Mons. Delpini: siamo il popolo della speranza

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‘Siamo il popolo della speranza, non della nostalgia, siamo tutti in cammino’: è questa l’immagine che disegna mons. Mario Delpini, arcivescovo della diocesi di Milano, nell’intervento proposto alle centinaia di operatori ambrosiani della carità, riuniti presso il Centro Pastorale di via Sant’Antonio per l’annuale Convegno alla vigilia della Giornata diocesana Caritas e per la Giornata Mondiale dei Poveri.

Il titolo della giornata, ‘Giovani in cammino verso Gerusalemme, città dell’incontro e della fraternità’, ha evidenziato la dimensione del ‘viaggio’, nel quale tutti i cristiani sono impegnati, come ha sottolineato la Lettera Pastorale di quest’anno. La Lettera è stata l’orizzonte di riferimento in cui si è mosso l’incontro, aperto dall’introduzione del direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti che ha sottolineato “l’importanza della dimensione dell’incontro per guardare ai poveri con lo spirito indicato da papa Francesco, accompagnandoli nel loro itinerario…

Dieci anni di crisi che hanno visto un arretramento dello Stato e la delega al volontariato hanno inciso sulla cultura. E’ nata una sorta di sfiducia nelle comunità e un atteggiamento rancoroso, ostile non solo verso i poveri, e in particolare i migranti, ma anche verso chi li aiuta. Questo atteggiamento non ha riguardato solo chi aveva posizioni di chiusura ma anche gli operatori e i volontari.

La difficoltà a rispondere ai bisogni ha generato questa sfiducia. La Caritas deve cogliere questa sfida e far vincere alle comunità la paura di perdere il benessere raggiunto e difenderlo dai nuovi che arrivano: un sfida enorme, visto il successo dei populismi”.

Nel suo intervento mons. Delpini ha posto la domanda sul ‘nostro’ benessere: “Ma è proprio vero che il nostro benessere è in pericolo perché arrivano i migranti? Quando si definiscono le persone e le situazioni come minacciose allora la gente è anche motivata a fare la guerra. Dobbiamo allora usare questa parola, ‘resistere’, che significa perseverare anche quando è difficile.

Dobbiamo attrezzarci per la resistenza alla omologazione che ci vuole ridurre tutti a consumatori con le stesse idee e parole. Dobbiamo attrezzarci per resistere alla paura che alimenta il conflitto. Dobbiamo anche resistere e perseverare in una pratica di accoglienza che ha mostrato che le paure non sono fondate e che, al contrario, l’attenzione alle persone è fruttuosa per il Paese. Dobbiamo, infine, resistere alla rassegnazione e alla stanchezza perché quando si cammina è naturale che ci si stanchi”.

Durante l’incontro l’Arcivescovo ha parlato dei risultati del Sinodo dei Vescovi sui giovani, affrontando il rapporto tra le generazioni: “I fattori che rendono insignificanti gli adulti e gli anziani, le istituzioni e la tradizione rinchiudono i giovani in un presente senza via d’uscita, in una intelligenza ridotta a competenza tecnologica, in una informazione ridotta a indottrinamento da notizie ridotte a titoli e a immagini, in un tempo senza speranza, nella condizione di servi del faraone senza speranza di terra promessa”.

Mons. Delpini ha poi sottolineato il valore del dialogo intergenerazionale: “Il discorso intergenerazionale è cruciale perché la fede venga trasmessa. I giovani si sentono persi anche perché gli adulti si sentono insignificanti. Dobbiamo trasmettere, con una testimonianza di vita, la gioia e la speranza irradiate da Dio che ci chiama ad andare verso la terra promessa, la Gerusalemme celeste… Dobbiamo fare in modo che i giovani si sentano chiamati verso la speranza, verso una mèta attraente che motiva il cammino.

Gerusalemme è la città dove abita l’Agnello: città dell’incontro perché tutti i popoli sono lì convocati. L’incontro è frutto della carità, di una condivisione che propizia la stima verso l’interlocutore, di una cultura che non vede la differenza come un ostacolo. La terra promessa non è un luogo, ma una comunione, ciò che lo Spirito santo costruisce facendoci diventare pietre vive”.

Da qui la necessità di una formazione al dialogo che si costruisce nell’incontro e con il servizio: “Non bisogna essere troppo volontaristici, ma dobbiamo, in primis, lasciarci formare da Dio. Noi siamo fatti dall’Eucaristia da cui si forma la vita cristiana. La carità, la possibilità di vedere i vicini come fratelli, e non come pericoli, nasce dalla docilità allo Spirito che è condizione per vivere la fraternità dell’incontro. Una fraternità che siamo incaricati di costruire perché siamo tutti figli”.

Infine, l’Arcivescovo ha lanciato una sfida agli operatori: “Finché siamo nella storia, dovremo considerare il cammino anche come una lotta. Quindi, occorre resistere, perseverare anche è difficile e si va contro corrente, attraversando il deserto. Resistere per contrastare l’omologazione, perché esistono tendenze e interessi perché diventiamo tutti uguali, ridotti a consumatori: più ci riducono così più c’è chi ci guadagna. L’omologazione è rassicurante, ma dobbiamo chiederci, per rispetto di noi stessi e per la docilità allo Spirito, se tutto questo è secondo il Signore”.

L’ultimo riferimento è al Sinodo minore diocesano, appena concluso: “Abbiamo appena concluso il Sinodo ‘Chiesa dalle Genti’ nel quale ci siamo domandati come essere Chiesa dove tutti i figli di Dio si sentano accolti. Anche la Caritas non è un ufficio in cui celebrare dei servizi, ma deve essere qualcosa che promuove la cultura dell’incontro”.

Infatti la conclusione del Sinodo ambrosiano ha chiesto una ‘Chiesi delle genti’, in cui si possa sperimentare la comunione: “Riconoscere la diocesi ambrosiana come Chiesa dalle genti è il nostro modo di vivere e consegnare alle nuove generazioni quella tradizione di fede che ci fa vivere, che ci ha fatto conoscere e incontrare Dio come il Padre di Gesù Cristo e il Padre nostro;

quel Padre grazie al quale sperimentiamo una nuova fraternità, più forte della carne e del sangue, generata dal suo Spirito, che ci riempie di gioia e ci permette di trasformare in modo nuovo il quotidiano e la storia che viviamo.

Preghiamo lo Spirito perché ci guidi nel trasformare una necessità generata dal male e dai peccati degli uomini in una opportunità per riconoscerci figli dello stesso Padre e fratelli in Gesù Cristo, responsabili insieme del creato e dell’umanità che, ricevuti in dono da Dio, siamo chiamati, nella libertà dei figli, a consegnare in dono alle future generazioni”.

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