Epiphanius: misericordia è prendere l’iniziativa

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Dopo oltre 400 interrogatori dell autorità giudiziarie egiziane della regione del Wadi Natrun sull’omicidio del vescovo copto ortodosso Anba Epiphanius, ucciso all’alba di domenica 29 luglio nel monastero di San Macario, di cui era abate, secondo la notizia, riportata dall’Agenzia Fides, è stato individuato dagli organismi giudiziari egiziani l’autore dell’omicidio del vescovo copto ortodosso nell’egiziano Wael Saad Tawadros, monaco espulso dallo stesso monastero.

Il vescovo copto ucciso si era laureato in medicina e chirurgia nel 1978, con una specializzazione in otorinolaringoiatria. Il 17 febbraio 1984 era entrato nel Monastero di san Macario il Grande ed era stato ordinato monaco il 21 aprile 1984 con il nome di abuna Epiphanius el Makari. Il 17 ottobre 2002 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Il 10 marzo 2013 era stato ordinato dal patriarca Tawadros II vescovo e abate del Monastero di san Macario il Grande con il nome di Anba Epiphanius.

Egli era un discepolo e figlio spirituale del monaco Matta El Meskin (1919-2006), rifondatore del monastero di san Macario il Grande ed grande vivificatore della teologia alessandrina e della vita monastica. Ha pubblicato opere importanti, come una traduzione della Genesi e dell’Esodo dal greco antico in arabo, la traduzione dal greco all’arabo delle anafore di san Basilio, di san Cirillo e di San Gregorio, la traduzione dell’antico Eucologio del Monastero Bianco. Attualmente è in stampa la traduzione dalla versione dei Settanta del libro di Isaia. Inoltre è stato il curatore di una delle migliori edizioni del Bustan al-Ruhban, la versione copto-araba dei detti dei Padri del deserto, a partire dai manoscritti del Monastero di san Macario il Grande.

Aveva partecipato ai seminari, organizzati dal Monastro di Bose, in occasione degli annuali convegni di Spiritualità ortodossa, fecondando con la sua sapienza evangelica i profondi legami che uniscono i due monasteri di Bose e di San Macario fin dagli inizi degli anni ‘70, quando Enzo Bianchi volle tradurre in italiano un testo di abuna Matta sull’unità dei cristiani. Nel 2015 a Bose aveva svolto una relazione sul tema ‘Misericordia e Perdono’, in cui ha esaminato i versetti 15-17 del capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, subito dopo la parabola della ‘pecora smarrita’:

“Perché nostro Signore Gesù ha collegato la pecora smarrita al fratello che pecca? Avrete notato che nostro Signore non chiede a chi è in torto di andarsi a scusare, ma al contrario, chiede alla parte offesa di prendere l’iniziativa della riconciliazione. Se questa non avviene, l’offeso deve chiedere aiuto a qualche altra persona affinché faccia da mediatore. Altrimenti, a dover intervenire è la Chiesa.

Nel caso in cui tutti questi sforzi fallissero ‘sia per te come il pagano e il pubblicano’… Giungiamo, quindi, alla conclusione che, se tuo fratello non accetta la tua iniziativa di riconciliarvi, devi considerarlo come un pagano e un pubblicano, cioè una persona fragile per la quale Cristo è venuto per salvarla e che merita molto di più il tuo amore”.

Nell’occasione il vescovo coopto aveva collegato il tentativo di Dio di conciliare il mondo con la natura debole dell’uomo: “Infine, dopo il fallimento di questi tentativi di riconciliare questa creazione smarrita e perduta, il Signore l’ha trattata come si tratta un pagano e un pubblicano, cioè come una creatura debole che non ha alcuna capacità né di riconciliarsi né di ritornare a lui. E’ stato perciò costretto a lasciarsi alle spalle le novantanove pecore che non si erano smarrite e andare a cercare la perduta”.

Ed ecco l’insegnamento di abba Matta El Meskin: “Cristo non ha trascurato i sentimenti della parte che ha subito il torto, né ha dato poca importanza alla slealtà commessa nei nostri confronti. Ma i suoi occhi erano fissi sull’amore e la misericordia che tutto scusa e tutto sopporta, affinché possiamo assomigliare al Padre che ci tratta con molta delicatezza e ci perdona tantissime cose.

In ultima analisi, Cristo tiene fisso lo sguardo sul perdono totale che gli causerà sofferenze, angoscia, la crocifissione, la lacerazione della propria carne e infine la morte, come prezzo per i nostri gravi peccati… Abba Matta comprese il perdono nel suo senso più ampio, che significa accettare l’altro, l’altro diverso da me in tutto, specialmente nella fede o nella dottrina”.

Ed ugualmente nell’omelia per la notte di Pasqua spiegò la necessità per l’uomo della Resurrezione: “Si noti che la resurrezione dei morti era messa in dubbio dalle genti come si evince dal discorso di san Paolo sull’Areòpago… Chiarendone la gravità, l’Apostolo Paolo replica così alla mancanza di fede nella resurrezione dai morti… Eccoci chiarito il motivo dell’insistenza sulla verità della resurrezione del Signore. Senza resurrezione non c’è salvezza.

Domanda: la morte del Signore non bastava a ottenere la salvezza? L’Apostolo risponde che se non crediamo alla resurrezione la predicazione degli apostoli è vana e così anche la nostra fede. Per capire questo punto, per capire fino in fondo il nostro bisogno della resurrezione del Signore, dobbiamo andare indietro, fino all’inizio della creazione, al momento della caduta dei nostri progenitori e alle sue conseguenze”.

Ed ha spiegato il beneficio della resurrezione in Cristo: “Ecco il grande beneficio della Resurrezione: siamo risorti con Cristo dopo essere stati morti a causa delle colpe e dei peccati. Non credere alla resurrezione del Signore dai morti significa che siamo ancora nel nostro peccato… Risorgendo insieme al Signore, dunque, non ritorneremo solamente alla prima immagine secondo la quale Adamo fu creato ma acquisteremo l’immagine del Signore risorto dai morti, il quale morì a causa dei nostri peccati e risuscitò per la nostra giustificazione”.

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