Giornata del ricordo: condannare ogni atrocità

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Con la caduta del regime fascista e la dissoluzione dell’esercito e dello Stato italiani dopo l’Armistizio dell’8 settembre, i partigiani di Tito occuparono alcuni dei maggiori centri dell’Istria e infierirono sulla popolazione civile, arrestando, torturando e gettando nelle foibe (le cavità carsiche dell’Istria) molti italiani. Per i comunisti si trattò di reazione spontanea e violenta dopo anni di oppressione.

Per gli storici più equilibrati già in questa prima fase di violenza che spesso culminava con l’infoibamento delle vittime (spesso ancora vive) era evidente la volontà della dirigenza della nuova Jugoslavia comunista di colpire gli italiani in quanto tali, e non soltanto i fascisti. Il movimento comunista di Tito aveva infatti motivazioni sociali e una forte componente nazionale e mirava a conquistare con qualsiasi mezzo terre e città italiane.

Tra gli obiettivi c’erano non soltanto Zara, Fiume, Pola e i vari centri dell’Istria occidentale, ma anche Trieste, Gorizia e Udine. Nella primavera del 1945 l’esercito di Tito occupò la maggior parte delle città, da Trieste a Gorizia, da Pola a Fiume, inclusi tutti i centri costieri dell’Istria occidentale.

L’occupazione (o liberazione, secondo il punto di vista jugoslavo) di queste città durò poco più di un mese, dai primi di maggio ai primi di giugno, quando gli angloamericani imposero ai titini di ritirarsi. Un mese fu sufficiente per seminare il terrore. Si instaurò così un regime di terrore che avrebbe portato la popolazione italiana a lasciare la terra natale.

Per ricordare questi eventi nel ‘Giorno del ricordo’, istituito con la legge 30 marzo 2004 n. 92, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha incontrato i soci delle associazioni degli esuli istriani e dalmati, introdotti dalla lettura di una pagina di ‘Addio alla Città di Pola’ di mons. Antonio Santin, che ha svolto un delicato ruolo di raccordo tra tedeschi, partigiani, ed alleati negli avvenimenti del periodo aprile-maggio del 1945 sia a Trieste che nell’Istria, dove più volte rischiò di esser ucciso da entrambe le parti: “Eravamo nei primi mesi del 1945.

Ero a Gallignana dove dovevo avere un appuntamento con partigiani, che me lo avevano chiesto… Pensai di approfittarne per fare una capatina a Rovigno… salii al duomo e mi inginocchiai davanti all’arca di S. Eufemia, la nostra santa, a pregare; guardai quel duomo, quel mare, quelle case, quei luoghi, che avevo in cuore dalla mia fanciullezza e triste ripresi la via del ritorno. Fu l’ultima volta che vidi la mia città… Fui e sono un sacerdote cattolico e mi sforzai sempre di essere giusto.

Mi sforzai di esserlo in tempi difficili, quando tenere dure in certi settori (lingua slava nelle chiese, difesa dei sacerdoti slavi ecc.) e affermare certe tesi (i diritti delle popolazioni slave) era difficile e pericoloso… E se ieri difesi ebrei e slavi perseguitati, oggi difendo gli italiani cacciati dalle loro terre…. Alludo alle terre che, da sempre abitate da italiani, sono state aggiudicate contro ogni diritto ad altra nazione”.

Così visse il dramma dell’esodo istriano, recandosi a Pola, prima che venisse consegnata ai titini, per confortare la popolazione: “Alle rive era attraccata la ‘Toscana’, che raccoglieva i naufraghi di questo spaventoso fortunale che devastava una grande città. Tutta una popolazione che lasciava la propria città, case, chiese, campagne, cimitero, marine, tutto quello che era stato vita, lavoro, gioia, speranze e partiva. Nessuno si domandava dove sarebbe finito.

Sarebbe finito in Italia, accolti male, in America, in Australia, nell’Europa del nord. Tutto il mondo li ha visti passare. Questa città vuota era un urlo di protesta contro l’ingiustizia, e di disperazione. Nessuno si chiese perché questa gente (e quelli dell’Istria, e di Fiume) se n’andava, impietrita dal dolore, con l’anima vuota e fredda come le case che lasciava”.

Nel discorso il presidente Mattarella ha parlato di questo ‘capitolo buio’, che si inserisce passaggio tra la Seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda: “Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano, in larga parte, la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave.

Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo: quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del ‘900, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti. Un destino crudele per gli italiani dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia, attestato dalla presenza, contemporanea, nello stesso territorio, di due simboli dell’orrore: la Risiera di San Sabba e le Foibe”.

Nell’intervento il presidente della Repubblica ha ricordato l’aggressività del regime comunista: “L’aggressività del nuovo regime comunista li costrinse, con il terrore e la persecuzione, ad abbandonare le proprie case, le proprie aziende, le proprie terre. Chi resisteva, chi si opponeva, chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla. Essere italiano, difendere le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria religione, la propria lingua era motivo di sospetto e di persecuzione.

Cominciò il drammatico esodo verso l’Italia: uno stillicidio, durato un decennio. Paesi e città si spopolavano dalla secolare presenza italiana, sparivano lingua, dialetti e cultura millenaria, venivano smantellate reti familiari, sociali ed economiche”.

Ed ha ricordato anche le ‘colpe’ occidentali: “La guerra fredda, con le sue durissime contrapposizioni ideologiche e militari, fece prevalere, in quegli anni, la real-politik. L’Occidente finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito, considerato come un contenimento della aggressività della Russia sovietica.

Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani, cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria”.

Ed infine ha ricordato il compito dell’Europa: “L’ideale di Europa è nata tra le tragiche macerie della guerra, tra le stragi e le persecuzioni, tra i fili spinati dei campi della morte… L’ideale europeo, e la sua realizzazione nell’Unione, è stato, ed è tuttora, per tutto il mondo, un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace.

Un modo di vivere e di concepire la democrazia che va incoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee, che vanno dalle guerre commerciali, spesso causa di altri conflitti, alle negazioni dei diritti universali, al pericoloso processo di riarmo nucleare, al terrorismo fondamentalista di matrice islamista, alle tentazioni di risolvere la complessità dei problemi attraverso scorciatoie autoritarie”.

Infine, durante la celebrazione eucaristica nella diocesi di Ferrara, mons. Giancarlo Perego ha sottolineato che la verità non si deve tacere: “Un male e un peccato che talora non è più legato alla sola azione di un singolo, ma diventa strutturale, decisione comunitaria, confermata da una comunicazione diffusa.

Come è avvenuto nelle foibe, in questo angolo d’Italia dimenticato e abbandonato dal 1943 alla fine della seconda guerra mondiale, una realtà drammatica e violenta, che ha accompagnato un esodo di decine di migliaia di persone, costretti a lasciare le terre dell’Istria, della Dalmazia e di Fiume per arrivare e trovare rifugio nelle nostre città e in altre città europee, con il disagio di un limbo identitario durato alcuni anni ed essere risolto solo nell’Italia democratica.

Un dramma come altri che hanno segnato gravemente un momento storico del nostro Paese e dell’Europa”.

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