Papa Francesco ai sacerdoti: chiedere da bere per ripartire

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Questa mattina, in attesa di incontrare i giovani, papa Francesco ha celebrato la Santa Messa con la dedicazione dell’altare della cattedrale di Santa Maria la Antigua insieme ai sacerdoti, ai consacrati ed ai rappresentanti dei movimenti laicali; una cattedrale in stile spagnola, india ed africana e sotto l’altare le reliquie di san Martin di Porres, santo mulatto il cui padre fu governatore di Panama, di santa Rosa di Lima, la mistica del Perù, di san Giovanni Paolo II e di san Romero, che fanno da corona all’immagine di santa Maria la Antigua, arrivata da Siviglia nel XVI secolo.

Prima della celebrazione eucaristica papa Francesco ha donato un Ostensorio, realizzato in metallo dorato e argentato nell’ambito della moderna manifattura di oggetti artistici destinati alla liturgia, ed ha incontrato una delegazione di 40 giovani polacchi del veliero ‘Dar Mlodziezy’, in crociera intorno al mondo in occasione della GMG e per il Centenario della riconquista della indipendenza della Polonia.

Durante l’omelia il papa ha raccontato della ‘sete’ di Gesù, perché è stanco: “Il vangelo che abbiamo ascoltato non esita a presentarci Gesù stanco di camminare. A mezzogiorno, quando il sole si fa sentire con tutta la sua forza e potenza, lo troviamo presso il pozzo. Aveva bisogno di placare e saziare la sete, ristorare i suoi passi, recuperare le forze per continuare la missione.

I discepoli hanno vissuto in prima persona quello che significava la dedizione e la disponibilità del Signore per portare la Buona Notizia ai poveri, fasciare i cuori feriti, proclamare la liberazione ai prigionieri e la libertà ai prigionieri, consolare chi si trovava nel dolore e proclamare un anno di grazia per tutti. Sono tutte situazioni che ti prendono la vita e l’energia; e ‘non hanno risparmiato’ nel regalarci tanti momenti importanti nella vita del Maestro, dove anche la nostra umanità possa incontrare una parola di Vita”.

Papa Francesco ha messo in evidenza che anche i consacrati sentono la stanchezza: “Le cause e i motivi che possono provocare la fatica del cammino in noi sacerdoti, consacrati e consacrate, membri dei movimenti laicali, sono molteplici: dalle lunghe ore di lavoro che lasciano poco tempo per mangiare, riposare e stare in famiglia, fino a ‘tossiche’ condizioni lavorative e affettive che portano allo sfinimento e logorano il cuore;

dalla semplice e quotidiana dedizione fino al peso rutinario di chi non trova il gusto, il riconoscimento o il sostegno per far fronte alle necessità di ogni giorno; dalle abituali e prevedibili situazioni complicate fino alle stressanti e angustianti ore di tensione. Tutta una gamma di pesi da sopportare”.

E si cerca un ristoro per trovare sollievo dalla stanchezza e ripartire : “E’ una stanchezza paralizzante. Nasce dal guardare avanti e non sapere come reagire di fronte all’intensità e all’incertezza dei cambiamenti che come società stiamo attraversando. Questi cambiamenti sembrerebbero non solo mettere in discussione le nostre modalità di espressione e di impegno, le nostre abitudini e i nostri atteggiamenti di fronte alla realtà, ma porre in dubbio, in molti casi, la praticabilità stessa della vita religiosa nel mondo di oggi”.

Inoltre il papa li ha messi in guardia dalla ‘velocità dei cambiamenti’, che porta alla ‘stanchezza della speranza’: “E anche la velocità di questi cambiamenti può portare a immobilizzare ogni scelta e opinione, e ciò che poteva essere significativo e importante in altri tempi, sembra non avere più spazio. La stanchezza della speranza nasce dal constatare una Chiesa ferita dal suo peccato e che molte volte non ha saputo ascoltare tante grida nelle quali si celava il grido del Maestro: ‘Dio mio, perché mi hai abbandonato?’.

Così possiamo abituarci a vivere con una speranza stanca davanti al futuro incerto e sconosciuto, e questo fa sì che trovi posto un grigio pragmatismo nel cuore delle nostre comunità. Tutto apparentemente sembra procedere normalmente, ma in realtà la fede si consuma e si rovina”.

Di fronte alla stanchezza anche Gesù ha bisogno di dissetarsi e domanda un sorso d’acqua, instaurando un dialogo, che ‘scandalizza’ con la Samaritana: “Sappiamo, come lei sapeva bene, che nemmeno la conoscenza religiosa, la giustificazione di determinate scelte e tradizioni passate o presenti, ci rendono sempre fecondi e appassionati ‘adoratori in spirito e verità’.

‘Dammi da bere’ è quello che chiede il Signore, ed è quello che chiede a noi di dire. Nel dirlo, apriamo la porta della nostra stanca speranza per tornare senza paura al pozzo fondante del primo amore, quando Gesù è passato per la nostra strada, ci ha guardato con misericordia, ci ha chiesto di seguirlo; nel dirlo, recuperiamo la memoria di quel momento in cui i suoi occhi hanno incrociato i nostri, il momento in cui ci ha fatto sentire che ci amava, e non solo in modo personale ma anche come comunità”.

Alla richiesta di Gesù fa da corollario la controrichiesta della Samaritana, invitandoli ad ascoltare lo Spirito Santo: “Dammi da bere significa avere il coraggio di lasciarsi purificare e di recuperare la parte più autentica dei nostri carismi originari, che non si limitano solo alla vita religiosa, ma a tutta la Chiesa, e vedere in quali modalità si possano esprimere oggi.

Si tratta non solo di guardare con gratitudine il passato, ma di andare in cerca delle radici della sua ispirazione e lasciare che risuonino nuovamente con forza tra di noi. ‘Dammi da bere’ significa riconoscersi bisognosi che lo Spirito ci trasformi in uomini e donne memori di un passaggio, il passaggio salvifico di Dio. E fiduciosi che, come ha fatto ieri, così continuerà a fare domani”.

Questa richiesta fiduciosa si trasforma in speranza, che eviterà la commiserazione: “La speranza stanca sarà guarita e godrà di quella ‘particolare fatica del cuore’ quando non temerà di ritornare al luogo del primo amore e riuscirà ad incontrare, nelle periferie e nelle sfide che oggi ci si presentano, lo stesso canto, lo stesso sguardo che suscitò il canto e lo sguardo dei nostri padri. Così eviteremo il rischio di partire da noi stessi e abbandoneremo la stancante autocommiserazione per incontrare gli occhi con cui Cristo oggi continua a cercarci, a chiamarci e a invitarci alla missione”.

Al termine della celebrazione papa Francesco ha sottolineato il significato del restauro della cattedrale riaperta al culto: “Non mi sembra un avvenimento di poco conto che questa Cattedrale riapra le porte dopo un lungo tempo di restauro. Ha sperimentato il passare degli anni, come fedele testimone della storia di questo popolo, e con l’aiuto e il lavoro di molti ha voluto di nuovo regalare la sua bellezza.

Più che una formale ricostruzione, che tenta sempre di ritornare a un originale passato, ha cercato di ritrovare la bellezza degli anni aprendosi a ospitare tutta la novità che il presente le poteva dare. Una Cattedrale spagnola, india e afroamericana diventa così Cattedrale panamense, di quelli di ieri, ma anche di quelli di oggi che l’hanno resa possibile. Non appartiene più solo al passato, ma è bellezza del presente”.

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