La Santa Sede dopo il primo conflitto mondiale

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L’atteggiamento che papa Benedetto XV assunse e mantenne nel corso del conflitto mondiale, e che fu origine di tante polemiche, è già chiaramente delineato nell’enciclica ‘Ad Beatissimi’ del 1° novembre del 1914, dove la vera causa della guerra è per il papa la scomparsa dagli ordinamenti statali delle nonne e delle pratiche della saggezza cristiana, ‘che sole garantivano la quiete e la stabilità delle istituzioni’.

I mali della società, secondo il papa erano: “la mancanza di mutuo amore fra gli uomini; il disprezzo dell’autorità; i beni materiali fatti unico obbiettivo dell’attività dell’uomo, quasi non ci fossero altri beni, e molto migliori da raggiungere”. Nell’enciclica si condanna l’egoismo nazionalistico, l’odio, di razza, la lotta di classe ed il papa non prende parte per nessuna delle parti belligeranti, ma sin dagli inizi del suo pontificato si impegna a denunciare ai capi delle potenze belligeranti e ai popoli le cause ideologiche comuni del conflitto, insistendo in maniera particolare su quell’elemento della scristianizzazione della società e del rovesciamento dei fini dell’attività dell’uomo nella pura pratica empirica del soddisfacimento personale, contro cui aveva già fatto sentire la sua voce papa Leone XIII.

Ma il principale atto diplomatico, che resta al centro dell’azione di papa Benedetto XV durante la prima guerra mondiale, fu senza dubbio la nota del 1^ agosto 1917 inviata alle potenze belligeranti: “Per ciò che riguarda le questioni territoriali, come quelle ad esempio che si agitano fra l’Italia e l’Austria, fra la Germania e la Francia, giova sperare che, di fronte ai vantaggi immensi di una pace duratura con disarmo le parti contendenti vorranno esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura del giusto e del possibile, come abbiamo detto altre volte, delle aspirazioni dei popoli, e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del gran consorzio umano.

Lo stesso spirito di equità e di giustizia dovrà dirigere l’esame di tutte le altre questioni territoriali e politiche, nominatamente quelle relative all’assetto dell’Armenia, degli Stati balcanici, dei paesi formanti parte dell’antico Regno di Polonia… Nel presentarle, pertanto, a Voi, che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, siamo animati dalla cara e soave speranza di vederle accettate, e di giungere così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più apparisce inutile strage”.

Partendo da queste note diplomatiche della Santa Sede il segretario di Stato, card. Pietro Parolin, ha aperto i lavori di studio all’Università Lateranense, che ha visto la partecipazione di molti studiosi: Claude Prudhomme ha parlato su papa Benedetto XV e il ripensamento della strategia missionaria, e Mirosław Lenart (università di Opole) di mons. Achille Ratti nunzio in Polonia e visitatore apostolico in Russia; Johan Ickx (Archivio storico della Segreteria di Stato) di mons. Pacelli dopo la prima guerra mondiale, attingendo al materiale appena pubblicato nel libro Diplomazia segreta in Vaticano (1914-1915).

Il card. Parolin ha incentrato la prolusione su papa Benedetto XV: “Il papa Benedetto XV, un pontefice di straordinarie doti intellettuali e umane rimasto a torto per decenni all’ombra dei suoi successori più noti e solo negli ultimi anni debitamente riscoperto dagli storici, e i suoi diplomatici si rendevano ben conto che la ‘grande guerra’, la prima di dimensioni mondiali e di carattere totale, aveva segnato per l’Europa e per il mondo un decisivo punto di svolta, anzi, la fine di un’epoca storica.

Essa mutò l’intera geografia politica e i rapporti di forza in Europa e nel mondo, provocò il crollo o un rimodellamento radicale di quattro grandi imperi: quello tedesco, austro-ungarico, russo e ottomano, al cui posto subentrò più di una dozzina di nuovi Stati, e catalizzò il lento declino politico, economico e sociale delle grandi potenze europee che prima del conflitto bellico si erano trovate al culmine della loro potenza e del loro influsso e dopo di esso dovettero lentamente cedere la preminenza a due grandi potenze extraeuropee (o con il territorio e il raggio di interessi che oltrepassava i confini europei): gli Stati Uniti e la Russia/l’Unione Sovietica. Era accaduto proprio ciò che aveva previsto Benedetto XV fin dall’inizio della guerra e del suo pontificato: la guerra divenne ‘il suicidio dell’Europa’”.

Anche nel post guerra la voce della Chiesa non cessò a favore della pace: “Nell’irrequieto Vecchio continente vennero a tacere le armi, ma non arrivò la vera pace, la tranquillitas ordinis. La risposta del Papa a questa sfida non fu il nostalgico rimpianto dei tempi passati, dei quali ben conosceva le insufficienze nascoste dietro la lucida facciata del ‘periodo d’oro’ dell’antico regime, tra cui questioni nazionali irrisolte, oppressioni sociali e coloniali e la cieca fede nel progresso materiale e tecnico, e tanto meno l’appello al ritorno ai modelli di Stato monarchici o preborghesi e all’antico concerto delle potenze basato sul precario equilibrio del potere, ma una visione del riordinamento internazionale imperniato sull’attiva presenza dei principi cristiani nella vita pubblica, sul sincero amore e rispetto per l’uomo e i suoi bisogni, sia come individuo sia come membro di un popolo, e sull’organizzazione internazionale fondata sull’equità, giustizia e fratellanza dei popoli in grado di risolvere gli attriti in modo pacifico”.

Quindi la Chiesa non aveva nessuna preferenza per particolari forme di Stato o istituzioni civili, ma ribadiva rispetto per la dignità della persona umana e per i diritti della coscienza cristiana: “Benedetto XV e la sua Curia si rendevano conto che nell’ ‘epoca delle masse’ che irrompevano sul proscenio storico non sarebbero più stati i monarchi e le cancellerie, ma i popoli, le nazioni, le grandi comunità sociali a diventare i grandi protagonisti della storia, e che, caduti i troni e i regni apostolici, in condizioni di regimi parlamentari e delle società di massa, la Chiesa avrebbe trovato il sostegno e il difensore più efficace nelle proprie masse cattoliche mobilitate…

Benedetto XV, un realista acuto e un sincero amico dell’uomo in tutte le sue situazioni, capiva bene che un mondo nuovo con caratteristiche ed esigenze nuove stava per nascere, ed accolse il suo grido: il forte richiamo alla libertà e ai diritti fondamentali dei milioni di uomini in divisa tornati dalle trincee, dei milioni di donne forzate ad assumersi gli obblighi degli uomini assenti, dei prigionieri di guerra, degli affamati, delle vedove e degli orfani, dei cristiani russi perseguitati, dei Romanov in cattività o in esilio, dei figli di Francesco Ferdinando d’Este che stavano per perdere l’ultimo bene materiale, insomma di tutti gli uomini sofferenti, fossero essi aristocratici con cognomi storici o gli ultimi tra gli umili che si aspettavano parole di consolazione, di incoraggiamento e di sostegno o rivendicavano i loro diritti in un contesto politico nuovo”.

Il papa era preoccupato per i ‘moti’ di rivincita dei perdenti: “ Ancora prima che si fosse radunata la Conferenza di pace, nella breve enciclica ‘Quod iamdiu’ del 1° dicembre 1918, Benedetto XV, preoccupato per lo spirito di imposizione e di rancore che traspariva dai preparativi del raduno parigino, avvertiva che il compito del futuro Congresso sarebbe stato quello di combinare una pace giusta e duratura e invitava i vescovi a far pregare perché vi si concretasse ‘quel gran dono di Dio ch’è la vera pace fondata sui principi cristiani’.

Al contempo, il Pontefice inviò il capo della sua diplomazia, l’abile segretario per gli affari ecclesiastici straordinari Bonaventura Cerretti, in Francia, Belgio, negli Stati Uniti e in Inghilterra per promuovere da parte degli episcopati nazionali e dell’opinione pubblica cattolica un’azione sui rispettivi governi nel senso desiderato dalla Santa Sede…

Quale era il contenuto concreto della visione pontificia di una nuova sistemazione europea, per la quale l’instancabile Cerretti cercò di sensibilizzare l’opinione cattolica nelle grandi potenze, era ben riconoscibile già dalla famosa Nota di pace di Benedetto XV del 1° agosto 1917: il rispetto della giustizia e dell’equità nei rapporti fra gli Stati e i popoli, la rinuncia alle compensazioni reciproche, il rispetto del naturale principio di nazionalità e delle legittime aspirazioni dei popoli, il giusto accesso ai beni materiali e alle vie di comunicazione a tutti, la riduzione degli armamenti, l’arbitrato come strumento pacifico di risoluzione dei conflitti.

Significativamente, il Pontefice preferì, anziché di giustizia, parlare di equità, ossia della giustizia animata dalla carità cristiana, facendo appello al fondamentale precetto evangelico dell’amore del prossimo e del perdono delle offese, ma anche a quello politico dell’impossibilità di realizzare richieste massimaliste che non erano in grado di assicurare la convivenza umana e minacciavano di suscitare, una volta ripresosi l’avversario, reazioni rovinose per la pace e per gli stessi vincitori di ieri”.

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