Da Matera Caritas coniuga carità e cultura

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“Una carità che vuole esprimere, plasmare e veicolare una buona cultura lo può fare solo se produce cambiamento. Nella consapevolezza che, oggi più di ieri, la cultura, le culture, sono mutevoli, porose, permeabili, cambiano dinamicamente e velocemente, in Italia e in Europa, all’interno di un contesto globale che le condiziona e le trasforma in continuazione. Ecco che anche la nostra carità non può che essere dinamica, innovativa, attenta ai cambiamenti culturali, ai nuovi fenomeni”.

Così don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, a conclusione del 41° Convegno nazionale delle Caritas diocesane svoltosi a Scanzano Jonico, ha delineato alcune piste di lavoro comune, sottolineando ‘il rischio di una cultura della carità che si riduca unicamente ad esercitazione accademica’. Da qui l’esigenza invece di una carità ‘interna, concreta, politica, ecologica, europea, educativa’:

“Tutto questo per noi oggi potrebbe quasi tradursi in un una sorta di mandato ad essere artisti di carità, attingendo dalla cultura cristiana del servizio, partendo dal cambiamento di sé per giungere ad un cambiamento della società”. Il convegno materano sul tema ‘Carità e cultura’ è stato aperto dai saluti del presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, in cui aveva sottolineato che la carità ha anche un valore culturale: “La carità deve davvero potersi fare cultura, come opportunamente titola il vostro Convegno…fino a rinnovare una comunità; fino a tessere autentiche reti di solidarietà culturale, diffusa e condivisa, per essere Chiesa capace di riscoprire la bellezza della propria missione”.

Al messaggio del card. Bassetti si è aggiunto anche quello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha sottolineato come “la carità è cultura che non divide, che rispetta le differenze, che ha riguardo per l’ambiente e promuove il bene comune. La carità conferisce concretezza all’ideale umanistico e consente di tenere sempre vivo quel proposito di sviluppo integrale della persona, che è alle fondamenta della nostra costituzione repubblicana”.

Nella prima giornata l’arcivescovo della diocesi di Matera-Irsina, mons. Giuseppe Caiazzo, aveva sollecitato a “dire no a ogni forma di prevaricazione, di ricatto della cultura e del malaffare mafioso” ed ha auspicato che dal Convegno possa arrivare un “forte messaggio di speranza per una cultura dell’integrazione che diventa carità nella condivisione”.

Nella prolusione il presidente della Caritas italiana, mons. Corrado Pizziolo, ha tracciato il percorso che ha condotto la Caritas ad approfondire il legame tra carità e cultura: “Intendendo infatti la carità come forma pratica della fede… come forma relazionale che la fede assume quando si incontra con la realtà dell’altra persona, è certamente possibile, anzi doveroso, affermare che la carità introduce nella cultura umana delle figure concrete di vita che contribuiscono a dar forma al costume cristiano di una comunità, di un paese, di un popolo. Certo occorrerà continuamente domandarsi se questi comportamenti cristiani… se questo ‘costume cristiano’ di una comunità sia davvero in grado di attestare in modo efficace e convincente il Vangelo di Gesù di fronte a tutti gli uomini. Ma questa domanda non fa altro che confermare il fatto che la carità può costituire cultura, elemento cioè che entra nel modo di sentire, pensare e agire di una comunità umana”.

Ed ha concluso la prolusione con l’auspicio di mostrare un volto ‘pasquale’: “Comunque si articoli questo percorso, ci sorregge la certezza che il nostro sforzo continuo e prioritario deve restare quello pedagogico-culturale: leggere la realtà e i segni dei tempi, cercando di incidere sulla cultura senza lasciarsi appiattire sul fare… In altre parole dobbiamo avere, come il cieco Bartimeo di Marco 10, l’ostinata capacità di andare controcorrente, in modo dinamico, superando l’accidia, o, peggio ancora, l’omertà, cioè il tacere per paura di metterci in gioco…

L’auspicio è che sappiamo trasmettere questo impulso alle nostre comunità perché siano in grado di assumere un volto e una identità sempre più ‘pasquali’, capaci cioè di vivere quel movimento di uscita da se stesse, dai propri ripiegamenti e dalle proprie chiusure che è richiesto dalla fede e dall’incontro con Gesù morto e risorto. Atteggiamenti inseparabili dall’attenzione verso il povero, dalla pratica dell’accoglienza, dall’uso responsabile dei beni, dalla giustizia sociale, sia locale che planetaria”.

Nella prima relazione il prof. Giuseppe Savagnone, direttore dell’ufficio di Pastorale della cultura diocesi di Palermo, aveva esordito testimoniando, in base alla sua esperienza, la problematicità del rapporto ‘tra la carità e la cultura, più in generale tra il Vangelo e la cultura’, partendo dal fallimento del ‘Progetto culturale’:

“Oggi ne raccogliamo i frutti. La carità è derisa come ‘buonismo’ e la cultura non si riconosce più nel vangelo. Nei luoghi della cultura, innanzi tutto nella scuola, ci sono sì tanti cattolici, ma, anche se sono magari catechisti in parrocchia, insegnano le proprie discipline uniformandosi alle mode culturali e senza mai chiedersi che nesso abbiano con il vangelo. Reciprocamente, nei luoghi della carità, le parrocchie, ci sono i riti, che le rendono stazioni di servizio, ma non c’è la cultura…

Ma, ancora più drammaticamente, si vedono nella crisi culturale ed esistenziale di un’epoca che per la prima volta si chiede non se esiste Dio, ma se esiste l’uomo. Le nuove tecnologie (si pensi al campo della comunicazione, ma anche alla manipolazione genetica, alle teorie del gender, all’ecologismo estremo, all’animalismo) sembrano confermare la diagnosi di Foucault. La carità più grande, oggi è quella della verità, che riguarda i poveri di verità, nel tempo della post-verità e delle fake-news, e coinvolge i poveri di pane perché cambia la mentalità dei ricchi”.

Dalla periferia di Palermo alla periferia anatolica con il racconto del vicario apostolico, mons. Paolo Bizzetti: “L’azione caritativa di tipo evangelico è molto particolare: conduce a contemplare il volto di Gesù, unica icona autentica di Dio. Ma quale volto di Gesù? Quello di colui che distribuisce pane e pesci fino alla sazietà, con anche qualcosa che avanza per la volta successiva, o quello del crocifisso, dell’umiliato, dell’impotente, del macinato dall’ingranaggio perverso di un mondo che non vuole vedere i poveri e i loro diritti?

Abitando in Turchia mi sono reso conto che è necessario che noi cristiani approfondiamo proprio questo punto perché i musulmani aiutano i poveri, sono attenti a donare al povero: come sappiamo l’elemosina è uno dei pilastri dell’Islam come lo era del Giudaismo del tempo di Gesù. Nella città dove vivo di circa 180.000 abitanti hanno accolto circa 30.000 profughi! Quando leggo che in Italia si rifiuta qualche centinaio di persone ridotte all’estremo, mi vengono tanti dubbi su dove ci sia ancora un po’ di spirito umano ed evangelico.

Il governo turco attuale direi che è più attento alle classi disagiate che non il nostro, non c’è dubbio. Sono stati fatti sforzi enormi, da anni, per arrivare nelle periferie e nei villaggi per portare aiuti essenziali. Certo, tutto questo, mi si dirà, è spesso per risvolti elettorali, ma non è solo questo. L’accoglienza di quasi quattro milioni di rifugiati in Turchia, manifesta che c’è un reale sentimento di compassione diffuso, sia tra chi governa sia tra la gente comune”.

E citando Paul Ricoeur ha evidenziato la necessità delle opere di carità: “Se le opere di carità del cristianesimo non fanno intravedere, non ricordano, non raccontano che nascono dall’incontro con il Dio di Gesù, con Gesù icona di Dio, diventano solo assistenzialismo, opera sociale; ben vengano, ma riducono il cristianesimo a etica, ad altruismo, non sono manifestazione della Caritas Dei, come afferma un filosofo contemporaneo non credente che forse comprende meglio di tanti credenti quale è lo specifico del cristianesimo.

La secolarizzazione non nega al singolo di ricorrere al trascendente, ma relega la fede nell’aura sacra del tempio e la riduce a culto o scelta interiore, scollegata da ogni incarnazione nella storia e nella società”.

Infine da Crotone suor Michela Marchetti, direttrice del centro antiviolenza ‘Udite Agar’, ha raccontato storie di donne e di marginalità sociale e realtà territoriale, presentando l’esperienza della cooperativa sociale ‘Noemi’ che nell’arcidiocesi di Crotone-Santa Severina ha sviluppato da 20 anni azioni di prevenzione a favore di ragazze, adolescenti e giovani, di contrasto alla violenza sulle donne, di supporto a famiglie e a minori.

Ricordando che in Italia sono 6.788.000 le donne che hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza, ha poi sottolineato che 55 hanno ricevuto aiuto dal Centro antiviolenza di Crotone ‘Udite Agar’ avviato nel 2016 con l’obiettivo di essere segno e di attivare percorsi di cambiamento: “Carità è cultura perché ci dà l’ottica con cui guardiamo alla realtà, leggiamo le cause che producono povertà e tentiamo così di cambiare rotta. Il diritto a un lavoro dignitoso è oggi ancora per molte giovani donne del sud un lontano sogno”.

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