II card. Parolin ha ricordato papa Giovanni XXIII

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La celebrazione eucaristica presieduta dal Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, ha concluso la peregrinatio delle reliquie di San Giovanni XXIII, con il ringraziamento del vescovo della diocesi di Bergamo, mons. Francesco Beschi:

“Attraverso di lei vorremmo manifestare i nostri sentimenti anche a papa Francesco che ha concesso che le reliquie del Santo compissero questo viaggio nella terra bergamasca che le ha accolte con gioia e fede. Da questa esperienza essenzialmente spirituale raccogliamo la possibilità di incarnare ancora oggi la fede nel Vangelo nel modo così luminoso che papa Giovanni ci ha testimoniato”.

Anche il card. Parolin ha ringraziato i fedeli per una così grande testimonianza: “Questa peregrinatio è stata un evento di grazia, che ha registrato una straordinaria partecipazione di fedeli, moltissimi dei quali si sono accostati ai Sacramenti, in particolare alla Confessione. Si è trattato di un’iniziativa che ha coinvolto profondamente l’intera diocesi di Bergamo in una gioiosa testimonianza di fede e di amore e che lascia ben sperare per il futuro”.

Poi nell’omelia il Segretario di Stato vaticano ha individuato i tratti essenziali della vita e del magistero di Papa Roncalli, ha ripercorso il cammino della sua esistenza, dall’infanzia in terra bergamasca fino al soglio pontificio, evidenziando il suo costante e totale affidamento al Signore: “Papa Giovanni è stato un uomo buono, divenuto Santo perché fu un uomo abbandonato interamente al progetto che Dio aveva su di lui. Con la sua umiltà e saggezza ebbe a dire: ‘Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto. Io l’ho lasciato fare’.

Egli assecondò il soffio dello Spirito Santo, che lo plasmò, trasformandolo in riconoscibile presenza di Cristo tra i suoi fratelli. Divenne perciò un vero ponte fra cielo e terra, un pontefice nel senso letterale del termine, via di collegamento per permettere alla libertà umana di incontrare la maestà, la bontà e la santità di Dio.

Le sue parole e i suoi gesti esprimevano autorità e gentilezza, serena fermezza e benevolenza, audacia e prudenza, paternità spirituale e condiscendenza fraterna e il mondo ne fu stupito, perché istintivamente, anche i più lontani e i meno istruiti, percepivano che quella semplicità e giovialità del tratto erano il risultato di un costante lavoro di affinamento del carattere, erano l’esito di un percorso sincero e profondo di un’anima alla ricerca dell’essenziale, il frutto di una lunga esperienza e di molte letture meditate, erano lo splendido salario della preghiera e della carità”.

Nell’omelia anche il riferimento al grande respiro del Concilio, al cammino tracciato nell’ecumenismo, all’azione mediatrice come ‘efficace operatore di pace, ponte di riconciliazione tra le nazioni’: “Giovanni XXIII lasciava trasparire un linguaggio e un’azione profetica. Egli non misurava la bontà dei risultati nell’immediato, ma si prefiggeva di spargere semi che a suo tempo avrebbero dato frutto.

La serena e sovrana libertà interiore del suo animo era percepibile dai suoi interlocutori che scorgevano in lui l’uomo di Dio, che pensa e agisce con magnanimità, che suscita e incoraggia il bene, che, in un mondo diviso e lacerato, vuole essere segno di concordia, che non dispone di altra agenda da far avanzare che quella della verità, del bene, della pace.

Egli incarnò con autorevolezza e credibilità la buona novella portata da Cristo, e perciò seppe ridare speranza anche nelle situazioni umanamente più difficili. Si pensi per esempio all’episodio capitato durante la sua visita al carcere romano di Regina Coeli, quando un detenuto messosi in ginocchio davanti a lui gli chiese: ‘Le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me, che sono un grande peccatore?’, ricevendone l’abbraccio del Papa, tra lo stupore e la commozione di tutti”.

Poi ha ricordato la sua lettura della storia come ‘segno misericordioso’ di Dio: “Papa Giovanni leggeva negli avvenimenti della storia non soltanto il funesto elenco dei drammi e delle tragedie provocate dai peccati degli esseri umani, ma in primo luogo la potenza e la grandezza misericordiosa del disegno di salvezza di Dio.

Gli uomini e le donne del suo tempo vennero perciò esortati ad impegnarsi risolutamente e con motivata speranza per accendere fiammelle di bene, piuttosto che attardarsi a lamentarsi del buio… La sua fede rocciosa si trasformava in intrepido coraggio. Sicuro della presenza e dell’assistenza perenne dello Spirito Santo alla sua Chiesa, poté assumersi la responsabilità di indire un Concilio Ecumenico che radunasse l’intera Chiesa per aggiornare il modo di proporre la verità evangelica, per trovare linguaggi e metodi adatti a far incontrare l’uomo contemporaneo con le perenni verità del Vangelo, facilitando l’incontro dell’uomo con il suo Salvatore”.

Ed infine ha ricordato la sua azione ecumenica tra le Chiese cristiane: “L’ecumenismo divenne quindi per lui una necessità per mantenersi fedele al Signore nell’azione quotidiana. Egli era ben consapevole della complessità e difficoltà del percorso volto a ristabilire la piena comunione, sapendo che i tempi e i modi erano riservati alla Provvidenza.

Era certo però che occorresse iniziare un nuovo capitolo fatto di inedite reciproche premure, di gesti simbolici e di atti fraterni, che a partire dalla valorizzazione del tesoro di ciò che unisce, aprisse un itinerario destinato a condurre alla piena unità visibile, per essere davvero fulgidi testimoni della Resurrezione di Cristo.

Lo scandalo della separazione e a volte dell’aperta ostilità tra coloro che si professano cristiani non potevano trovare risposta solo nella preghiera. Quest’ultima anzi doveva suscitare una serie di iniziative volte a cambiare i cuori, aprendo un’era nuova, non di allontanamento da qualche punto della dottrina per soddisfare un irenismo a qualsiasi costo, ma di rasserenamento degli animi, di collaborazione possibile, di responsabile azione verso la concordia”.

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