Sacrofano: papa chiede di essere liberi dalla paura

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Con una celebrazione eucaristica papa Francesco ha aperto il meeting ‘Liberi dalla paura’, organizzato dalla Fondazione Migrantes, dalla Caritas Italiana e dal Centro Astalli, alla ‘Fraterna Domus’ di Sacrofano. L’iniziativa, secondo gli organizzatori, ‘intende essere un momento di comunione con famiglie, parrocchie, istituti religiosi e altre realtà’ impegnate in percorsi di ospitalità di migranti.

In pratica tutti soggetti che operano nell’accoglienza e nell’integrazione si incontreranno per condividere esperienze e testimonianze ma anche per fare un bilancio della mobilitazione a livello diocesano e parrocchiale avvenuta a seguito dell’appello del Papa all’Angelus del 6 settembre 2015. Quindi il meeting di Sacrofano è un’occasione per lanciare un messaggio di fiducia all’Italia e per far conoscere le esperienze che hanno innescato percorsi virtuosi di solidarietà e hanno arricchito le comunità a livello umano.

Nell’omelia il papa ha sottolineato ha ripreso l’incoraggiamento di Mosè al popolo ebraico a non avere paura della libertà: “Il lungo viaggio attraverso il deserto, necessario per giungere alla Terra promessa, comincia con questa prima grande prova. Israele è chiamato a guardare oltre le avversità del momento, a superare la paura e riporre piena fiducia nell’azione salvifica e misteriosa del Signore”.

Anche nel vangelo Gesù invita a non avere paura della realtà: “Nella pagina del Vangelo di Matteo, i discepoli restano turbati e gridano per la paura alla vista del Maestro che cammina sulle acque, pensando che sia un fantasma. Sulla barca agitata dal forte vento, essi non sono capaci di riconoscere Gesù”.

Ed a proposito del titolo del meeting ha sottolineato che occorre liberarsi dalla paura: “La paura è l’origine della schiavitù: gli israeliti preferirono diventare schiavi per paura. E’ anche l’origine di ogni dittatura, perché sulla paura del popolo cresce la violenza dei dittatori. Di fronte alle cattiverie e alle brutture del nostro tempo, anche noi, come il popolo d’Israele, siamo tentati di abbandonare il nostro sogno di libertà”.

Anche se la ‘paura’ è legittima davanti ai cambiamenti: “Proviamo legittima paura di fronte a situazioni che ci sembrano senza via d’uscita. E non bastano le parole umane di un condottiero o di un profeta a rassicurarci, quando non riusciamo a sentire la presenza di Dio e non siamo capaci di abbandonarci alla sua provvidenza. Così, ci chiudiamo in noi stessi, nelle nostre fragili sicurezze umane, nel circolo delle persone amate, nella nostra routine rassicurante. E alla fine rinunciamo al viaggio verso la Terra promessa per tornare alla schiavitù dell’Egitto”.

Secondo il papa la paura è legittima perché si è impreparati: “E questo si nota particolarmente oggi, di fronte all’arrivo di migranti e rifugiati che bussano alla nostra porta in cerca di protezione, sicurezza e un futuro migliore. E’ vero, il timore è legittimo, anche perché manca la preparazione a questo incontro”.

Ed avverte: “Rinunciare a un incontro non è umano. Siamo chiamati invece a superare la paura per aprirci all’incontro. E per fare questo non bastano giustificazioni razionali e calcoli statistici. Mosè dice al popolo di fronte al Mar Rosso, con un nemico agguerrito che lo incalza alle spalle: ‘Non abbiate paura’, perché il Signore non abbandona il suo popolo, ma agisce misteriosamente nella storia per realizzare il suo piano di salvezza. Mosè parla così semplicemente perché si fida di Dio”.

Quindi l’incontro con l’altro è un incontro con Gesù, che non riconosciamo: “Anche noi, come Pietro, potremmo essere tentati di mettere Gesù alla prova e di chiedergli un segno. E magari, dopo qualche passo titubante verso di Lui, rimanere nuovamente vittime delle nostre paure. Ma il Signore non ci abbandona! Anche se siamo uomini e donne ‘di poca fede’, Cristo continua a tendere la sua mano per salvarci e permettere l’incontro con Lui, un incontro che ci salva e ci restituisce la gioia di essere suoi discepoli”.

Ha concluso l’omelia invitando a non perdere occasione di un incontro: “Se questa è una valida chiave di lettura della nostra storia di oggi, allora dovremmo cominciare a ringraziare chi ci dà l’occasione di questo incontro, ossia gli ‘altri’ che bussano alle nostre porte, offrendoci la possibilità di superare le nostre paure per incontrare, accogliere e assistere Gesù in persona.

E chi ha avuto la forza di lasciarsi liberare dalla paura, chi ha sperimentato la gioia di questo incontro è chiamato oggi ad annunciarlo sui tetti, apertamente, per aiutare altri a fare lo stesso, predisponendosi all’incontro con Cristo e la sua salvezza”.

Nel documento finale del meeting si sottolinea che l’accoglienza è uno stile di vita: “L’accoglienza per le nostre comunità è un dono, perché ci offre l’occasione di guardare al futuro con più speranza. L’incontro ci permette di toccare con mano di quante risorse umane, morali e culturali ciascuno è portatore e quanto possono essere ricche e creative le società che riescono a valorizzare le diversità e mettere a frutto i talenti di ciascuno in una prospettiva comune.

Accogliere è il nostro modo di contribuire alla costruzione di una società rinnovata, capace di lasciarsi alle spalle l’ingiustizia del mondo e offrire alle generazioni più giovani un futuro di pace, di crescita economica, di maggiore equità sociale”.

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