Reddito di cittadinanza: cinque idee per migliorarlo

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Il Reddito di Cittadinanza, così come sembra delinearsi dalla manovra, ‘non risolve i problemi della povertà perché è totalmente schiacciato sulle politiche attive del lavoro’: così l’Alleanza contro la povertà, la rete di 35 associazioni nata in Italia nel 2013 per chiedere uno strumento universale di contrasto all’indigenza, chiede invece al governo di ‘mantenere e rafforzare uno specifico strumento di contrasto alla povertà assoluta.

Il Fondo povertà non può essere destinato a misure con finalità diverse da quelle perseguite dal Reddito di inclusione’. In una nota l’Alleanza contro la povertà ha espresso il proprio rammarico per lo scarso coinvolgimento nell’elaborazione della misura: “Ciò ha impedito di beneficiare del sapere e dell’esperienza della gran parte degli individui e dei soggetti organizzati quotidianamente a fianco dei poveri, raccolti appunto nell’Alleanza”.

Innanzitutto l’avvio iniziale presenta alcune problematicità: “Ci si riferisce all’invio iniziale dei nuclei aventi diritto al RdC ai centri per l’impiego (percorso per il lavoro) o ai servizi sociali comunali (percorso per l’inclusione sociale). Si tratta di un punto al quale dedicare, a nostro parere, particolare attenzione, poiché influenza in modo decisivo l’intero percorso degli utenti. Per assegnare a ciascuno il percorso più rispondente al proprio bisogno il Rei prevede il pre-assessment di ogni nucleo da parte di operatori sociali specializzati dei Comuni.

Questo modello risulta preferibile in via generale. Tuttavia, i servizi sociali comunali non paiono oggi in condizioni di fornire un pre-assessment all’ampia mole di nuova utenza prevista in breve tempo con l’introduzione del RdC. Dunque, almeno nell’immediato, l’invio dei nuclei ai Comuni o ai Cpi per via amministrativa sembra inevitabile”.

Ed anche il coordinamento tra Centri per l’Impiego e Servizi Sociali Comunali non è di facile gestione: “Si ritiene auspicabile facilitare la possibilità che il nucleo o suoi singoli componenti possano, in qualunque momento successivo all’accesso iniziale presso uno dei due soggetti, ricorrere (anche) agli interventi previsti dall’altro, nell’ambito di una progettazione integrata delle risposte…

Evidentemente la necessità di rafforzare la collaborazione tra Cpi e Servizi Sociali Comunali non può essere risolta per via normativa, né solo potenziando una piattaforma digitale di dialogo e cooperazione applicativa. Dunque, il Decreto dovrebbe anche prevedere la predisposizione, in tempi rapidi, di linee guida per il coordinamento tra Cpi e Servizi Sociali Comunali, elaborate di intesa tra Stato e Conferenza delle Regioni”.

Ed ha sottolineato il ruolo delle regioni e del welfare locale: “E’ diffuso, nei territori, il timore che il passaggio al RdC vanifichi i faticosi processi di avviamento o rafforzamento della rete locale per il contrasto alla povertà realizzati con il Rei. Si tratta di un rischio da evitare, per non perdere il prezioso lavoro compiuto sinora nei territori. Il rafforzamento della collaborazione tra Comuni e CPI, dunque, dovrebbe essere parte di una strategia complessiva per la promozione della rete del welfare locale.

Una strategia che valorizzi la cooperazione tra i Comuni a livello di Ambito Sociale e poi con tutti i servizi territoriali, e promuova altresì il ruolo del Terzo Settore, nelle sue articolate componenti, nella programmazione e nella realizzazione di una strategia integrata di risposte locali contro la povertà in collaborazione con tutti gli attori della rete. Solo una sostanziale collaborazione il livello statale e le Regioni permetterà di costruire le condizioni necessarie ai territori per realizzare al meglio il RdC.

Bisognerebbe, dunque, non solo riconoscere opportunamente nel Decreto il ruolo delle Regioni nell’architettura istituzionale del nostro Paese ma anche prevedere maggiori modalità di confronto e collaborazione tra le Regioni e lo Stato nei diversi passaggi legati all’implementazione della misura”.

Infine un appunto sui progetti di utilità sociale: “L’attuale formulazione dell’art 4, comma 15, dovrebbe essere rivista al fine tanto di rafforzare le tutele rispetto ai rischi insiti in tali progetti quanto di rendere possibile l’effettiva realizzazione delle loro potenzialità.

Da una parte, infatti, pare necessario precisare che i progetti non debbono essere in alcun modo sostitutivi di attività retribuite svolte da altri attori e che la loro realizzazione ha natura temporanea. Dall’altra, sembra necessario rendere il vincolo delle 8 ore settimanali flessibile, in base al tipo di progetto e di utenza poiché, per alcune tipologie di interventi si tratta di un limite troppo basso”.

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