L’amore di Paolo VI per la Chiesa nel mondo

Condividi su...

Quaranta anni fa, il 6 agosto 1978, moriva papa Paolo VI, che sarà canonizzato il 14 ottobre prossimo; durante l’Angelus di domenica 5 agosto papa Francesco lo ha ricordato come il grande papa della ‘modernità’: “40 anni fa il beato Papa Paolo VI stava vivendo le sue ultime ore su questa terra. Morì infatti la sera del 6 agosto 1978. Lo ricordiamo con tanta venerazione e gratitudine, in attesa della sua canonizzazione, il 14 ottobre prossimo. Dal cielo interceda per la Chiesa, che tanto ha amato, e per la pace nel mondo. Questo grande Papa della modernità, lo salutiamo con un applauso, tutti!”.

Il giorno della sua morte coincide con la festa della Trasfigurazione del Signore, una festività a cui papa Paolo VI era molto legato, come si evince dal suo ultimo angelus preparato per l’occasione, ma mai pronunciato, in cui ha ricordato la bellezza dell’essere figli di Dio:

“Quel corpo, che si trasfigura davanti agli occhi attoniti degli apostoli, è il corpo di Cristo nostro fratello, ma è anche il nostro corpo chiamato alla gloria; quella luce che lo inonda è e sarà anche la nostra parte di eredità e di splendore. Siamo chiamati a condividere tanta gloria, perché siamo ‘partecipi della natura divina’. Una sorte incomparabile ci attende, se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana: se saremo vissuti nella logica consequenzialità di parole e di comportamento, che gli impegni del nostro battesimo ci impongono”.

In questo Angelus il papa ha augurato a chi è in vacanza un periodo per la propria maturazione spirituale; ma anche ha ricordato chi non è in grado di godersi le ferie: “Ma anche questa domenica non possiamo dimenticare quanti soffrono per le particolari condizioni in cui si trovano, né possono unirsi a chi invece gode il pur meritato riposo. Vogliamo dire: i disoccupati, che non riescono a provvedere alle crescenti necessità dei loro cari con un lavoro adeguato alla loro preparazione e capacità; gli affamati, la cui schiera aumenta giornalmente in proporzioni paurose; e tutti coloro, in generale, che stentano a trovare una sistemazione soddisfacente nella vita economica e sociale”.

E nello stesso periodo della malattia aveva scritto un ‘pensiero alla morte’, pubblicato da L’Osservatore Romano nell’anno successivo, in cui ha affermato che occorre riflettere sulla precarietà della vita: “Questa ovvia considerazione sulla precarietà della vita temporale e sull’avvicinarsi inevitabile e sempre più prossimo della sua fine si impone: non è saggia la cecità davanti a tale immancabile sorte, davanti alla disastrosa rovina che porta con sé, davanti alla misteriosa metamorfosi che sta per compiersi nell’essere mio, davanti a ciò che si prepara”.

Nello scritto papa Paolo VI ha sottolineato la certezza di una vita ‘altra’: “L’ora viene. Da qualche tempo ne ho il presentimento. Più ancora che la stanchezza fisica, pronta a cedere ad ogni momento, il dramma delle mie responsabilità sembra suggerire come soluzione provvidenziale il mio esodo da questo mondo, affinché la Provvidenza possa manifestarsi e trarre la Chiesa a migliori fortune. La Provvidenza ha, sì, tanti modi d’intervenire nel gioco formidabile delle circostanze, che stringono la mia pochezza; ma quello della mia chiamata all’altra vita pare ovvio, perché altri subentri più valido e non vincolato dalle presenti difficoltà. Sono un servo inutile”.

Il papa è consapevole del passaggio verso la ‘Gloria celeste’: “Ma ora, in questo tramonto rivelatore un altro pensiero, oltre quello dell’ultima luce vespertina, presagio dell’eterna aurora, occupa il mio spirito: ed è l’ansia di profittare dell’undicesima ora, la fretta di fare qualche cosa di importante prima che sia troppo tardi.

Come riparare le azioni mal fatte, come ricuperare il tempo perduto, come afferrare in quest’ultima possibilità di scelta ‘la sola cosa necessaria’? Alla gratitudine succede il pentimento. Al grido di gloria verso Dio Creatore e Padre succede il grido che invoca misericordia e perdono. Che almeno questo io sappia fare: invocare la Tua bontà, e confessare con la mia colpa la Tua infinita capacità di salvare”.

Il papa è consapevole della ‘povera storia della mia vita’, come recita il Salmo 68: “Dio, Tu conosci la mia stoltezza. Povera vita stentata, gretta, meschina, tanto bisognosa di pazienza, di riparazione, d’infinita misericordia. Sempre mi pare suprema la sintesi di S. Agostino: miseria et misericordia. Miseria mia, misericordia di Dio.

Ch’io possa almeno ora onorare Chi Tu sei, il Dio d’infinita bontà, invocando, accettando, celebrando la Tua dolcissima misericordia. E poi un atto, finalmente, di buona volontà: non più guardare indietro, ma fare volentieri, semplicemente, umilmente, fortemente il dovere risultante dalle circostanze in cui mi trovo, come Tua volontà. Fare presto. Fare tutto. Fare bene. Fare lietamente: ciò che ora Tu vuoi da me, anche se supera immensamente le mie forze e se mi chiede la vita. Finalmente, a quest’ultima ora”.

Ed un ultimo pensiero sulla Chiesa, tanto amata: “Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono, d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto.

Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare. Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo.

Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che l’assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio, con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi”.

La conclusione è un atto d’amore verso il mondo con la preghiera di amore di Gesù al mondo nel capitolo 17 del vangelo di Giovanni: “Uomini, comprendetemi; tutti vi amo nell’effusione dello Spirito Santo, ch’io, ministro, dovevo a voi partecipare. Così vi guardo, così vi saluto, così vi benedico. Tutti. E voi, a me più vicini, più cordialmente. La pace sia con voi.

E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo”.

Free Webcam Girls
151.11.48.50