Il papa ai camilliani indica la strada della misericordia

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L’incontro con papa Francesco ha concluso l’incontro dei Superiori Maggiori dell’Ordine Camilliano, svoltosi a Roma in preparazione del capitolo generale in programma nel maggio del prossimo anno. Nell’incontro con il papa il superiore generale, p. Leocir Pessini, ha spiegato come la ‘famiglia’ camilliana si prepara al capitolo generale:

“Siamo animati dalla passione per una efficace evangelizzazione del mondo della salute, nella cura delle persone ammalate, per continuare ad essere testimoni della premura e della misericordia di Dio, soprattutto nelle periferie del mondo, per continuare a sostenere e qualificare la guarigione samaritana dell’uomo ferito, fragile, stanco. Desideriamo continuare a vivere la prospettiva carismatica di san Camillo de Lellis, secondo l’ispirazione evangelica che nella Chiesa e con la Chiesa possiamo alimentare ed implementare”.

Quindi papa Francesco ha ricordato la loro vocazione primaria: “Voi siete costantemente impegnati in una donazione amorevole e generosa verso i malati, svolgendo una missione preziosa, nella Chiesa e nella società, accanto ai sofferenti.

Quando la malattia arriva a turbare e a volte a sconvolgere la nostra vita, allora sentiamo forte il bisogno di avere accanto a noi un fratello o una sorella compassionevole e anche competente, che ci consola, ci sostiene, ci aiuta a recuperare il bene prezioso della salute, oppure ci accompagna fino alle soglie del nostro incontro finale con il Signore!”

La missione affidata da Dio a san Camillo de Lellis consiste nell’assistenza ai malati: “Ma in particolare a San Camillo de Lellis e a tutti coloro che ne seguono l’esempio, Dio ha elargito il dono di rivivere e testimoniare l’amore misericordioso di Cristo verso i malati. La Chiesa lo ha riconosciuto come un autentico carisma dello Spirito.

Voi lo vivete in maniera esemplare, traducendolo in vita secondo il doppio binario dell’assistere direttamente i malati, specialmente i più poveri, nei loro bisogni corporali e spirituali, e dell’insegnare ad altri il modo migliore di servirli, a beneficio della Chiesa e dell’umanità”.

Le opere svolte dall’Ordine è al servizio del sofferente: “Nel corso degli anni, voi vi siete sforzati di incarnare con fedeltà il vostro carisma, traducendolo in una molteplicità di opere apostoliche e in servizio pastorale a beneficio dell’umanità sofferente in tutto il mondo. Nel solco di questa missione, che alcuni membri delle vostre famiglie religiose hanno vissuto in modo eroico diventando modelli di santità, siete chiamati a proseguire il vostro servizio in maniera profetica.

Si tratta di guardare al futuro, aperti alle forme nuove di apostolato che lo Spirito vi ispira e che i segni dei tempi e le necessità del mondo e della Chiesa richiedono. Il grande dono che avete ricevuto è ancora attuale e necessario anche per questa nostra epoca, perché è fondato sulla carità che non avrà mai fine”.

Ed ha ricordato il carisma del fondatore dell’Ordine: “San Camillo de Lellis, che tutti riconoscete come ‘Padre’, è vissuto in un’epoca in cui non era ancora maturata la possibilità della vita consacrata attiva per le donne, ma solo quella di tipo contemplativo e monastico.

Egli ha costituito, pertanto, un Ordine di soli uomini. Tuttavia, aveva ben compreso che la cura verso gli infermi doveva essere praticata anche con gli atteggiamenti tipici dell’animo femminile, tanto da chiedere ai suoi religiosi di servire i malati ‘con quell’affetto che una madre amorevole suole avere per il suo unico figlio infermo’.

Le due Congregazioni femminili sorte nell’Ottocento e gli Istituti secolari nati nel secolo scorso hanno dato completezza all’espressione del carisma della misericordia verso gli infermi, arricchendolo delle qualità spiccatamente femminili dell’amore e della cura”.

Concludendo l’incontro li ha invitati alla fedeltà del carisma dato: “Siate sempre più consapevoli che ‘è nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo’. Nella fedeltà all’ispirazione iniziale del Fondatore e delle Fondatrici, e in ascolto delle tante forme di sofferenza e di povertà dell’umanità di oggi, saprete in tal modo far risplendere di luce sempre nuova il dono ricevuto; e tante e tanti giovani di tutto il mondo potranno sentirsi da esso attirati e unirsi a voi, per continuare a testimoniare la tenerezza di Dio”.

Nei giorni dell’incontro il dott. Gianni Cervellera, membro della Consulta Nazionale CEI per la Pastorale della Salute, aveva sottolineato la ‘stanchezza’ di Elia, invitando a non cedere allo scoraggiamento: “Siamo nell’ambito della profezia, e dunque, collochiamo all’orizzonte della nostra riflessione un profeta: Elia; in quel particolare episodio quando, stanco della fatica di compiere la sua missione, vuole lasciarsi morire. Elia ha vinto sui profeti di Baal, fedeli alla regina Gezabele. E li ha scannati lungo le rive del torrente Kison.

La regina, adirata per la sconfitta e l’umiliazione, giura di uccidere Elia entro le 24 ore. Il profeta ha paura e fugge. Stanco e provato chiede a Dio di morire. Che strano ha da poco conseguito un successo e non riesce neppure a goderlo. Scoraggiato, non pensa neppure che Dio possa andare in suo soccorso, cosi come ha fatto poco prima. Il successo, anche quello dei profeti (anzi, quello soprattutto) suscita ira, gelosia, invidia: anche oggi. E’ troppo facile dimenticare il favore di Dio anche quando Dio fa miracoli per noi.

E’ comodo nascondere la propria vigliaccheria dietro motivazioni di scarso apprezzamento di se. Possiamo però comprendere lo stato d’animo di Elia, basti pensare ai tanti scoraggiamenti di chi ha speso energie di una vita e ora vede tutto dileguarsi, svanire, senza nessuna possibilità di futuro. I tanti religiosi e religiose che hanno speso una vita e ora assistono alla svendita delle loro opere e spesso del loro carisma. Ai tanti sacerdoti che hanno fatto vivere parrocchie adesso sempre più vuote. Ai laici che hanno creduto di poter costruire nuove realtà e che vedono il loro lavoro alla mercé di falsi paladini della fede cattolica”.

Invece suor Carmen Ros Norte, sotto-segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, ha evidenziato l’aspetto interculturale: “Oggi siamo invitati a reinventare il nostro modo di vivere la missione in un contesto interculturale, per rispondere alle sfide di un mondo globalizzato che lascia, via via, sempre più persone ai margini della strada…

La formazione permanente alla vita interculturale deve divenire una priorità per noi tutti. Oggi viviamo in un mondo che è passato dal ‘mono’ (monoculturale) al ‘multi’ e all’ ‘inter’: inter-nazionale, inter-culturale, inter-relazionale, inter-religioso, inter-congregazionale.

In un tale mondo, pieno di rischi ed incognite, nessuna persona, nessuna istituzione, nessuna congregazione, nessuna comunità può pretendere di costruire il futuro soltanto con le sue forze. Ma questa costruzione passa attraverso il coraggio e l’umile pazienza dell’incontro nella verità, del dialogo, dell’ascolto, della messa in comune delle risorse, dell’aiuto reciproco”.

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