Da Gerusalemme un invito al sacramento quaresimale

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Da Gerusalemme, cuore della fede, mons. Pierbattista Pizzaballa ha inviato un messaggio per vivere la Quaresima come ‘segno sacramentale della nostra conversione’:

“Vorrei che tutti noi, insieme alla nostra Chiesa, tornassimo alla consapevolezza che anima la liturgia e la fede dei cristiani in questo tempo: l’espressione che la liturgia userà in questi giorni, ‘quadragesimale sacramentum’, sacramento quaresimale, non è anzitutto opera nostra né una nostra invenzione: nei giorni che si aprono davanti a noi sarà Cristo stesso a entrare nei nostri deserti, a sperimentare le nostre tentazioni, e a unirci alla Sua vittoria perché possiamo, sempre di nuovo, partecipare con Lui al suo trionfo pasquale sul peccato e sulla morte”.

Poi ha invitato i cristiani a ‘volgere lo sguardo al Signore’: “Se la Chiesa non ha esitato a definire la Quaresima e la Pasqua ‘sacramentum’, è per ricordarci che ora, qui, Gesù stesso, nella forza dello Spirito e nell’obbedienza della nostra fede, si mette accanto a noi e percorre con noi la strada del deserto, fino a quando non arriveremo nel giardino di Pasqua, di fronte al Suo e ai nostri sepolcri, finalmente svuotati da ogni angoscia e dolore di morte”.

La sfida chiesta dal periodo quaresimale consiste nella ‘fioritura’ del deserto, sfidando l’aridità: “E’ questo il dono e l’impegno della Quaresima: sfidare il deserto, affrontare l’aridità delle nostre vite e delle nostre attività, anche pastorali talvolta, senza cedere alle scorciatoie del miracolo, del compromesso, della sfiducia o, peggio, del peccato, ma condividendo la fiducia e la speranza di Gesù nell’amore del Padre e nella bellezza del Regno.

Cristo nel deserto, nella tentazione, nello scoraggiamento, nella sfiducia, ha immesso la forza dello Spirito promessa a chiunque come lui si fida e si affida alla Parola di Dio. ‘Sta scritto’ anche per noi che Dio è fedele, che anche a noi sono destinati angeli per consolare la nostra stanchezza e sostenere il cammino, che esiste anche per noi un esodo pasquale dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dalla sfiducia alla speranza”.

Ed ha rivolto una parola incoraggiante alle comunità presenti nella terra di Gesù: “In questo nostro tempo, in questa nostra Chiesa, in queste nostre comunità, così provate, a volte così simili al deserto quaresimale, si può celebrare ‘in spirito e verità’ il sacramento quaresimale, se daremo ancora e sempre spazio all’ascolto della Parola di Dio, se ‘digiuneremo’ dall’egoismo, dall’individualismo e dalla sfiducia, se accoglieremo il povero e il bisognoso:

dentro le nostre vite, allora, liberate così da ogni falsa sicurezza, divenute così disponibili al dono e alla condivisione, potrà farsi strada la fecondità della Pasqua, che è Vita che nasce dall’offerta di sé”.

Infine ha invitato i fedeli alla preghiera ed all’ascolto della Parola di Dio: “Si torni a pregare nelle nostre parrocchie, si torni cioè ad ascoltare Dio prima che se stessi, si celebri con fede e convinzione il sacramento della riconciliazione; si torni a digiunare nella nostra vita, si torni cioè a rinunciare a ciò che riempie la pancia ma non sazia il cuore, si torni all’Eucaristia, quindi, non come a un rito ma come a una scuola dove imparare che solo l’amore, ricevuto e condiviso, sazia davvero la nostra fame di vita e di felicità;

si torni a donare, più che ad accumulare, come ci ricorda con sempre maggiore forza il Santo Padre, perché non l’Io ma gli altri e la loro salvezza sono il motivo del nostro esistere e del nostro agire da cristiani e da consacrati. Lo Spirito Santo, che spinge Cristo e noi nel deserto del mondo perché con la nostra fede lo trasformiamo in giardino, ci illumini, ci accompagni e ci apra alla novità dell’esistenza pasquale”.

Anche nel commento delle letture della II Domenica di Quaresima mons. Pizzaballa ha evidenziato che la tentazione si vince con la bellezza della trasfigurazione: “La trasfigurazione, infatti, non è per Lui. Il Vangelo sottolinea che questo episodio della vita di Gesù, questa esperienza di gloria, non è rivolta a Lui, ma ai discepoli: i protagonisti sono loro…

Perché i discepoli hanno bisogno di questa esperienza? Cosa devono capire? Un indizio ci viene dal contesto. Il Vangelo ci dice che questo episodio accadde ‘sei giorni dopo’. Sei giorni dopo cosa? Nei versetti precedenti troviamo Gesù con i suoi a Cesarea di Filippo; con loro dialoga sulla sua identità e inizia ad annunciare che la sua missione a breve affronterà l’esperienza del fallimento, della sconfitta, del rifiuto, della morte violenta.

Ed è lì che Pietro lo prende in disparte e vorrebbe convincerlo che questa fine non è possibile neppure immaginarla: ‘Dio te ne scampi, Signore’. Non aveva capito nulla. Allora Gesù li prende in disparte: non per smentire quello che aveva appena detto, ma per mostrare loro che quella via di passione e di morte è in realtà una via di gloria. Per rivelare ai suoi intimi amici che le due cose non si possono separare e che ogni mistero di amore vissuto fino al dono totale di sé è già di per sé un’esperienza incredibile di luce e di vita. Questo, per un attimo, i discepoli intravedono…

La difficoltà, per Pietro, per i discepoli, per noi, è proprio tenere insieme le due facce di questo mistero. E’ credere, per fede, che in realtà non si tratta se non di un unico, inseparabile evento, in cui l’abbassamento più abissale apre la porta dell’innalzamento più vero. Questo è il mistero di Gesù, ma questa è anche la verità dell’uomo.

Non capiscono ancora tutto, anzi; ma avranno qualcosa da ricordare quando il Signore sarà risorto; potranno ricordare di avere già visto quanta bellezza racchiudeva quella vita incamminata verso Gerusalemme. La Passione metterà a nudo la loro povera fede e svelerà la fragilità della loro amicizia con il Signore”.

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