Che senso ha ancora l’esame di Maturità?

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Gli esami di maturità stanno per iniziare. Nello spazio di un’estate, molti torneranno sui libri per prepararsi ai test d’accesso ai corsi di laurea, molti già saranno in cerca di un’occupazione. Credo, però, che in pochi mediteranno sull’Esame di Stato, ultimo retaggio di un mondo liturgico-sacrale laico giunto al tramonto, una specie di rito di passaggio all’età adulta.

Senza entrare nel merito della questione sull’opportunità di continuare a svolgere questa prova a conclusione del ciclo di studi superiori, vorrei stimolare una discussione sulla ‘maturità culturale’ che si spera abbiano raggiunto gli studenti. Mi affido ad un’immagine, offerta da Zygmut Bauman; gli uomini si possono classificare in tre categorie: i guardacaccia, i giardinieri e i cacciatori.

I primi, per la loro funzione, proteggono la gradualità dell’accesso alla conoscenza e uso, affinché non si abusi degli effetti del sapere, sfruttandoli contro gli altri. Seguono i giardinieri, che incarnano nella loro funzione il termine latino ‘colere’, il cui significato originario è ‘coltivare’.

Infatti, per loro, la cultura è un vero e proprio giardino, dove ogni tipo di pianta è fatta crescere e maturare, nel rispetto delle altre forme di manifestazione umana, distinguendo le ‘piante buone’ da quelle ‘cattive’. Sono come il Demiurgo della conoscenza: la ordinano secondo un disegno di equilibrio e di armonia, ispirato dalle capacità e dalla formazione del giardiniere.

L’ultima ‘categoria’ è quella dei cacciatori: non hanno alcun progetto di ‘estetica della cultura’: non cercano lo sviluppo, ma lo sfruttamento, non s’interessano della loro responsabilità verso gli altri, ma solo di ‘gareggiare’ per avere la ‘preda più grossa’, a costo di distruggere tutte le altre forme di manifestazione culturale.

La costante dei primi due gruppi è il riconoscimento del ‘trittico socratico’: sapienza, virtù, felicità. La presenza della sapienza fornisce sempre l’arricchimento e la crescita nella felicità, intesa come il raggiungimento dell’essenza umana, nella coscienza del valore della persona umana.

Ogni forma di cultura deve essere incentrata sul rapporto di ‘reciprocità amorevole’ tra chi, mediante la sua ‘competenza’, si mette a servizio dell’altro e chi si rende attento ascoltatore e scrutatore della sapienza altrui. E questa sarà la chiave per comprendere e vivere al meglio il mondo universitario prima e, poi, lavorativo.

Nel messaggio alla FUCI del 2014, Papa Francesco consegnava tre parole: studium, ricerca, frontiera. Nello stretto rapporto tra queste esperienze è l’essenza cristiana della maturità culturale: vivendo la formazione come un momento di identificazione di sé, come una vocazione, lo studente si aprirà alla società offrendo il proprio contributo unico e irripetibile.

Spostando la frontiera oltre l’individuale, ciascuno realizzerà un’azione significativa, capace, cioè, di imprimere un senso nuovo alla realtà, permettendo ‘il progresso materiale e spirituale della società’ (art. 4 Costituzione).

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