Diocesi: l’Epifania è un invito ad aprirsi alla manifestazione di Dio

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A Milano mons. Mario Delpini ha celebrato l’Epifania con la poesia di Eugenio Montale, Clemente Rebora e Alda Merini, con i versi dei quali si invita a riconoscersi nei Magi come ‘un po’ profeti ed un po’ poeti’, perché proprio nel componimento ‘Natale’ Alessandro Manzoni invita a riconoscere nel Bambino il Re del mondo: “Dormi, o celeste, i popoli / chi nato sia non sanno; / ma il dì verrà che nobile / retaggio tuo saranno; / che in quell’umil riposo, / che nella polve ascoso / conosceranno il Re”.

Il vescovo nell’omelia ha invitato ad evitare i luoghi comuni di una fede che invece è vita: “Non continuate a ripetere i luoghi comuni che riducono la gente di questa terra a gente sempre di fretta, sempre intenta a calcolare, a progettare, a vendere ed a comprare! Questa è anche terra di inquietudini, di attese, di domande, di pensieri. Questa gente è anche gente che alza la testa per leggere i cieli e indovinarvi una promessa. Questa terra è anche terra di poeti…

La ‘terra dei poeti’ è necessaria per permettere a Dio di cercare e redimere l’uomo: “La nostra è terra di poeti e c’è uno spiraglio di poesia anche in questa gente che sembra sempre di fretta, in questa terra che sembra fatta solo per lavorare, in questa terra la gente custodisce uno spiraglio e forse da quello spiraglio irrompe la luce della stella e la grandissima gioia.

Possiamo quindi accompagnare la conclusione del periodo delle feste natalizie con la benedizione che il Signore è venuto a portare, per fare alleanza tra il cielo e la terra, per annunciare il Regno di Dio. Molti non lo sanno, molti forse non lo cercano, ma credenti si incantano nella contemplazione e tornano agli impegni consueti responsabili della speranza”.

Anche dalla diocesi di Ferrara mons. Gian Carlo Perego ha insistito sulla bellezza delle festività natalizie: “E questa luce muove uomini e donne e illumina tutti i popoli. Il Messia non è destinato a un popolo, ma a tutti i popoli dice Isaia e trasforma il cuore di tutti coloro che si affidano a Lui.

Sappiamo tutti come viviamo in mezzo a molti discorsi e a tanta confusione, a tante incertezze che vengono da parole vuote, che non solo ci disorientano, ma rischiano di indurire il nostro cuore. L’Epifania, con la presenza di Dio, cerca di aiutarci a illuminare la nostra coscienza, le nostre decisioni, per camminare serenamente nella quotidianità e nella storia”.

Chi segue la ‘luce’ è partecipe del mistero di Dio: “L’Epifania toglie ogni dubbio su ciò che è avvenuto a Natale e allarga a tutti i popoli i benefici della salvezza riservata anzitutto ai poveri, ai vicini, ai pastori. L’Epifania educa anche noi a metterci in cammino, a considerare importante l’impegno di vincere la pretesa di una salvezza ormai raggiunta e che invece va rimessa in gioco in ogni età della vita, in ogni situazione della storia, in ogni angolo della terra.

L’Epifania chiede la missione, spinge alla missione, a non tollerare che le persone che non hanno incontrato il Signore o hanno cambiato strada o vivono nelle tenebre del peccato rimangano sole, in una situazione di attesa, di disperazione, di confusione. Siamo chiamati ad essere come cristiani portatori della luce, che è Cristo Gesù, il Messia, che abbiamo incontrato bambino a Natale”.

Ed infine questa manifestazione epifanica ‘costringe’ il cristiano a guardare in alto: “Anche noi, nelle nostre città siamo chiamati a guardare in alto, a guardare oltre, a guardare attorno a noi le cose grandi che avvengono, soffocate dalle nostre paure, dai nostri sguardi a corto raggio, quasi narcisistici, talora campanilistici e ricercare il Signore. Dio è tra noi, è l’Emanuele e cambia le persone, offre nuove opportunità, non abbandona.

Non possiamo confondere la nostra debolezza, le nostre crisi e le nostre paure con l’assenza di Dio: essa è piuttosto frutto della nostra lontananza da Dio, della nostra incapacità a riconoscere nel Figlio di Dio la nostra condizione di figli, di ‘concittadini dei santi e familiari di Dio’. Non possiamo dare gli scarti della nostra vita, del nostro tempo e delle nostre cose, al Signore, ma il meglio di noi stessi, di ciò che possediamo, come i Magi hanno dato tre doni preziosi: oro, incenso e mirra”.

Mentre a L’Aquila il card. Giuseppe Petrocchi ha invitato i fedeli a scrutare il cielo: “Per imitare i Magi occorre scrutare il cielo della storia personale e collettiva; inoltre bisogna che questa esplorazione venga fatta ‘al plurale’, insieme ad altri, nel segno del ‘Noi-buono’: cioè, intellettualmente onesto e moralmente coerente. Lo sguardo va rivolto verso l’Alto, perché la ‘stella’, di cui parla il Vangelo, non si vede se si procede a faccia in giù.

Se uno si guarda addosso oppure osserva solo l’ambiente circostante, non si accorgerà delle ‘novità’ che Dio suscita sulla volta celeste dell’anima e nella comunità sociale, popolata di eventi. Infine, per essere fruttuosa la ricerca deve essere perseverante, e non occasionale o intermittente”.

Ma accanto ai Magi il Vangelo dipinge la figura di Erode, che è sempre attratto dal potere: “Il Vangelo ci parla pure di un personaggio sempre attuale: Erode, che, dentro questo scenario di luce, proietta un’ombra malefica. La sua strategia di morte è sempre la stessa: l’inganno subdolo e ammantato di falsa amicizia…

Erode ha un profilo che non resta confinato in un’epoca, ma costituisce una figura emblematica che attraversa tutta la storia: l’ ‘Erode del nostro tempo agisce come l’Erode di ieri. Anche oggi opera con scaltrezza insidiosa. E’ abile nel ricorrere al fascino perverso della menzogna: così il male viene spacciato come bene e il bene denunciato come male. Cambiano le maschere che assume e le modalità con cui mette in cantiere la sua ostilità, ma il fine è sempre lo stesso: estromettere Gesù, dalla società come dal cuore della gente.

Non c’è solo l’ ‘Erode’ esterno, ma c’è anche quello interiore, perché l’ ‘Erode’, che infesta la convivenza ecclesiale e civile, ha aperto una succursale anche in ciascuno di noi. Bisogna vigilare attentamente perché l’ ‘Erode-fuori’ si allea con l’ ‘Erode-dentro’ e insieme provocano gravi danni”.

Ricordando il suo 7^ anniversario da vescovo della diocesi di Taranto, mons. Filippo Santoro ha sottolineato che i Magi erano in ricerca perché si ponevano domande: “La prima risposta è che erano uomini inquieti, che non si accontentavano dello status quo e continuavano a cercare qualcosa più grande degli astri; una stella più bella di tutte le altre: cercavano qualcosa al di là dei loro beni, cercavano la verità; un bene più grande capace di illuminare il senso del mondo e la vita di tutti. Cercavano di sapere come si fa ad essere uomini con una dignità non sopraffatta dalla morte.

Cercavano la salvezza, cercavano Dio. Ed allora, coraggiosi, si sono messi in viaggio lasciando le loro comodità in una avventura non garantita, in un cammino misterioso. Qualcun altro aveva messo nel loro cuore il desiderio e, seguendo la stella, sono partiti, mossi dagli occhi e dal cuore”.

Quindi ha invitato ad essere ostinati alla speranza: “I Magi sono stati ostinati, anche noi dobbiamo esserlo, abbiamo infatti una speranza certa che da ragione alla nostra ostinazione di percorrere strade nuove ed impervie… Invito tutti voi ad ostinarvi con me, l’ho detto altre volte, ad ostinarvi nella speranza. Il centro notturno San Cataldo vescovo, ad esempio, è frutto di una generosità ostinata e condivisa. Ed oggi sarò a pranzo con loro.

Quando qualcuno sottilmente mi porge la battuta più meno maliziosa: ‘hai realizzato un albergo di lusso per i senzatetto’, io sento una grande soddisfazione. Abbiamo aperto a tutti la strada della bellezza e stiamo seguendo il percorso di papa Francesco che tratta i poveri come la ricchezza della Chiesa.

E’ frutto di ostinazione anche il Santuario Madonna della Salute e tutti gli sforzi fatti per la città vecchia perché noi pensando alla rinascita di questa parte di Taranto nutriamo la speranza biblica che anche il deserto può fiorire e dobbiamo crederlo realmente! C’è ancora molto da fare. Occorre un vigoroso lavoro congiunto nella difesa della salute, dell’ambiente, del lavoro e anche nell’accoglienza dei migranti che vagano nel Mare Nostrum”.

Anche da Rimini mons. Francesco Lambiasi ha ricordato che ‘Dio non scarta nessuno’: “Di più: la sua unica preferenza è proprio per le persone scartate. Abbiamo ascoltato le parole ardenti del profeta che invita Gerusalemme ad alzare gli occhi, a lasciarsi invadere dalla luce dilagante che piove dall’alto, e a contemplare con sguardo ammirato e giubilante l’incedere in pellegrinaggio verso la città santa, di tutte le nazioni.

Proprio tutte, nessuna esclusa. Noi abbiamo fatto eco al profeta con il salmo: ‘Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra’. Proprio tutti, senza eccezione”.

Ed ecco il compito affidato alle comunità cristiane, trasformarsi da ‘hostis’ (nemico) ad ‘hospes’ (ospitante): “Il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo. E’ il passo che le nostre comunità devono saper compiere, non dimenticando l’importanza dell’ospitalità che porta dalla paura all’incontro, dall’incontro alla relazione, dalla relazione all’integrazione”.

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