Mons. Angelelli verso la santità

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“Miei cari fratelli, con grande gioia voglio comunicarvi che il Santo Padre Francesco ha autorizzato in queste ore la pubblicazione del decreto che riconosce il martirio in odio alla fede, subito dal Vescovo Enrique Angelelli, dai padri Carlos Murias e Gabriel Longueville, e dal laico Wenceslao Pedernera. Nell’approssimarci ai 50 anni dall’inizio del ministero pastorale a La Rioja di mons. Angelelli, viviamo questo importante passo verso la prossima beatificazione dei nostri martiri di La Rioja”.

Così è iniziata la lettera che mons. Marcelo Daniel Colombo ha indirizzato nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, ai fedeli della diocesi argentina di La Rioja, annunciando la notizia attesa da tempo. Mons. Enrique Angelelli (1923-1976), vescovo della diocesi di La Rioja, è stato uno dei più noti vescovi dell’Argentina, che non nascose la sua contrarietà alla dittatura. Tra le sue parole che vengono ancora ricordate, affermava spesso: “Stare sempre con un orecchio rivolto al popolo e l’altro verso il Vangelo”. Morì in un incidente d’auto simulato, il 4 agosto 1976, poco dopo l’instaurarsi della dittatura militare.

Dopo 38 anni, il 4 luglio 2014, due alti ufficiali sono stati condannati all’ergastolo per l’omicidio del Vescovo. Per decenni le autorità avevano sostenuto che la sua morte fosse stata accidentale. Nel 2015 era stata aperta la fase diocesana della causa di beatificazione, conclusa un anno dopo. Con lui il papa ha autorizzato i decreti di beatificazione per p. Carlos Murias, giovane francescano conventuale nativo di Cordoba, operava nella diocesi di La Rioja, e mons. Angelelli lo aveva inviato a prestare il suo servizio fra i poveri di Chamical.

Era controllato dai militari e guardato con sospetto, per il suo impegno in difesa dei contadini, e lui era consapevole del rischio che correva. Il 18 luglio 1976 un gruppo di uomini, che si presentarono come poliziotti, lo prelevarono dal convento, dove si trovava, con una scusa. Il parroco di Chamical, don Gabriel Longueville, fidei donum francese, che era con lui, non volle lasciarlo solo. Entrambi sparirono. I loro corpi furono ritrovati in mezzo a un campo due giorni dopo, atrocemente torturati prima di essere fucilati.

Anche Wenceslao Pedernera, contadino, organizzatore del Movimiento Rural Catolico, venne assassinato nella sua abitazione da quattro uomini incappucciati che aprirono il fuoco contro di lui, davanti alla moglie e alle figlie, il 25 luglio 1976. Trasportato in ospedale, dove morì poco dopo, pronunciò parole di perdono per i suoi assassini e raccomandò alla moglie di non portare rancore.

Mons. Angelelli, alcune settimane prima della sua morte, aveva chiesto al comandante della Terza Arma, generale Luciano Benjamin Mendez, notizie sui due preti e un laico scomparsi. Fu allora quando il vescovo si sentì rispondere dal generale Mendez: ‘Eccellenza, lei deve stare molto attento!’. Mons. Angelelli entrò in seminario a 15 anni. Fu ordinato sacerdote a Roma e il 9 ottobre 1949 rientrò in Argentina, a Córdoba, città della quale fu nominato ausiliare da papa Giovanni XXIII il 12 dicembre 1960. Da subito la sua opera pastorale, molto sensibile alla promozione umana e molto vicina ai più poveri, ebbe l’appoggio dei fedeli ma al tempo stesso non mancarono le resistenze.

Nel 1964 fu rimosso dal suo incarico e ciò per lui fu fondamentale poiché gli consentì di prendere parte alle sedute del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il 3 luglio del 1968, papa Paolo VI nominò mons. Angelelli vescovo della diocesi di La Rioja. La sua vita episcopale non fu facile. Sin dal primo momento la sua opera e presenza pastorale tra i sindacati, i contadini, gli operai e gli studenti fu giudicata da molti come ‘un magistero irresponsabile e ideologico’.

Ed in occasione della festa nazionale argentina, celebratasi a fine maggio, l’arcivescovo di Buenos Aires, card. Mario Aurelio Poli, aveva ricordato il dovere dello Stato: “Il primo dovere dello stato è prendersi cura della vita dei suoi abitanti, specialmente i deboli, i piccoli, i poveri e gli emarginati, i malati e gli anziani abbandonati, perché sono i più poveri dei poveri. Prendersi cura della vita dall’inizio alla fine dell’esistenza significa essere nazione”.

Il card. Poli ha citato un passaggio della recente esortazione apostolica ‘Gaudete et exsultate’: “La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo… ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto”.

In questa prospettiva, il card. Poli ha ricordato che “l’indifferenza dell’egoismo dei ricchi di fronte alla miseria dei poveri non passa inosservata agli occhi di Dio, che ricorda i poveri e non dimentica il loro grido”.

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