Cile: papa Francesco e la forza del Vangelo

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La Missione vaticana ha terminato la sua missione ‘investigativa’ in Cile, ascoltando oltre 100 persone ed incontrando nella città di Osorno almeno 500 persone tra laici, sacerdoti, religiose e seminaristi. Numerosi i contatti di lavoro con i vescovi della Presidenza dell’Episcopato.

Nel frattempo l’ultimo numero de ‘La Civiltà Cattolica’ ha pubblicato la lettera che papa Francesco aveva consegnato ai vescovi cileni nello scorso maggio sugli abusi commessi, che ha portato alla rinuncia degli incarichi dei vescovi: “Una ferita trattata, finora, con una medicina che invece di curarla sembra averne ingrandito ancora di più lo spessore e il dolore. Dobbiamo riconoscere che allo scopo di riparare il danno e la sofferenza arrecati sono state compiute diverse azioni, ma dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che la strada seguita non è valsa molto a guarire e a curare.

Forse perché si voleva voltare pagina troppo rapidamente senza farsi carico delle insondabili ramificazioni di questo male; o perché è venuto meno il coraggio di affrontare le responsabilità, le omissioni e specialmente le dinamiche permissive che hanno consentito alle ferite di generarsi e di perpetuarsi nel tempo; forse perché è mancata la risolutezza di assumere come corpo quella realtà in cui tutti siamo implicati, io per primo, e da cui nessuno si può esimere spostando il problema sulle spalle degli altri; o perché si è pensato che fosse possibile andare avanti senza riconoscere, con umiltà e fermezza, che in tutto il processo erano stati compiuti degli errori”.

Il papa ha chiamato tale occasione come ‘tempo di grazia’: “Il tempo che ora ci viene offerto è tempo di grazia. Tempo in cui, con l’impulso dello Spirito Santo e in clima di collegialità, si possono compiere i passi necessari per generare la conversione a cui lo stesso Spirito vuole condurci.

E’ necessario un cambiamento, lo sappiamo, ne abbiamo bisogno e lo desideriamo. Non è soltanto un debito che abbiamo verso le nostre comunità e tante persone che hanno sofferto e soffrono nella loro carne i dolori arrecati: lo spirito di conversione fa parte della missione e dell’identità stessa della Chiesa. Lasciamo che questo sia un tempo di conversione”.

Richiamando la predicazione di Giovanni Battista il papa ha svolto una riflessione fraterna con i vescovi cileni: “Forse per il credente non esiste gioia più grande che condividere, testimoniare e rendere visibili Gesù e il suo Regno. L’incontro col Risorto trasforma la vita e fa sì che la fede diventi gioiosamente ‘contagiosa’.

E’ il seme del Regno dei Cieli che tende spontaneamente alla condivisione, a moltiplicarsi, e che, come Andrea, ci induce a correre verso i nostri fratelli e a dire: ‘Abbiamo trovato il Messia’. Un Messia che ci apre sempre un orizzonte di vita e di speranza. Grazie all’azione dello Spirito il discepolo si lascia lanciare in quest’avventura di fare crescere e spargere la vita nuova che Gesù ci offre.

Non possiamo mai identificare quest’azione col proselitismo o con la conquista di spazi: è invece l’invito gioioso alla vita nuova che Gesù ci regala. ‘Lui deve crescere’ è ciò che palpita nel cuore del discepolo, perché ha sperimentato che Gesù Cristo è offerta di vita buona. Soltanto Lui è capace di salvare”.

Così ha chiesto che la Chiesa cilena sia profetica nel rispetto della dignità umana: “La Chiesa in Cile ne ha buona esperienza. La storia ci dice che ha saputo essere madre e generare molti nella fede, che ha predicato la vita nuova del Vangelo e ha combattuto per essa quando veniva minacciata. Una Chiesa che ha saputo dare ‘battaglia’ quando la dignità dei suoi figli non era rispettata o veniva semplicemente ignorata.

Non ha cercato affatto di mettersi al centro, non ha cercato di essere il centro: ha saputo essere la Chiesa che metteva al centro ciò che era importante. In momenti bui della vita del suo popolo, la Chiesa in Cile ha avuto il coraggio profetico non soltanto di alzare la voce, ma anche di fare appello affinché si creassero spazi in difesa di uomini e donne sui quali il Signore l’aveva incaricata di vegliare; sapeva bene che non si poteva proclamare il comandamento nuovo dell’amore senza promuovere, tramite la giustizia e la pace, la crescita vera di ogni persona. Così possiamo parlare di Chiesa profetica che sa offrire e generare la vita buona che il Signore ci offre”.

E quindi ha tratteggiato i lineamenti di una Chiesa profetica: “Una Chiesa profetica che sa mettere Gesù al centro è capace di fare festa per la gioia provocata dal Vangelo. Come ho rimarcato a Iquique, ma possiamo certo applicarlo a tanti luoghi del nord e del sud del Cile, la pietà popolare è una delle ricchezze più grandi che il Popolo di Dio ha saputo coltivare…

Una Chiesa profetica che sa mettere Gesù al centro è capace di generare nella santità un uomo che ha saputo proclamare con la sua vita: ‘Cristo vaga per le nostre strade nella persona di tanti poveri malati, sofferenti, costretti ad abbandonare il loro misero alloggio. Cristo, rannicchiato sotto i ponti, nella persona di tanti bambini che non hanno nessuno da chiamare ‘padre’, che da molti anni sono privi del bacio della madre sulla loro fronte…

Una Chiesa profetica che sa mettere Gesù al centro è capace di chiamare a generare spazi che accompagnino e difendano la vita dei diversi popoli che formano il suo vasto territorio, riconoscendo una ricchezza multiculturale ed etnica senza pari, sulla quale è necessario vegliare. A modo di esempio segnalo le iniziative promosse specialmente dai vescovi del Sud del Cile negli anni Sessanta, promuovendo le dinamiche necessarie affinché il popolo Mapuche potesse vivere in pienezza l’arte del ben vivere, da cui abbiamo tanto da imparare”.

E dopo aver tratteggiato i fermenti ‘vivi’ della Chiesa cilena ha enucleato anche i momenti di stanchezza della vita ecclesiastica in Cile: “Duole constatare che, in quest’ultimo periodo della storia della Chiesa cilena, questa ispirazione profetica ha perso vigore per dare spazio a quella che potremmo denominare una trasformazione nel suo centro.

Non so che cosa sia venuto prima, se la perdita di forza profetica abbia dato luogo al cambio di centro o se il cambio di centro abbia portato a perdere la profezia che in voi era così caratteristica. Tuttavia possiamo certo osservare che quella Chiesa che era chiamata a mettere in evidenza Colui che è la Via, la Verità e la Vita è diventata essa stessa il centro di attenzione.

Ha smesso di guardare e di additare il Signore per guardarsi e occuparsi di sé stessa. Ha concentrato su di sé l’attenzione e ha perduto la memoria della sua origine e della sua missione”.

E ha constatato l’enorme scandalo degli abusi sessuali: “E’ urgente affrontare questo scandalo e cercare di porre rimedio a breve, medio e lungo termine per ristabilire la giustizia e la comunione. Credo al tempo stesso che, con la stessa urgenza, dobbiamo lavorare a un altro livello per discernere come generare nuove dinamiche ecclesiali in consonanza col Vangelo e che ci aiutino a essere migliori discepoli missionari capaci di recuperare la profezia…

E’ essenziale che si recuperi una dinamica ecclesiale capace di aiutare i discepoli a discernere il sogno di Dio per le loro vite, senza pretendere di soppiantarli in questa ricerca. Nei fatti, i falsi messianismi vorrebbero cancellare quell’eloquente verità che è la totalità dei fedeli ad avere l’unzione del Santo.

Né un individuo né un gruppo illuminato possono mai avanzare la pretesa di essere la totalità del Popolo di Dio, e tantomeno credersi la voce autentica della sua interpretazione. In questo senso dobbiamo guardarci da quella che mi permetto di chiamare ‘psicologia da élite’, che può affacciarsi nel nostro modo di affrontare le questioni”.

Ed ha chiesto alla Chiesa cilena collegialità nell’affrontare questa ‘piaga’: “Fratelli, non siamo qui perché siamo migliori di altri. Come vi ho detto in Cile, siamo qui con la consapevolezza di essere peccatori-perdonati o peccatori che vogliono essere perdonati, peccatori con apertura penitenziale. E in questo troveremo la fonte della nostra gioia. Vogliamo essere pastori secondo Gesù ferito, morto e risorto.

Vogliamo trovare nelle ferite del nostro popolo i segni della Risurrezione. Vogliamo passare da quella che è una Chiesa incentrata su di sé, abbattuta e desolata dai suoi peccati, a una Chiesa servitrice di tanti avviliti che ci vivono accanto. Una Chiesa capace di mettere al centro ciò che è importante:

il servizio del suo Signore nell’affamato, nel carcerato, nell’assetato, nel senzatetto, nel nudo, nel malato, nell’abusato… con la coscienza che costoro hanno la dignità di sedersi alle nostre tavole, di sentirsi ‘a casa’ tra noi, di essere considerati famiglia. Questo è il segno che il Regno dei cieli è tra noi”.

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