Il tempo e l’uomo nel pensiero di Benedetto XVI

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Carpire da cosa dipende la nostra identità personale nel tempo e oltre il tempo, riuscire a pensare ad un’idea di noi che non si spenga nel tempo, ma che continui oltre i limiti dell’oblio e della morte. Da queste riflessioni, l’altra sera nella Sala della Conciliazione del Vicariato di Roma è partito il secondo appuntamento delle tre letture teologiche promosse dalla diocesi di Roma e organizzate dall’ ufficio per la Pastorale universitaria, sulle grandi omelie pasquali di Benedetto XVI. Tema dell’ incontro, ispirato alle parole pronunciate dal papa nella Veglia Pasquale del 22 marzo 2008, “L’identità dell’uomo nel tempo e oltre il tempo”.

“ “Vado e vengo da voi” dice Gesù agli apostoli, – ha spiegato monsignor Livio Melina, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, e tra i relatori dell’incontro – così nella sua omelia pasquale, Benedetto XVI assume questa prospettiva narrativa, per spiegare come la Pasqua di Gesù illumini la nostra identità. È questo grande viaggio di Gesù, questo racconto del suo cammino, che offre la chiave per mia risposta alla domanda sull’identità dell’uomo nel tempo e oltre il tempo. In tal modo la Pasqua diventa la luce per illuminare l’essere. È la prospettiva della fine, del compimento definitivo, che permette di capire chi siamo e quale è il senso del nostro cammino”. E la nostra unicità parte dal fatto di essere soggetti umani concreti capaci di entrare in relazione con gli altri, e soprattutto di saper amare e sperare. Ed è proprio nell’ amore che il nostro corpo mortale, immerso in un tempo limitato, può cercare una promessa di eternità. E la vita diventa un dono che si deve imparare a ricevere e soprattutto a donare. “Solo nell’esperienza dell’amore – ha concluso monsignor Melina – possiamo sperimentare fin da ora quella vita eterna in cui si compirà, come comunione dei santi, la nostra identità personale.”.

Mentre Laura Palazzani docente presso la Libera Università Maria Santissima Assunta ha riportato il dibattito sull’ attualità della bioetica e sul significato della sofferenza e del morire. “Il Papa- ha spiegato – ci ricorda che “la corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza” e che “il nostro tempo è destinato a finire”. È importante oggi, proprio di fronte alla nuove sfide tecno-scientifiche, recuperare il senso del limite dell’uomo, della finitezza e vulnerabilità ontologica del corpo nell’accettazione della sofferenza, della malattia e della morte.” E solo da questa prospettiva che si può riuscire a comprendere le ragioni dell’ illegittimità dell’eutanasia, ma anche dell’ accanimento terapeutico. “Un diritto a morire con dignità – ha spiegato la docente – non significa anticipare la morte, ma vuol dire il diritto ad essere curati con cure proporzionate, rispetto ai rischi e ai benefici e ad essere accuditi quando inguaribili, con l’uso di cure palliative che aiutano il paziente a sopportare i dolori connessi alla sua patologia.”

L’incontro è stato concluso da Angelo Luigi Vescovi, direttore scientifico dell’ Ospedale di San Giovanni Rotondo “Casa Sollievo della sofferenza”, fondato da San Pio di Pietralcina, che ha spiegato come la persona umana percepisce solo in parte la propria vita e il suo essere parte del Creato. “Noi crediamo di essere separati dall’ esterno, ma è solo la nostra sensazione. In realtà ne siamo parte integrante, e così anche la morte diventa così più accettabile. Infatti non è altro che un passaggio naturale, e noi continuiamo ad esserci perché siamo parte del tutto”. Ultimo appuntamento con le letture teologiche, giovedì prossimo sempre in Vicariato alle ore 20 sul tema “La stabilità dell’uomo nel mondo globalizzato”.

 

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