A Genova il card. Bagnasco invita a camminare insieme

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Mercoledì 29 agosto Genova ha celebrato la festa di Nostra Signora. della Guardia, il Santuario sul Monte Figogna, che vive quest’anno la 528° ricorrenza dell’apparizione di Maria al contadino Benedetto Pareto. Nell’omelia della S. Messa della Vigilia della Solennità della Madonna della Guardia, celebrata nel Santuario sul Monte Figogna, il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, ha ricordato le vittime a seguito del crollo del ponte sul Polcevera:

“La festa della Madonna della Guardia è velata dalla recente tragedia del crollo del Ponte sul Polcevera: la piaga è aperta e sanguina, ma ora, davanti alla Santa Vergine, mettiamo tra le sue braccia le vittime, i famigliari, i feriti, gli sfollati e la città intera. La festività di quest’anno è dunque una grande preghiera per tutti”.

Ai fedeli saliti al Santuario nella sera della Vigilia per partecipare alla processione e alla S. Messa, l’Arcivescovo ha raccomandato di non ritirarsi nel proprio guscio per paura, ma di aprirsi agli altri: “Genova non deve perdere la speranza nel suo futuro, e i genovesi non devono perdere la fiducia che è come il sale del vivere insieme.

Dobbiamo, al contrario, rinnovare e rafforzare la fiducia tra noi, credere che gli altri, fino a prova contraria, sono affidabili, consapevoli che perdere la fiducia significa perdere l’orizzonte, spegnere la luce, entrare in un mondo di ombre: la vita diventa invivibile, un labirinto inestricabile, fatto di sospetti e fantasmi.

Per paura ci si ritira nel proprio guscio, i rapporti si restringono a pochi intimi nel tentativo di proteggersi, se qualcuno mostra interesse per noi appare come una incursore nella sfera privata. Ma qual è il risultato? E’ la tristezza di una vita chiusa perché ripiegata su se stessa, rattrappita perché incapace di farsi dono”.

Ed ha invitato i cittadini a vivere la ‘comunità’: “Dobbiamo smascherare questo modo di sentire, questa cultura che sostituisce l’io di ciascuno al noi della comunità; che fa dell’individualismo il moderno criterio della felicità, non dicendo che l’individuo, quando si pone in modo individualistico, si separa dagli altri e si condanna alla solitudine. Non è questo ciò che il nostro cuore desidera, non è questa la nostra vocazione: l’io assoluto non siamo noi, ma è il suicidio di noi, non ci rappresenta, ci cancella”.

Anche nel Pontificale mattutino ha ripetuto ai genovesi di abbandonare le sterili polemiche: “Ogni piccola rendita faziosa, che dovesse intralciare o solo rallentare il recupero e il miglioramento, sarebbe imperdonabile davanti alla nostra coscienza, alla Nazione e al mondo.

Per immaginare e ricostruire dovremo affrontare inevitabili disagi, ma l’obiettivo che abbiamo davanti ci sostiene. E così la grazia di Dio. Tutti possiamo e dobbiamo partecipare, ognuno a suo modo: anche una buona parola, un grazie a coloro che si sono prodigati e continueranno a farlo, un gesto, una preghiera (in particolare per coloro che subiscono maggiori disagi, tra cui lasciare la propria casa), niente è troppo poco per contribuire e perché non venga meno la fiducia.

Un popolo che non ha fiducia in sé e negli altri non ha futuro, e la sua città non sarà mai sua, cioè la propria casa. La fiducia ci permette di camminare insieme perché sappiamo di poter contare sugli altri e che gli altri contano su di noi, e ci dà la possibilità di attraversare, come su un ponte sicuro, le incertezze e i vuoti dell’esistenza.

I nostri padri hanno sfidato il mare, e hanno cavato dai monti innumerevoli fasce per trarne sussistenza, per non abbandonare le proprie radici: la Liguria non è solo una regione della nostra splendida Italia, ma una visione, un modo di pensare e di vivere”.

Ed infine nell’omelia pomeridiana ha ricordato che occorre confrontarsi con le ‘fragilità’ della vita: “Dio ci ha creati così, bisognosi gli uni degli altri, con la spinta a condividere le gioie, ma anche a chiedere aiuto, a mettere insieme la speranza, a sostenerci nella fiducia, a credere che, insieme, è sempre possibile superare le difficoltà, portare i dolori, affrontare la vita.

Ecco perché possiamo vedere, dentro ad ogni situazione di limite e di bisogno, non solo un peso da portare, ma anche un dono da cogliere e una responsabilità da abbracciare”.

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