Il papa in Marocco tra Gerusalemme e migranti

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Nell’incontro con il re del Marocco, Mohammed VI, papa Francesco ha sottoscritto un appello su Gerusalemme, in cui si riconoscono riconoscendo l’unicità e la sacralità di Gerusalemme, avendo a cuore il suo significato spirituale e la sua peculiare vocazione di Città della Pace:

“Noi riteniamo importante preservare la Città santa di Gerusalemme/Al Qods Acharif come patrimonio comune dell’umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo. A tale scopo devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e la peculiare identità culturale di Gerusalemme/Al Qods Acharif.

Auspichiamo, di conseguenza, che nella Città santa siano garantiti la piena libertà di accesso ai fedeli delle tre religioni monoteiste e il diritto di ciascuna di esercitarvi il proprio culto, così che a Gerusalemme/Al Qods Acharif si elevi, da parte dei loro fedeli, la preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità sulla terra”.

Tale appello è in continuazione con la posizione della Santa Sede, espressa da papa san Giovanni Paolo II nel 1985 nella stessa occasione, la vista in Marocco, che così rispose ad una domanda di un giornalista sulla Città Santa: “Sì, i musulmani sono convinti che Gerusalemme deve avere uno statuto speciale, come punto centrale e capitale di tre religioni monoteiste e non dovrebbe essere solo la capitale di Israele, ma la sua caratteristica dovrebbe essere una capitale delle religioni, delle tre religioni monoteiste, e questa è anche la visione della Santa Sede e di Paolo VI, e poi come questo dovrebbe essere realizzato è un’altra. Fondamentalmente io continuo l’attitudine dei miei predecessori. Stiamo ancora lavorando per la soluzione della complicatissima questione del Medio Oriente”.

Nell’incontro con il popolo e le autorità del Marocco il papa ha sottolineato l’anniversario dell’incontro di san Francesco con il sultano al-Malik al-Kamil: “Quell’evento profetico dimostra che il coraggio dell’incontro e della mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità, là dove l’estremismo e l’odio sono fattori di divisione e di distruzione. Inoltre, auspico che la stima, il rispetto e la collaborazione tra di noi contribuiscano ad approfondire i nostri legami di amicizia sincera, per consentire alle nostre comunità di preparare un futuro migliore alle nuove generazioni”.

Ed ha incoraggiato ad un dialogo ‘coraggioso’ come metodo: “E’ quindi essenziale, per partecipare all’edificazione di una società aperta, plurale e solidale, sviluppare e assumere costantemente e senza cedimenti la cultura del dialogo come strada da percorrere; la collaborazione come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio. E’ questa via che siamo chiamati a seguire senza mai stancarci, per aiutarci a superare insieme le tensioni e le incomprensioni, le maschere e gli stereotipi che portano sempre alla paura e alla contrapposizione; e così aprire la strada a uno spirito di collaborazione proficua e rispettosa”.

Il papa ha delineato la strada della solidarietà: “E’ infatti indispensabile opporre al fanatismo e al fondamentalismo la solidarietà di tutti i credenti, avendo come riferimenti inestimabili del nostro agire i valori che ci sono comuni. In questa prospettiva, sono lieto di poter visitare tra poco l’Istituto Mohammed VI per imam, predicatori e predicatrici, voluto da Vostra Maestà, allo scopo di fornire una formazione adeguata e sana contro tutte le forme di estremismo, che portano spesso alla violenza e al terrorismo e che, in ogni caso, costituiscono un’offesa alla religione e a Dio stesso. Sappiamo infatti quanto sia necessaria una preparazione appropriata delle future guide religiose, se vogliamo ravvivare il vero senso religioso nei cuori delle nuove generazioni”.

Nel dialogo è importante la presenza del ‘fattore religioso’ per la costruzione della libertà: “Pertanto, un dialogo autentico ci invita a non sottovalutare l’importanza del fattore religioso per costruire ponti tra gli uomini e per affrontare con successo le sfide precedentemente evocate. Infatti, nel rispetto delle nostre differenze, la fede in Dio ci porta a riconoscere l’eminente dignità di ogni essere umano, come pure i suoi diritti inalienabili.

Noi crediamo che Dio ha creato gli esseri umani uguali in diritti, doveri e dignità e che li ha chiamati a vivere come fratelli e a diffondere i valori del bene, della carità e della pace. Ecco perché la libertà di coscienza e la libertà religiosa (che non si limita alla sola libertà di culto ma deve consentire a ciascuno di vivere secondo la propria convinzione religiosa) sono inseparabilmente legate alla dignità umana.

In questo spirito, abbiamo sempre bisogno di passare dalla semplice tolleranza al rispetto e alla stima per gli altri. Perché si tratta di scoprire e accogliere l’altro nella peculiarità della sua fede e di arricchirsi a vicenda con la differenza, in una relazione segnata dalla benevolenza e dalla ricerca di ciò che possiamo fare insieme. Così intesa, la costruzione di ponti tra gli uomini, dal punto di vista del dialogo interreligioso, chiede di essere vissuta sotto il segno della convivialità, dell’amicizia e, ancor più, della fraternità”.

Ed ha sottolineato il grande valore del ‘Global compact’: “Ugualmente, la grave crisi migratoria che oggi stiamo affrontando è per tutti un appello urgente a cercare i mezzi concreti per sradicare le cause che costringono tante persone a lasciare il loro Paese, la loro famiglia, e a ritrovarsi spesso emarginate, rifiutate. Da questo punto di vista, sempre qui in Marocco, lo scorso dicembre, la Conferenza intergovernativa sul Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare ha adottato un documento che vuole essere un punto di riferimento per l’intera comunità internazionale.

Nello stesso tempo, è vero che resta ancora molto da fare, specialmente perché occorre passare dagli impegni presi con quel documento, almeno a livello morale, ad azioni concrete e, specialmente, ad un cambiamento di disposizione verso i migranti, che li affermi come persone, non come numeri, che ne riconosca nei fatti e nelle decisioni politiche i diritti e la dignità.

Voi sapete quanto ho a cuore la sorte, spesso terribile, di queste persone, che, in gran parte, non lascerebbero i loro Paesi se non fossero costrette… Quando le condizioni lo consentiranno, essi potranno decidere di tornare a casa in condizioni di sicurezza, rispettose della loro dignità e dei loro diritti.

Si tratta di un fenomeno che non troverà mai una soluzione nella costruzione di barriere, nella diffusione della paura dell’altro o nella negazione di assistenza a quanti aspirano a un legittimo miglioramento per sé stessi e per le loro famiglie. Sappiamo anche che il consolidamento di una vera pace passa attraverso la ricerca della giustizia sociale, indispensabile per correggere gli squilibri economici e i disordini politici che sono sempre stati fattori principali di tensione e di minaccia per l’intera umanità”.

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