Nella diocesi di Macerata l’Avvento è tempo della speranza

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“Oggi inizia l’Avvento, il tempo liturgico che ci prepara al Natale, invitandoci ad alzare lo sguardo e ad aprire il cuore per accogliere Gesù. In Avvento non viviamo solo l’attesa del Natale; veniamo invitati anche a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo, quando alla fine dei tempi tornerà, preparandoci all’incontro finale con Lui con scelte coerenti e coraggiose”: con queste parole papa Francesco ha iniziato il tempo di Avvento, chiedendo un cambio di mentalità.

Tale cambio di mentalità è stato sottolineato anche dalla lettera del vescovo di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, che ha citato san Gregorio Magno, che ha vissuto un ‘cambio d’epoca’: “Un mutamento che vede la crescente interazione tra tutti i popoli del mondo, con l’incontro e lo scontro tra le culture, in particolare lo spostamento del ‘centro del mondo’ e del luogo di produzione del futuro dall’Europa alla Cina e ai Paesi emergenti e un’accentuazione del fenomeno migratorio, che tocca tante parti del mondo e tanti popoli con numeri molto rilevanti, non solo di africani che vogliono venire in Europa.

Tutti questi eventi di veloce trasformazione del modo di abitare il mondo da parte dell’intera umanità, fanno giustamente parlare di un cambio di epoca ormai in atto. Negarlo sarebbe miope, farsene sconvolgere sarebbe mancare grandemente di fede nella Provvidenza, che sempre guida la storia”.

Ed in questo ‘cambio d’epoca’ egli fornisce “le coordinate per vivere il tempo liturgico che ci accompagna al Natale, animati insieme dal realismo e dalla fede. In quei giorni i Longobardi di Agilulfo erano giunti sotto le mura di Roma. Il papa precedente era morto di peste e la guerra, la fame, le malattie, flagellavano la terra, come tanto spesso si è verificato nella storia.

Commentando il testo di Luca 21, in cui Gesù preannuncia ai discepoli il rivelarsi dei segni della fine dei tempi, san Gregorio dice: ‘Il Signore e Redentore nostro, fratelli carissimi, desiderando trovarci pronti, preannuncia i mali che colpiranno il mondo ormai in declino, per frenarci dal provarne amore’.

Riflettendo sulla fine del mondo, san Gregorio insegna ai fedeli come vivere da credenti la fine di una precisa epoca storica, giudicando e valutandone i peccati da cui emendarsi, per camminare verso un futuro migliore, attendendo e confermando la fede nella rivelazione di Cristo: Signore della storia. Di fronte a prove e calamità il Papa invita ad alzare il capo, a sollevare i cuori, a guardare al futuro con speranza”.

Il vescovo di Macerata ha ribadito che l’Avvento è un tempo per scoprire la speranza: “La speranza cristiana, la grande virtù che l’Avvento ci aiuta spiritualmente a riscoprire e rinvigorire, apre a una visione dei cambiamenti della storia del tutto diversa. Non si tratta del vago ottimismo umanistico, che crede in un uomo radicalmente buono, che non ha bisogno di conversione e di salvezza dall’alto, per cui tutto ciò che l’uomo fa sarà sempre positivo.

Questo ottimismo, che vede sempre in ciò che è nuovo necessariamente un progresso, è quella fede irrazionale eppure tanto diffusa nel progresso necessario e perenne, soprattutto attuato dalla scienza, che ha portato l’umanità a un passo dall’apocalisse nucleare e rischia di mettere in crisi l’equilibrio ecologico del pianeta, rincorrendo una crescita costante e infinita della produzione di beni materiali.

Tra questo ottimismo e la speranza cristiana c’è una grande differenza. La speranza cristiana sa che l’umanità ha sempre bisogno di conversione e di salvezza dall’alto, altrimenti potrebbe precipitare nel male e nell’apocalisse. Perché il cuore dell’uomo può fare e amare il bene, ma anche fare il male se si allontana dalla luce di Dio. La speranza cristiana crede nella forza provvidente di Dio che guida la storia, ma sa che è una forza che ci responsabilizza e ci coinvolge, che ci chiede di farci suoi cooperatori nella costruzione del bene”.

Ed anche nella Lettera pastorale mons. Marconi aveva invitato a ‘celebrare la speranza’: “Il vangelo ci insegna così che la liturgia cristiana, anticipata nell’ultima cena, nasce sul calvario, da dove la sorgente dei sacramenti si riversa su un mondo incredulo e cieco e lo rende credente, capace di vedere, anzi di contemplare il mistero.

Solo così il mondo potrà correre al sepolcro di Cristo e vedere e credere nella salvezza. Il compito della Chiesa, oggi come sempre, è quello di accompagnare ogni uomo dal bordo della strada in cui spesso incrocia Gesù per caso, fin sotto la croce, dove celebra portato dalla fede e dove la sua fede entra nel cuore del mistero di Dio e si rigenera e rinnova. Un mondo in confusa ricerca di Dio.

Il cammino di quest’anno è più che mai impegnativo. O ne usciremo cambiati nella fede e nella vita, o sarà stato un cammino inutile. Ci sono poche alternative. Soprattutto oggi, per la generazione incredula di cui facciamo anche noi parte”.

Quindi il vescovo ha chiesto di imparare uno ‘stile nuovo’ di annuncio, fondato sull’accoglienza: “Ad essere sinceri, guardando la nostra chiesa concreta che vive nelle nostre contrade, questa accoglienza che annuncia è uno stile nuovo che dobbiamo ancora imparare. Questo modo di annunciare il Vangelo attraverso la celebrazione, che dovrebbe essere la via normale del nostro stile cristiano, è ancora un linguaggio che balbettiamo.

Facciamo riti, che faticano a diventare quella Sacra Liturgia che Dio si attende da noi e per la quale ci ha donato gratuitamente il ministero e ci convoca come popolo santo. La cosa è grave e forse non ci rendiamo conto di quanto sia urgente il cambiamento”.

Quindi ha chiesto di non ‘svendere la perla preziosa’: “Dobbiamo essere ben coscienti dei rischi che si corrono, potremmo dirlo con un’immagine forte e bella: quello di ridurre il cuore trafitto di Cristo all’orlo del mantello. Cioè quello di puntare troppo in basso nella logica di un’accoglienza aperta e positiva, che rimanga però minimale nella richiesta dell’impegno in un cammino di fede”.

Ed ecco l’impegno a cui la comunità cristiana è chiamata, camminare accanto: “La Chiesa italiana, ed anche la nostra Chiesa diocesana devono camminare prendendo atto del cambiamento culturale in atto, cercando di essere più seri ed impegnati sul tema dalla liturgia e della celebrazione dei sacramenti, senza però diventare rigoristi.

Per camminare verso questo obiettivo dobbiamo continuare ad accogliere le persone e fare delle proposte di una ritualità più aperta, capace di ospitare la domanda religiosa con disponibilità, nello stile dell’orlo del mantello. Ma favorendo sempre l’inizio di un cammino, che conduca alla piena celebrazione, per raggiungere l’esperienza dell’incontro con il cuore trafitto di Gesù”.

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