Giornata dei poveri: il papa ha invitato a non essere fatalisti

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“Chiediamo la grazia di aprire gli occhi e il cuore ai poveri, per ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità”: con questo tweet papa Francesco ha ricordato la seconda giornata dei poveri. Nell’omelia della messa celebrata nella basilica vaticana, partecipata da circa 6.000 poveri, insieme ai volontari che li accompagnano e ad esponenti delle numerose realtà caritative che li assistono quotidianamente, papa Francesco ha ricordato tutti i poveri prodotti dalla società, anche i bambini mai nati:

“Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no”. Partendo dal vangelo domenicale il papa ha sottolineato tre azioni compiute da Gesù: “Egli ci distoglie dal pascerci indisturbati nelle comode pianure della vita, dal vivacchiare oziosamente tra le piccole soddisfazioni quotidiane. I discepoli di Gesù non sono fatti per la prevedibile tranquillità di una vita normale…

Chiediamo a Dio di assomigliare alla Chiesa descritta nella prima Lettura: sempre in movimento, esperta nel lasciare e fedele nel servire. Destaci, Signore, dalla calma oziosa, dalla quieta bonaccia dei nostri porti sicuri. Slegaci dagli ormeggi dell’autoreferenzialità che zavorra la vita, liberaci dalla ricerca dei nostri successi. Insegnaci a saper lasciare per impostare la rotta della vita sulla tua: verso Dio e verso il prossimo”.

Nella seconda azione Gesù rincuora: “La barca della nostra vita è spesso sballottata dalle onde e scossa dai venti, e quando le acque sono calme presto tornano ad agitarsi. Allora ce la prendiamo con le tempeste del momento, che sembrano i nostri unici problemi. Ma il problema non è la tempesta del momento, è in che modo navigare nella vita. Il segreto del navigare bene è invitare Gesù a bordo. Il timone della vita va dato a Lui, perché sia Lui a gestire la rotta…

Ed è solo con Gesù che diventiamo capaci anche noi di rincuorare. C’è grande bisogno di gente che sappia consolare, ma non con parole vuote, bensì con parole di vita. Nel nome di Gesù si dona vera consolazione. Non gli incoraggiamenti formali e scontati, ma la presenza di Gesù ristora. Rincuoraci, Signore: consolati da te, saremo veri consolatori per gli altri”.

Nella terza azione Gesù tende la mano e salva il povero, che chiede aiuto: “Possiamo metterci nei panni di Pietro: siamo gente di poca fede e siamo qui a mendicare la salvezza. Siamo poveri di vita vera e ci serve la mano tesa del Signore, che ci tiri fuori dal male. Questo è l’inizio della fede: svuotarsi dell’orgogliosa convinzione di crederci a posto, capaci, autonomi, e riconoscerci bisognosi di salvezza… Chiediamo la grazia di ascoltare il grido di chi vive in acque burrascose.

Il grido dei poveri: è il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi. E’ il grido di anziani scartati e lasciati soli. E’ il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. E’ il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo.

E’ il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. E’ il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà. Il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi”.

Quindi il gesto compiuto da Gesù è gratuito: “Il Signore tende la mano: è un gesto gratuito, non dovuto. E’ così che si fa. Non siamo chiamati a fare del bene solo a chi ci vuole bene. Ricambiare è normale, ma Gesù chiede di andare oltre: di dare a chi non ha da restituire, cioè di amare gratuitamente”.

Anche nell’Angelus papa Francesco ha ribadito che Gesù invita a vivere bene il presente e non a terrorizzarci: “La storia dell’umanità, come la storia personale di ciascuno di noi, non può essere compresa come un semplice susseguirsi di parole e di fatti che non hanno un senso.

Non può essere neppure interpretata alla luce di una visione fatalistica, come se tutto fosse già prestabilito secondo un destino che sottrae ogni spazio di libertà, impedendo di compiere scelte che siano frutto di una vera decisione. Nel Vangelo di oggi, piuttosto, Gesù dice che la storia dei popoli e quella dei singoli hanno un fine e una meta da raggiungere: l’incontro definitivo con il Signore”.

La giornata è stata conclusa in Aula ‘Paolo VI’ dal pranzo con i poveri, ringraziando coloro che hanno reso possibile la festa: “Ringrazio tanto tutti voi per la compagnia. Adesso mi dicono che incomincia la vera festa e il papa deve andarsene via, perché la festa sia buona!”

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