Dalla Diocesi di Concordia-Pordenone un invito a toccare la carne di Cristo

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Nella diocesi di Concordia-Pordenone mons. Giuseppe Pellegrini ha scritto ai fedeli una lettera pastorale, ‘Toccare la carne di Cristo: incontrare, ascoltare e condividere la vita dei poveri’, prendendo spunto dall’omelia pronunciata da papa Francesco nella Veglia di Pentecoste con i movimenti il 18 maggio 2013, per sintetizzare il cammino pastorale sulla povertà:

“Toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci porta il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera con i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo”.

La lettera ha l’intenzione di suggerire alcuni spunti di riflessione per il cammino triennale della visita pastorale, proponendo alcuni testimoni. Il primo testimone è proprio Francesco di Assisi, attraverso l’incontro con il lebbroso e con il crocifisso di san Damiano: “Questi due episodi della vita di san Francesco, così uniti tra loro, ci aiutano a comprendere meglio il cammino pastorale di quest’anno dedicato ai poveri.

E’ infatti fondamentale unire la contemplazione di Cristo Gesù povero che si fece simile a noi con l’attenzione e il servizio ai poveri. La scelta pauperistica di san Francesco non si colloca all’interno dei movimenti del suo tempo che volevano la povertà fine a se stessa: vuole essere piuttosto la caratteristica essenziale per affermare l’adesione totale al Vangelo e alla vita di Gesù”.

Ma contemplare Gesù significa seguire la strada delle Beatitudini, che conduce alla felicità: “Se dunque il Regno arriva in mezzo a noi con Gesù e per ereditarlo bisogna vivere come poveri, possiamo dedurre che bisogna imparare da Gesù a vivere come poveri. Praticamente l’evangelista sta dicendo che chi fa una scelta in favore degli altri non si deve preoccupare perché Dio si prenderà cura di lui.

I poveri sono beati non perché vivono la povertà nella rinuncia e nel sacrificio, ma perché danno compimento, con il loro stile di amore e di servizio verso gli altri, al regno di Dio che viene. Poveri per essere liberi di donare se stessi agli altri. I poveri in spirito sono quelli che liberamente e per amore si sentono responsabili del bene e della felicità degli altri, permettendo così a Dio di prendersi cura di loro. Se noi ci prediamo cura degli altri, permetteremo a Dio di prendersi cura di noi”.

In pratica mons. Pellegrini consegna ai fedeli l’icona del buon samaritano: “Come ha fatto il Buon Samaritano della parabola, siamo chiamati a riconoscere prima di tutto gli uomini e le donne che vivono nella sofferenza e nella povertà ai bordi delle strade del nostro territorio e ad avere compassione, diventando anche noi poveri come colui che desideriamo servire. Solo così sarà possibile coniugare i tre verbi della solidarietà evangelica che ci hanno accompagnato qualche anno fa nel cammino pastorale: vedere, fermarsi e toccare”.

Riflettendo sulle parole dell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ il vescovo di Concordia-Pordenone descrive una Chiesa povera per i poveri: “La Chiesa è chiamata ad essere una comunità dove i poveri si sentano a casa loro, fratelli tra fratelli, dove sono accolti e dove possono a loro volta accogliere e fare qualcosa per gli altri, ritrovando la gioia e forza per vivere in pienezza e dignità.

Chiesa dei poveri e per i poveri è una comunità di fratelli e di sorelle che non si fanno grandi con gli ultimi ma sanno riconoscere la propria piccolezza e confidano solo in Dio misericordioso. Non nel potere umano, non negli appoggi politici, non sulla forza del denaro, non sul consenso dei media ma solo in Dio e nella sua Parola fatta carne”.

Nella seconda parte della lettera pastorale il vescovo invita ad agire attraverso sinergie territoriali contro le povertà, tra cui il gioco d’azzardo: “Una nuova forma di povertà, diffusa molto nel territorio della diocesi, anche se in modo sommerso, è il gioco d’azzardo, che non ho paura di qualificare un’azione immorale. Il gioco d’azzardo rappresenta un fenomeno in continua espansione tanto in Italia quanto nella regione Friuli Venezia Giulia e nel Pordenonese.

L’incremento dell’offerta d’azzardo da un lato e la diffusa situazione di precarietà dall’altro hanno contribuito a incentivare il fenomeno, creando spesso situazioni particolarmente difficili, se non drammatiche, a livello personale, familiare e sociale. Il Friuli Venezia Giulia è la nona regione italiana per spesa in slot machine pro capite…

La Caritas diocesana, in sinergia con le Caritas parrocchiali e con altre realtà del territorio, sta formando i propri volontari al fine di poter individuare e sostenere chi si dovesse trovare in questa situazione, anche valutando l’aperura di punti di ascolto dedicati. Considerato tutto questo, ribadisco quella che è sempre stata l’indicazione della Diocesi di non tenere negli ambienti parrocchiali o dipendenti dalle parrocchie apparecchi finalizzati al gioco d’azzardo”.

Poi attenzione particolare è posta alla ‘gestione del denaro’: “Siamo chiamati, come cristiani, a mettere in discussione l’attaccamento al denaro e la ricerca spasmodica delle ricchezze, accompagnate dall’accumulo eccessivo di beni materiale e di depositi. Essere poveri insegna alle nostre comunità e alla Chiesa a fare i conti con l’illegalità e la corruzione molto diffusa anche ai nostri giorni, accompagnate da bustarelle e raccomandazioni.

Non abbiamo paura, come presbiteri, consacrati, ma anche come fedeli laici e comunità cristiane ad interrogarci sull’uso del denaro, dove investiamo quel poco o tanto denaro che abbiamo a disposizione. Dobbiamo servirci del denaro e non servire il denaro, usandolo anche per la solidarietà efficace e rispettosa della dignità di ogni persona”.

Ed offre alcune ‘opere segno’ da attuare nelle unità pastorali: “Una volta individuata una situazione di povertà che coinvolge progressivamente sempre più persone, siamo provocati a fare qualcosa di concreto. La comunità cristiana riconosce di disporre di risorse limitate: qualche volontario, un budget insufficiente, un parroco sensibile e volenteroso.

Per questo le nostre iniziative hanno il valore del ‘segno’, cioè affrontano una parte del problema sapendo di non poterlo sconfiggere in modo completo ma lo portano all’attenzione di tutti indicando una possibile via di soluzione. Sono ‘segno’ per i poveri di un Dio che è amore, accoglienza e perdono; segno per i cristiani di come essere fedeli al vangelo; segno per il mondo di che cosa sta a cuore alla Chiesa.

E’ bello ricordare che spesso le attività ed opere concrete sono fatte in stretta collaborazione tra le parrocchie e altre realtà sociali e istituzionali del territorio, insieme a gruppi e associazioni varie. Tutto questo va incentivato”.

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