Venezia: il patriarca Moraglia invita a sconfiggere l’indifferenza

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Il 21 novembre di ogni anno, da quasi quattro secoli, si celebra a Venezia la festa della Madonna della Salute. Essa condivide le stesse radici della festa del Redentore; infatti nasce da un’epidemia di peste del 1630-1631. Disperati, il doge Nicolò Contarini e il patriarca Giovanni Tiepolo, organizzarono una processione di preghiera che raccolse tutti i cittadini superstiti e ebbe la durata di tre giorni e tre notti.

I veneziani, inoltre, fecero voto solenne alla Madonna che avrebbero costruito un tempio in suo onore se la città fosse sopravvissuta all’epidemia. In poche settimane i contagi diminuirono fino a fermarsi completamente, ma lasciando un bilancio di circa 47.000 morti (circa un quarto della popolazione), compresi il doge e il patriarca. Il governo della Serenissima portò a termine il suo voto e fece costruire la maestosa basilica della Madonna della Salute nella zona della Dogana da Mar, ben visibile dalla basilica di san Marco.

Così durante l’omelia il patriarca Francesco Moraglia ha ricordato il significato della festa: “Da quasi quattro secoli, infatti, dolori, gioie e grazie arrivano e passano per la Salute; qui molte persone e famiglie hanno ritrovato la pace pregando innanzi alla tenera effige della Madre”.

Ha invitato a guardare questo volto dell’icona, che ispira tenerezza: “La Madre stringe fra le braccia il Figlio di Dio e lo mostra a noi che viviamo il non sempre facile pellegrinaggio terreno, fra gioie e dolori. Così la Madre dona il Figlio e il piccolo Gesù benedicente stringe nella sua piccola mano il rotolo della Rivelazione: Lui è il Verbo e da Lui proviene ogni benedizione e salvezza per quanti lo invocano e gridano a Lui. Ed oggi sono molti coloro che, non trovando risposte dagli uomini, guardano a Lui”.

Ed ha ricordato l’evento svoltosi il giorno precedente con la testimonianza di cristiani perseguitati: “Ieri, qui alla Salute, sono risuonate con forza queste voci grazie alla testimonianza di mons. Botros Fahim, vescovo copto-cattolico di Minya in Egitto, e poi attraverso il commovente canto mariano dei giovani della parrocchia copta-ortodossa di Venezia.

Abbiamo vissuto un importante momento ecumenico, al di là degli appuntamenti istituzionali e così al di là delle differenze, abbiamo riscoperto, nella preghiera e nel canto, di essere, nonostante le dolorose separazioni, uniti in Gesù Cristo, il Crocifisso Risorto”.

Inoltre ha sottolineato che la prima persecuzione contro i cristiani avviene perché c’è indifferenza: “Sì, l’indifferenza è l’origine di tutto ed è il primo male verso le minoranze religiose. Un male che apre la strada all’intolleranza e, poi, produce la persecuzione. La mala pianta dell’indifferenza è, infatti, all’origine di tutto e dice il fallimento di una società, di un progetto educativo e, Dio non voglia, di un’intera generazione perché, in tal caso, il danno che ne deriverebbe sarebbe strutturale.

L’indifferenza genera ogni tipo di crimine, non facendo argine, non opponendo resistenza e lasciando soli i perseguitati… L’indifferenza, alla fine, è soltanto una forma di vigliaccheria che fa male a chi è tale e, poi, alla società in cui si vive; l’indifferenza è sempre la via più comoda e mai può essere presentata come forma di neutralità, di non ingerenza, di equidistanza.

Essa è e rimane vigliaccheria, ossia non schierarsi oppure schierarsi dalla parte del più forte contro il più debole, dalla parte dei persecutori contro i perseguitati, di quanti si rifiutano di tendere la mano a coloro che domandano aiuto e accoglienza”.

Affidando alla Madonna della Salute le minoranze, soprattutto cristiane, perseguitate nel mondo, tra cui, in modo particolare, Asia Bibi, il patriarca di Venezia ha chiesto di riscoprire la ‘relazione col Padre’: “Siamo orfani del Padre e non ci riconosciamo più fratelli! E la mancanza di fraternità dipende proprio dall’aver smarrito la relazione che sostiene tutte le altre, quella col Padre, la gioia d’essere figli…

La Sacra Scrittura presenta la persona umana come libera, responsabile e autonoma, per questo si distingue dagli altri e, nello stesso tempo, è fondata su una relazione previa che domanda d’esser riconosciuta. Ogni persona (ossia, ciascuno di noi), vive in relazione con le altre persone ed è, quindi, congiunto a relazioni che lo precedono e lo costituiscono nell’essere e nell’agire. Pensiamo alla relazione (incontro) dei nostri genitori: noi esistiamo grazie a quell’incontro e a quella relazione”.

Attraverso il riconoscimento della paternità comune si può scoprire la fratellanza: “E’ proprio riscoprendo tale paternità comune che ci riconosciamo fratelli, a prescindere dalle diversità che, allora, diventano ricchezza; siamo tutti figli dell’unico Padre che è nel cielo, siamo tutti fratelli!

Aver smarrito il Padre è la grande carenza di tutte le società che hanno pensato di poter costruire tutto, anche l’uomo, a prescindere da Colui che ci rende tutti persone, al di là delle particolarità e delle differenze. In forza di tale comune paternità siamo tutti fratelli, siamo semplicemente fratelli, ed è utopia pensare a una fraternità fatta di libertà e uguaglianza ma priva della paternità comune. L’assenza di tale paternità è il dramma dell’umanità di oggi”.

Questa comunione è possibile attraverso la Rivelazione cristiana, che “ci presenta Dio come eterna comunione fra tre Persone uguali e realmente distinte. L’uomo, maschio e femmina, è l’immagine di questa eterna relazione… Dio è Padre, non è un padrone; lo vediamo all’annunciazione di Maria. Tale paternità ci fa scoprire che siamo fratelli e ora si tratta di riconoscersi, realmente e quotidianamente, come persone chiamate ad un’alleanza che rispetti la fraternità e la divina paternità da cui proveniamo”.

Anche nel pellegrinaggio con i giovani alla basilica della Madonna della Salute, avvenuto il giorno precedente, il patriarca li ha esortati a non essere indifferenti: “L’indifferenza sta all’origine di ogni fallimento. Anche di un progetto educativo… L’indifferente non si spende, non fa argine, non oppone resistenza, non sa nemmeno se c’è qualcosa per cui valga la pena dare se stessi e tanto meno dare la vita, lasciando soli i perseguitati.

L’indifferenza, alla fine, cari ragazzi e care ragazze, è la vigliaccheria che fa male a chi la porta dentro di sé e a tutti quelli che questa persona incontrerà! E’ l’indifferenza che permette l’esistenza dei bulli nelle scuole (e non solo), agli speculatori nel campo della finanza e ai mafiosi laddove lo Stato è latitante. L’indifferenza, poi, è sempre la strada più comoda, più indolore e più infelice”.

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