizzata: c’è chi la pronuncia con terrore, chi ne fa una bandiera ideologica; tuttavia, il suo significato viene spesso sovvertito, perché letto in chiave parziale: chi vanta l’accoglienza dello straniero non accetta che si parli di accoglienza della vita, e viceversa.

Ma accogliere significa anzitutto aprire lo spazio della conoscenza dell’altro, che è sempre una novità, è sempre un mistero: il povero che bussa alle nostre mense come lo straniero che bussa ai nostri mari; il bambino che, forse, giunge indesiderato per una coppia… E accogliere significa farsi carico, riconoscendosi in un’unica storia, in un comune destino di fratelli”.

In apertura il vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, aveva posto una domanda: “Oggi noi siamo davanti a un bivio drammatico: o imbocchiamo il sentiero della gioia, o non ci rimane che affondare nelle sabbie mobili della noia. Sì: o la gioia o la noia. Ma come fa un cristiano spento e triste a portare un messaggio di gioia? Non è forse una contraddizione in termini?”

L’intervento del vescovo ha sottolineato il valore della fraternità: “Ci avevano detto che l’uomo discende dalla scimmia e va verso il nulla. Ci avevano detto che ognuno di noi è un pacco postale spedito dall’ostetricia all’obitorio. Ma Gesù ci ha detto che siamo figli teneramente e tenacemente amati dal Padre suo e Padre nostro”.

Questa è quindi la proposta della Chiesa: “Può accadere sostando sul Vangelo, lasciandosi ferire da una domanda, lasciandosi intercettare da una parola che ci risuona nelle fibre più intime dello spirito. Allora scocca la scintilla del contatto, e zampilla il fiotto della sorgente interiore. La stessa che Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire venerato tanto dalla Chiesa cattolica quanto da quella ortodossa, scriveva nella sua Lettera ai romani: «Un’acqua viva mormora dentro di me, e mi dice: vieni al Padre!”.

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