Torino ha festeggiato san Giovanni: una visione di speranza per la città

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Com’è tradizione, domenica 24 giugno, Torino ha festeggiato il patrono, san Giovanni Battista e per l’occasione mons. Cesare Nosiglia ha ricordato i 50 anni di ordinazione sacerdotale e festeggiato, ospitando a pranzo, preparato dal Sermig, tre famiglie di diverse etnie, provenienza e religione: una famiglia rom proveniente dai campi della città, composta da 6 persone tra cui 4 minori e seguita dalla associazione Aizo; una famiglia italiana di 5 persone tra cui 3 minori, sfrattata ed inserita nel progetto ‘Sister’, che la Caritas diocesana ha realizzato utilizzando i fondi che papa Francesco ha donato nella visita pastorale del 2015; una famiglia congolese di 8 persone tra cui 6 minori, aiutata e seguita dalla fondazione Migrantes.

Tale invito è stato un richiamo al dovere della ospitalità che può essere svolta da ogni famiglia e comunità della nostra città anche per altre circostanze utili ad attuare l’invito del comandamento: ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’. La giornata è stata conclusa dalla rassegna ‘Campane in festa per San Giovanni’, una serie di concerti di campane proposti dai principali campanili torinesi. Le campane sono state suonate a festa dal gruppo ‘CampaneTo’ per valorizzare i concerti campanari secondo le antiche suonate tradizionali del territorio.

L’iniziativa è parte di un progetto più ampio di ricerca e scoperta del patrimonio e della musica campanaria del torinese che il gruppo sta portando avanti da diversi anni tramite lo studio delle tradizioni locali e il loro conseguente recupero. Nell’omelia mons. Nosiglia ha ricordato che il precursore di Gesù San Giovanni ha predicato alla gente un ‘Battesimo per la conversione’, annunciando il rinnovamento: “non tanto delle strutture pubbliche e dei sistemi di potere, ma rinnovamento del cuore delle persone, perché possano aprirsi alla salvezza che verrà dal Cristo”.

Infatti secondo l’arcivescovo di Torino il rinnovamento delle strutture potrà avvenire se ci sarà un diverso atteggiamento delle persone: “Il suo tempo è anche il tempo in cui ci troviamo noi oggi: sentiamo parlare di rinnovamento e vediamo quanto siano necessari certi cambiamenti. Ma questo dice, prima di tutto, la nostra stanchezza per la complessità di una vita, personale e sociale, che facciamo fatica ad affrontare con le nostre sole forze.

Fa parte del problema anche l’esplodere di polemiche, l’aver trasformato certo dibattito pubblico in un’arena in cui chi vince non è questo o quel gladiatore, ma sempre il ‘padrone del circo’, il controllore dei canali mediatici, il manipolatore delle opinioni e dei sentimenti”.

Ha invitato a non trascurare le parole di san Giovanni che chiede un cambiamento di mentalità: “Se guardiamo alla vicenda di san Giovanni così come il Vangelo ce la presenta, scopriamo molte cose importanti anche per la nostra esistenza di oggi. Per esempio, che Giovanni è disposto a spendere la sua vita, a farsi ammazzare, pur di non rinunciare al diritto-dovere di dire la Verità. San Giovanni ci sprona dunque a non tacere mai di fronte alle ingiustizie e alle illegalità, alla sopraffazione nei confronti dei più poveri e deboli”.

E citando don Lorenzo Milani mons. Nosiglia non ha chiesto una denuncia degli avvenimenti ma una nuova assunzione di responsabilità: “Ma attenzione: non si tratta di fare della denuncia uno stile di vita e della protesta un modo comodo per scaricarci dalle nostre responsabilità. Impariamo da san Giovanni a comprendere che il rinnovamento della Città parte da se stessi, dal personale impegno di onestà e di solidarietà a servizio di tutti.

Don Milani, nella ‘Lettera ad una professoressa’, lo dice così: ‘Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia’. Se non imbocchiamo questa strada, tutto ci spinge nella direzione opposta (verso l’individualismo) e rischiamo di non renderci più conto che la nostra vita personale, e la vita dell’intera Città, altro non è che una rete fittissima di relazioni, e che il nostro destino si intreccia e si definisce continuamente attraverso le scelte e i destini degli altri”.

Il suo giudizio non è negativo, ma vuole essere uno sprone per una maggior collaborazione per tutelare la dignità delle persone: “Sono comunque positivo nel mio giudizio, perché in questi ultimi anni ci siamo dati uno strumento di dialogo e di interazione per lavorare insieme a favore dello sviluppo organico ed armonico di questa nostra Città. E’ il percorso dell’Agorà del Sociale, che nel 2018 si sta concentrando più precisamente sugli elementi utili per la costruzione di un welfare con caratteristiche sempre più generative.

La lunga crisi, da una parte ha messo a dura prova la resistenza delle persone, soprattutto quelle già fragili, colpite dalle sue svariate conseguenze; ma, dall’altra parte, ha fatto emergere con chiarezza la necessità e l’urgenza di puntare con coraggio e lungimiranza sulla valorizzazione delle risorse di persone, gruppi e territori”.

Citando alcuni esempi di collaborazione mons. Nosiglia ha gettato uno sguardo nelle ‘periferie’: “Ci sono anche alcune sacche di fatica che, nonostante tutto, non siamo ancora riusciti ad alleviare. Il pensiero va immediatamente alla questione complessiva delle periferie urbane, che sentono ancora insufficiente lo sforzo nei loro confronti.

Non che non si sia fatto nulla, anzi, ma serve ancora un supplemento di coraggio per ripartire davvero da ciò che è periferico, per modificare anche il modo di approccio ai temi dello sviluppo della Città. Si tratta di frontiere in cui occorre costruire squadra, sia a livello di operatori che di istituzioni, per superare il pur legittimo particolarismo e coordinare azioni complessive, di sistema”.

Durante l’omelia mons. Nosiglia ha fermato il proprio sguardo sulla periferia carceraria: “L’obiettivo è ancora una volta la dignità delle persone che, certo, hanno sbagliato, ma hanno il diritto di potersi riscattare, per ritrovare vie di cambiamento a servizio della comunità”.

Altre periferie non dimenticate dall’arcivescovo sono state quelle dei giovani e degli anziani: “La mancanza di lavoro pesa come un macigno sulla vita dei giovani e delle loro famiglie e di riflesso su tutta la società. E’ una sfida che non possiamo eludere o sottovalutare, lasciando ai singoli interessati o ai loro genitori e nonni il problema e rischiando di espellere intere generazioni dal processo culturale, sociale e produttivo del territorio. La formazione e l’accompagnamento dei giovani al lavoro mettono in gioco le Università, le scuole professionali, le imprese, le istituzioni e, da parte della Chiesa, la pastorale del lavoro e la fondazione Operti”.

Ma la questione giovanile non può far dimenticare la condizione degli anziani: “Sempre più si presentano questioni legate alla non autosufficienza e alla difficoltà a reperire, senza doversi sottoporre a lunghe ed incerte traversie, ciò che la legge prevede per il loro sostegno, sia in strutture che a domicilio. Agevolare questi percorsi è parte di un modo alto di prendersi cura di loro, valorizzando gli anziani che chiedono con insistenza di venire inserirti in reti di relazioni significative, per affrontare la solitudine e la perdita di significato”.

Quindi ha affermato che le possibili soluzioni di queste due ‘categorie’ possono essere trovate se la famiglia è messa al centro della politica: “Purtroppo nel nostro territorio, si continuano a fare i conti con la crisi del mondo del lavoro, della scuola (in specie quella per l’infanzia statale, comunale e paritaria che svolgono un servizio pubblico indispensabile per le famiglie e i bambini), e non ultima quella abitativa.

In questo ambito, i passi fatti sono davvero molti e significativi, anche rispetto ad altri territori del nostro Paese. Preziosa è la sensibilità umana di tanti operatori pubblici e privati, che gestiscono con entusiasmo e responsabilità il loro compito, favorendo i percorsi verso la casa popolare o verso altre forme di residenzialità protetta.

Ma dobbiamo riuscire a rendere strutturale tutto lo sforzo compiuto, codificandolo in modo più sistematico e curandone gli esiti di piena dignità, cosa che non sempre si realizza, almeno vedendo la situazione di alcuni alloggi popolari, assegnati in condizioni a dir poco precarie. La casa è un elemento indispensabile per favorire l’unità della famiglia e una crescita armonica e serena dei figli”.

Ed infine ha riconosciuto il ruolo importante del volontariato: “Senza volontariato, organizzato o spontaneo, Torino non sarebbe quello che è. Riconoscerlo è importante… La promozione del volontariato esige anche l’impegno di sostenerne la qualificazione, oltre che l’operato dei volontari. Qui un ruolo decisivo hanno le Istituzioni culturali alle quali chiediamo un supplemento di impegno nel collegarsi con la rete diffusa del volontariato”.

Concludendo l’omelia ha chiesto alla città di ‘riscoprire’ il patrono come un promotore di speranza: “La festa di san Giovanni è una iniezione di fiducia e di speranza, perché ci invita a riconoscere la qualità solidale e fraterna della nostra Città che, in mezzo a molte questioni delicate, riesce a rispondere con un cuore che vede.

Cari amici, il nostro santo patrono ci chiede di guardare avanti con rinnovata fiducia, perché in mezzo a noi c’è uno che tanti non conoscono, ma che continua a operare per il bene di tutti, senza chiusure o rifiuti, ma aprendo il suo cuore e la sua prossimità, perché ciascuno lo senta come Padre, Salvatore e amico. Su questo hanno puntato i nostri Santi sociali lasciandoci un esempio e delle opere che qualificano in modo esemplare Torino in tutto il mondo”.

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