Il papa sull’aereo: i bambini sono l’orgoglio di una Nazione

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Appena rientrato a Roma da Panama papa Francesco, come di consuetudine, si è recato alla Basilica di Santa Maria Maggiore per la preghiera di ringraziamento ai piedi dell’icona ‘Salus populi romani’: è stata la visita sessantottesima dall’inizio del pontificato. E durante il volo di ritorno papa Francesco ha incontrato i giornalisti, ringraziandoli per il lavoro svolto:

“Buona sera e poi buon riposo perché è sicuro che tutti sono stanchi, dopo questo viaggio così forte. Grazie del vostro lavoro. Ho vissuto cose che non immaginavo, sorprese, come questa ragazza 16enne dell’Honduras: vittima di bullismo, ha cantato con una voce bellissima una canzone che ha scritto lei”.

La citazione papale si riferisce ad una sottolineatura del direttore della sala stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, che ha mostrato un foglio con un testo scritto a mano: “Questa è una canzone che ha scritto una ragazza dell’Honduras, Marta Avila: è contro il bullismo”.

Le prime domande hanno riguardato le prime ‘reazioni’ del papa sulla Giornata Mondiale della Gioventù, appena conclusa: “La mia missione, in una Giornata della Gioventù, è la missione di Pietro, confermare nella fede e questo non con mandati ‘freddi’ o precettivi, ma lasciandomi toccare il cuore e rispondendo a quello che lì accade. Io lo vivo così, mi costa pensare che qualcuno possa compiere una missione solo con la testa. Per compiere una missione bisogna sentire, e quando senti vieni colpito. Ti colpisce la vita, ti colpiscono i problemi”.

Ed ha raccontato di un episodio accadutogli durante il saluto di commiato al presidente panamense, quando hanno portato un bambino di colore, simpatico, la cui mamma era morta durante il passaggio della frontiera con la Colombia:

“Il dramma di un bambino abbandonato dalla vita, perché sua mamma è morta e un poliziotto lo ha consegnato alle autorità perché se ne facciano carico. Questo ti colpisce, e così la missione comincia a prendere colore, ti fa dire qualcosa, ti fa accarezzare. La missione sempre ti coinvolge. Almeno a me coinvolge.

Dico sempre ai giovani: voi quello che fate nella vita lo dovete fare camminando, e con i tre linguaggi: quello della testa, quello del cuore, quello delle mani. E i tre linguaggi armonizzati, in modo che pensiate ciò che sentite e ciò che fate, sentiate ciò che pensate e ciò che fate, facciate ciò che sentite e ciò che pensate. Non so fare un bilancio della missione.

Io con tutto questo vado davanti al Signore a pregare, a volte mi addormento davanti al Signore, ma portando tutte queste cose che ho vissuto nella missione e gli chiedo che Lui confermi nella fede attraverso di me. Questo è come cerco di vivere la missione del Papa e come la vivo”.

Poi ha risposto ad una domanda in cui si chiedeva la motivazione per cui molti si allontanano dalla Chiesa: “Sono tanti, alcuni sono personali. Ma il più generale è la mancanza di testimonianza dei cristiani, dei preti, dei vescovi. Non dico dei Papi, perché è troppo, ma… anche pure. Se un pastore fa l’imprenditore o l’organizzatore di un piano pastorale, se non è vicino alla gente, non dà una testimonianza di pastore. Il pastore deve essere con la gente. Il pastore deve essere davanti al gregge, per indicare il cammino.

In mezzo al gregge per sentire l’odore della gente e capire che cosa sente la gente, di che cosa ha bisogno. E deve essere dietro il gregge per custodire la retroguardia. Ma se un pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata o prova un certo senso di disprezzo. Si sente orfana. Ho parlato dei pastori, ma ci sono anche i cristiani, i cattolici.

Ci sono i cattolici ipocriti, che vanno a messa tutte le domeniche e non pagano la tredicesima, ti pagano in nero, sfruttano la gente. E poi vanno ai Caraibi a fare le vacanze, con lo sfruttamento della gente. Se fai questo dai una contro-testimonianza. Questo a mio parere è ciò che allontana di più la gente dalla Chiesa. Ai laici suggerirei: non dire che sei cattolico, se non dai testimonianza”.

Altro tema importante, che riguarda in maniera consistente il CentrAmerica (ma non solo) sono le gravidanze precoci e l’aborto: “Credo che nelle scuole bisogna dare l’educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio non è un mostro. E’ il dono di Dio per amare e se qualcuno lo usa per guadagnare denaro o sfruttare l’altro, è un problema diverso. Bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, come è, senza colonizzazioni ideologiche.

Perché se nelle scuole si dà un’educazione sessuale imbevuta di colonizzazioni ideologiche, distruggi la persona. Il sesso come dono di Dio deve essere educato, non con rigidezza. Educato, da ‘educere’, per far emergere il meglio della persona e accompagnarla nel cammino. Il problema è nei responsabili dell’educazione, sia a livello nazionale che locale come pure di ciascuna unità scolastica: che maestri si trovano per questo, che libri di testo…

Io ne ho visti di ogni tipo, ci sono cose che fanno maturare e altre che fanno danno… L’ideale è che comincino a casa, con i genitori. Non sempre è possibile per tante situazioni della famiglia o perché non sanno come farlo. La scuola supplisce a questo, e deve farlo, sennò resta un vuoto che viene riempito da qualsiasi ideologia… Il messaggio della misericordia è per tutti, anche per la persona umana che è in gestazione.

Dopo questo fallimento, c’è pure misericordia. Ma una misericordia difficile, perché il problema non è dare il perdono ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di avere abortito. Sono drammi terribili. Una donna quando pensa quello che ha fatto… Bisogna essere nel confessionale, lì devi dare consolazione e per questo ho concesso a tutti i preti la facoltà di assolvere l’aborto per misericordia… Con Dio, la riconciliazione c’è già, Dio perdona sempre. Ma anche lei deve elaborare quanto è accaduto. Il dramma dell’aborto, per capirlo bene, bisogna stare in un confessionale. Terribile”.

Un’altra domanda ha riguardato la situazione venezuelana: “Io appoggio tutto il popolo venezuelano, che sta soffrendo. Se mi mettessi a dire ‘date retta a questi Paesi o a quegli altri’, mi metterei in un ruolo che non conosco. Sarebbe una imprudenza pastorale da parte mia e farei danno. Le parole che ho detto le ho pensate e ripensate, ho espresso la mia vicinanza e quello che sento. Io soffro per tutto questo.

Mettersi d’accordo, non ci si riesce? Una soluzione giusta e pacifica. Mi fa paura lo spargimento di sangue. E per questo chiedo di essere grandi a coloro che possono aiutare a risolvere il problema. Il problema della violenza mi atterrisce. Dopo tutto lo sforzo fatto in Colombia, quello che è accaduto nella scuola dei cadetti di polizia è spaventoso. Devo essere un pastore. E se hanno bisogno di aiuto, che si mettano d’accordo e lo chiedano”.

Ed infine la domanda sulla situazione dei migranti: “E’ vero che il problema dei migranti è un problema molto complesso, un problema per cui ci vuole memoria, domandarsi se la mia patria è stata fatta da migranti. Noi argentini tutti migranti, gli Stati Uniti tutti migranti…

E anche dico: il governante deve usare la prudenza perché la prudenza è la virtù del governante. Questo l’ho detto nell’ultimo volo. E’ una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese che negli anni ’70 con le dittature dell’America Latina ha ricevuto tanti, ma tutti integrati.

Anche vedo cosa fa Sant’Egidio per esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: fermatevi un po’ perché non possiamo finire il percorso; e questa è la prudenza del governante. E’ un problema di carità, di amore, di solidarietà e io ribadisco che le nazioni più generose nel ricevere (altre non sono riuscite a farlo tanto) sono state l’Italia e la Grecia, anche un po’ la Turchia. Quando io sono andato a Lampedusa, era l’inizio…

Ma è vero che si deve pensare realisticamente. Poi c’è un’altra cosa importante, di cui tenere conto: un modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono migranti. I migranti o vengono per fame o vengono per guerra. Bisogna investire dove c’è la fame, e l’Europa è capace di farlo. Occorre aiutare a crescere. Ma sempre c’è, parlando dell’Africa, quell’immaginario collettivo che noi abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata. Questo è storico e questo fa male.

I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre via d’uscita. Il Libano è una meraviglia di generosità: ha più di un milione di siriani. La Giordania è lo stesso, aperti, fanno quello che possono. E anche la Turchia ha ricevuto qualcuno e noi in Italia abbiamo ricevuto qualcuno. E’ un problema complesso, di cui si deve parlare senza pregiudizi”.

Ed ha concluso la conferenza stampa con una piccola annotazione del viaggio a Panama: “Ho visto che sollevavano i bambini, come a dire ‘questo è il mio orgoglio, la mia fortuna’. Nell’inverno demografico che stiamo vivendo in Europa, in Italia è sotto zero, qual è l’orgoglio? Il turismo, la villa, il cagnolino? O alzare un bambino? Pensiamoci”.

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