Il contributo della Chiesa nel Medio Oriente per la pace

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Il governo siriano, nelle scorse settimane, ha intensificato gli attacchi illegali contro la popolazione civile del governatorato di Idlib utilizzando bombe a grappolo, vietate dal diritto internazionale, e barili bomba privi di guida, nel preludio della ampiamente prevista offensiva militare contro la regione nel nord della Siria, come è stato denunciato da Amnesty International, che ha riferito di almeno 13 attacchi portati a termine tra il 7 e il 10 settembre nella parte meridionale del governatorato.

I bombardamenti hanno colpito i villeggi di al-Tah, Jerjanaz, al_Habeet, Hass, Abadeen e i dintorni di Khan Sheikhoun, provocando 14 morti e 35 feriti tra i civili: “Di fronte all’imminente offensiva su Idlib, la comunità internazionale deve agire con urgenza per assicurare che la popolazione civile della zona sia protetta da questi attacchi deliberati e indiscriminati.

Un’ulteriore escalation di attacchi del genere da parte del governo siriano, dei gruppi armati e dei loro alleati non farà altro che aumentare il numero delle vittime civili ed esasperare ulteriormente la crisi umanitaria”.

Gli esperti in materia di armi di Amnesty International hanno esaminato le immagini inviate dagli abitanti che mostrano i resti delle bombe a grappolo a seguito degli attacchi del 10 settembre contro al-Tah e Jerjanaz. Le immagini mostrano chiaramente frammenti di razzi 9M27K di produzione russa aventi un calibro di 220 mm e contenenti bombe a grappolo della serie 9N235.

Un’altra immagine proveniente sempre da al-Tah mostra una bomba a grappolo della stessa serie, inesplosa e che rischia di causare gravi danni ai civili, soprattutto ai bambini, anche a lungo termine. Dalle numerose testimonianze raccolte da Amnesty International è emerso che le forze siriane hanno lanciato molti razzi 9M27K di fabbricazione russa, ognuno dei quali può contenere 30 bombe a grappolo, sui villaggi di Jerjanaz, al-Tah e Hish tra le 8 e le 8.30 del mattino del 10 settembre.

Però gli aiuti umanitari della Chiesa cattolica non si arrestano e tra il 2014 e il 2018, ha mobilitato complessivamente più di 1.000.000.000 di dollari per rispondere alle emergenze umanitarie connesse ai conflitti che hanno devastato la Siria e l’Iraq. L’aiuto fornito dalla rete ecclesiale si è rivolto indistintamente ‘a tutte le persone in stato di bisogno’, senza tralasciare forme di assistenza e supporto specifico per le comunità cristiane locali colpite dalla crisi.

Nel 2017, sono stati circa 4.600.000 gli uomini, le donne, i bambini e le bambine che hanno avuto sostegno grazie ai progetti solidali messi in campo dalla rete ecclesiale. E l’anno corrente si configura come un anno di svolta nelle strategie dell’intervento ecclesiale a favore della popolazione di quelle regioni, con una diminuzione progressiva delle risposte di tipo emergenziale e il potenziamento di progetti e iniziative di maggiore impatto nel medio-lungo termine, in parallelo con l’evoluzione degli scenari geopolitici in Siria e Iraq.

Secondo le informazioni esposte nel rapporto del Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale, in Siria più di 13.000.000 persone sono in stato di bisogno; vi sono 6.600.000 sfollati interni, mentre 5.600.000 sono i rifugiati registrati nei Paesi limitrofi, principalmente in Turchia, Libano e Giordania. In Iraq, 8.700.000 persone sono in stato di necessità, di cui più di 4.000.000 bambini.

Nei sette Paesi dell’area coinvolti nella crisi umanitaria provocata dai conflitti in Siria e Iraq operano attualmente più di 5.800 professionisti e più di 8.300 volontari connessi a realtà e istituzioni ecclesiali cattoliche, che si uniscono a sacerdoti e religiosi operanti in loco. Nel 2017, la rete ecclesiale ha utilizzato nelle attività umanitarie a favore della popolazione più di $ 286.000.000.

Il dato è stato ‘il più elevato dal 2014’, e attesta che l’impegno della Chiesa si consolidato negli anni, adattandosi all’evoluzione dei bisogni delle popolazioni, sempre più differenziati nei diversi Paesi. Nel 2017, il 35% dei fondi spesi è stato destinato alla Siria, il 30% al Libano, il 17% all’Iraq e il 9% alla Giordania.Nello stesso anno, il settore d’intervento prioritario su cui sono state investite più risorse è stato quello dell’istruzione più di $ 73.000.000, di cui 45.000.000 utilizzati in Libano, che ha superato i fondi destinati all’aiuto alimentare (più di $ 54.000.000).

Il rapporto curato dal Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale fa riferimento anche ai problemi legati alla condizione delle moltitudini di sfollati e rifugiati che stanno mettendo alla prova anche le economie e la tenuta sociale di diversi Paesi dell’area. L’attuale situazione umanitaria in Siria e in Iraq configura una crisi prolungata e complessa con un grave impatto sulle popolazioni civili locali e sui paesi limitrofi.

Sette anni dopo l’inizio del conflitto in Siria, infatti, i dati delle Nazioni Unite restano allarmanti e dimostrano quanto ancora siano ingenti ed urgenti i bisogni delle persone colpite dalla crisi e quanto lavoro sia necessario nel quadro della risposta ad essa. Dall’indagine scaturiscono alcune riflessioni comuni e condivise e alcuni importanti orientamenti per il lavoro della rete ecclesiale nel prossimo futuro:

istruzione, sanità e supporto psicosociale restano settori prioritari d’intervento, ma la sfida maggiore è rappresentata oggi dalla risposta a un sempre maggiore bisogno di stabilità per il futuro delle famiglie, attraverso programmi di sviluppo agricolo-economico, di rilancio del tessuto sociale ed economico, di formazione professionale, di avvio di attività lavorative; il rafforzamento di capacità degli attori locali è un impegno importante della rete ecclesiale, che si è ampliato e consolidato negli anni.

Esso resta un aspetto essenziale anche per il futuro, soprattutto in un momento in cui competenze e sistemi di gestione sul terreno sono chiamati ad adeguarsi ai cambiamenti in atto; nell’aiuto ai rifugiati nei paesi limitrofi alla Siria, è necessario prestare un’attenzione crescente alle comunità di accoglienza.

Non possono essere sottovalutate le crescenti tensioni intercomunitarie ed è quanto mai importante continuare a lavorare sulla coesione sociale, su un accesso equo ai servizi pubblici, un sostegno alle persone più vulnerabili delle comunità ospitanti, un supporto adeguato alle infrastrutture dei paesi di accoglienza, in particolare nei settori sanitario ed educativo.

A questo si uniscono i primi interventi di ricostruzione di strutture scolastiche, sanitarie e di siti religiosi. Importante in questo ambito è anche il lavoro di sensibilizzazione affinché siano garantite le condizioni di sicurezza e dignità per un ritorno nelle comunità di origine; l’attenzione specifica ai bisogni delle comunità cristiane e al loro futuro nella regione mediorientale, così come ai loro bisogni materiali, spirituali e pastorali, costituisce un elemento peculiare per la Chiesa, sia a livello di azioni in loco che di sensibilizzazione a livello locale e internazionale;

la collaborazione ecumenica ed interreligiosa è un ulteriore elemento importante del lavoro della rete ecclesiale: nella maggior parte dei casi la collaborazione riguarda partner locali con cui vengono realizzati progetti a favore delle vittime della crisi, in un ampio ventaglio di attività.

Gli istituti religiosi (ordini, congregazioni, società di vita apostolica) hanno un ruolo centrale nella risposta alla crisi, sia per il servizio pastorale che svolgono, sia per il lavoro in settori specifici di competenza, quali la sanità, l’istruzione e il supporto psicosociale;

la protezione legale è un settore d’interesse e impegno specifico delle istituzioni ecclesiali: in Libano, ad esempio, è uno dei settori prioritari d’intervento, ma anche in Giordania, Turchia e Cipro l’assistenza e rappresentanza legale, l’accompagnamento dei rifugiati nelle procedure giuridico-amministrative, la tutela dei minori non accompagnati sono aspetti peculiari del lavoro della rete ecclesiale(non mancano iniziative di tutela giuridica delle persone più vulnerabili e privi dei mezzi necessari anche in Siria e in Iraq).

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