Viaggiare è sperare e sperare vuol dire non possedere

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Viaggiare è sperare e sperare vuol dire non possedere: in queste poche parole è nascosta l’essenza del futuro. Due viaggiatori antitetici sono la guida per il futuro: José Saramago e Paolo di Tarso. Entrambi viaggiatori, entrambi con una posizione ben definita sulla Verità, entrambi alla ricerca di un oltre.

Il futuro è rappresentato dalla nostra mente come il non ancora, qualcosa che – nel bene o nel male, con fiducia o paura – si attende, e verso quell’attesa siamo tutti in cammino. Appunto, siamo proiettati verso un’attesa, non verso un fatto, poiché l’evento ancora non lo conosciamo per esperienza.

Lo diceva Paolo nella Lettera ai Romani: “Ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza”; senza la speranza, non c’è un significato che trascenda gli accadimenti del presente.

Viaggiare vuol dire, da un lato, riconoscere di non possedere la Verità e, dall’altro, essere certi che la Verità esiste: viaggiare è un atto di fede!

Se la Verità o la felicità non esistessero, non sarebbe necessario cercarle; se percepiamo che vivere felici vuol dire smettere di essere sedentari e incamminarsi, automaticamente una parte di noi, più o meno consciamente, crede. Ed è paradossale pensare di procedere verso il nulla: quantomeno c’è sempre la strada davanti a sé, ed è già qualcosa.

“Il viaggiatore non è di buon umore. Tuttavia si conosce abbastanza per sospettare che il proprio malessere nasca dall’impossibilità di conciliare due volontà opposte: quella di trattenersi in ogni luogo, quella di arrivare in ogni luogo”: la frase tratta da ‘Viaggio in Portogallo’ di Saramago, tratteggia la nostra umanità, differenziata ontologicamente dalla divinità, proprio perché non gode di ubiquità.

Quel malumore esistenziale espresso da Saramago non è negativo: serve a ciascuno come la tenacia serve al disperso nel deserto; senza di essa non si troverà mai l’oasi nel deserto. Per alcuni, sarebbe forse piacevole essere nella condizione di chi è arrivato alla méta, ma è un’illusione: l’essenza del viaggio è il cammino, e chi crede di essere già a destinazione, non è mai partito!

Nella Lettera ai Filippesi, Paolo si definisce come “proteso verso il futuro”, verso ciò che gli sta di fronte, e corre per raggiungere la méta, conscio che ogni esperienza sarà una possibilità in più per attualizzare il mistero di Dio.
Progredire verso il futuro vuol dire penetrare in un mistero che ci precede ed è a noi immanente: nella prospettiva laica di Saramago “i fiumi, come gli uomini, solo in prossimità della fine vengono a sapere perché sono nati”.

Perché siamo qui? Cosa attendere? Le domande fondamentali trovano ragion d’essere in un presente gravido di futuro. Cosa si troverà a conclusione dell’itinerario? La forza dirompente della risposta giungerà proporzionale a quanto abbiamo saputo camminare nel nostro oggi.

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