Padre Nostro e Gloria, la traduzione secondo Benedetto XVI

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Nel prevedibile dibattito sorto dall’approvazione della Conferenza Episcopale italiana della nuova versione del Padre nostro (“non abbandonarci alla tentazione”) e del Gloria (“pace in terra agli uomini, amati dal Signore”), contenute nel nuovo Messale in attesa d’approvazione da parte della Santa Sede, sono state citate da più parti le parole di Benedetto XVI contenute nella trilogia “Gesù di Nazaret”.

Come già specificato dall’autore nella prefazione al primo volume “Dal Battesimo alla Trasfigurazione” (Rizzoli, 2007), ciò che è stato scritto non fa parte del Magistero papale ma è esclusivamente il frutto di una ricerca personale dell’uomo Joseph Ratzinger.

In questo libro, incentrato sulla vita pubblica e la predicazione di Gesù, il quinto capitolo è tutto dedicato alla preghiera del Signore. Commentando la frase “e non ci indurre in tentazione”, Benedetto XVI nota che effettivamente “le parole di questa domanda sono di scandalo per molti: Dio non ci induce certo in tentazione!”. Nell’interpretazione esegetica per Papa Ratzinger sono di aiuto l’episodio del diavolo che tenta Gesù, la Lettera agli Ebrei e il Libro di Giobbe, per arrivare ad affermare che con quella domanda “diciamo a Dio: «So che ho bisogno di prove affinché la mia natura si purifichi. Se tu decidi di sottopormi a queste prove, se (…) dai un po’ di mano libera al Maligno, allora pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi troppo capace. Non tracciare ampi i confini entro i quali posso essere tentato, e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa troppo ardua per me»”.

È sempre e solo Satana che tenta, ma come già San Cipriano aveva scritto, “il nemico non può fare niente contro di noi se prima non gli è stato permesso da Dio”. “Nella preghiera che esprimiamo – continua Papa Benedetto – con la sesta domanda del Padre nostro deve così essere racchiusa, da un lato, la disponibilità a prendere su di noi il peso della prova commisurata alle nostre forze; dall’altro, appunto, la domanda che Dio non ci addossi più di quanto siamo in grado di sopportare; che non ci lasci cadere dalle sue mani”.

Sul Gloria, nel terzo volume dedicato all’infanzia di Gesù (Rizzoli, 2012), il Papa emerito ricorda le traduzioni della Conferenza Episcopale Tedesca (“uomini della sua grazia”) e quella ancora in uso dell’episcopato italiano (“uomini, che egli ama”). Queste versioni fanno sorgere diverse domande: “Quali sono gli uomini che Dio ama? Ce ne sono alcuni che Egli non ama? (…) Chi sono gli «uomini della sua grazia»? Esistono persone che non sono nella sua grazia?”. “Dietro alla differenza tra le traduzioni sta (…) la relazione tra la grazia di Dio e la libertà umana” che, per Benedetto XVI, “si compenetrano a vicenda”: “La grazia di Dio sempre ci precede, ci abbraccia e ci sostiene. Ma resta vero anche che l’uomo è chiamato a partecipare a questo amore, non è un semplice strumento, privo di volontà propria, dell’onnipotenza di Dio; egli può amare o anche rifiutare questo amore”. Ratzinger giunge quindi alla conclusione che la traduzione letterale del testo originale greco (“uomini del [suo] compiacimento”) sia più fedele, identificando nelle persone del compiacimento coloro “che hanno l’atteggiamento del Figlio” nei confronti del Padre, perciò “persone conformi a Cristo”.

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