José Maria Castillo e la Chiesa contemplattiva

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Prima di rendere omaggio a mons. Tonino Bello, papa Francesco riceveva nella Santa Sede il teologo José María Castillo, fautore di una Chiesa ‘contemplattiva’ e la sua ‘teologia popolare’ è uno degli assi portanti della Chiesa-misericordia di papa Francesco. Quindi una Chiesa che accoglie tutti e non innalza muri tra gli uni e gli altri, come ha scritto ne ‘Un nuovo modello di prete’:

“Il nuovo modo di presentarsi in pubblico di papa Francesco, che tanto richiama l’attenzione della gente, ha un peso maggiore di quello che immaginiamo… Mi riferisco a qualcosa che è molto più rilevante dell’abito che si indossa. Parlo dello stile e del modo di relazionarsi con gli altri, con la gente in generale.

Non c’è dubbio che questo papa sia diverso. In molte cose, è come un uomo tra tanti, come uno qualsiasi. Almeno questa è l’impressione che produce in chi lo vede, lo ascolta o si rivolge a lui. Si è spogliato di tutti gli orpelli di cui ha potuto disfarsi. E si sforza di comportarsi come un uomo normale. Né più né meno. Ecco, è questo che mi sembra rappresenti un ‘nuovo modello di sacerdote’.

Perché? Nel porre questa domanda, affrontiamo una questione che, nel cristianesimo, ha un’importanza che forse non sospettiamo. Nella Lettera agli Ebrei, presentando Gesù come ‘sacerdote’, l’autore afferma che Cristo, ‘per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele’, dovette ‘rendersi in tutto simile ai fratelli’. E’ così, rispettando questa condizione, che divenne in grado di ‘espiare i peccati del popolo’.

Il verbo che utilizza il testo originale è ‘homoioô’ che esprime conformità, somiglianza totale. Cosa che ci riporta nientemeno che alla ‘kenosis’ di Dio in Gesù. Dio si spogliò di tutte le sue differenze. E così, fattosi ‘come uno tra tanti’, portò salvezza e speranza a un mondo pieno di disperazione”.

Secondo il teologo chi è chiamato al sacerdozio deve ‘sopprimere le differenze, le distanze, le onorificenze, gli atteggiamenti di superiorità’; ed è quello che papa Francesco sta attuando: “Papa Francesco, con la sua semplicità e modestia, sta dicendo alla Chiesa quello che ha già detto in uno dei suoi ultimi interventi: la responsabilità della frammentazione che vive la Chiesa è della Chiesa stessa…

E saremo ridotti a coltivare i limitati gruppi conservatori che ci restano. Già il card. Albert Vanhoye, il miglior conoscitore (cattolico) della Lettera agli Ebrei, ci ha fatto capire che l’originalità di questa lettera sta proprio nel fatto che interpreta il sacerdozio di Cristo, rispetto al tema che stiamo trattando, esattamente in modo contrario a come lo presenta l’Antico Testamento. La condizione per accedere al sommo sacerdozio, nell’antico Israele, era la separazione: a questa dignità potevano arrivare solo i leviti.

E, tra i leviti, era necessario appartenere alla famiglia di Aronne; di più, alla stirpe di Sadoq… Per questo a Gesù non servì separazione o onorificenza alcuna, ma il contrario: la sua vita fu una discesa inarrestabile, fino a terminare i suoi giorni come li terminavano gli ultimi di quella crudele società: disprezzato, umiliato, torturato e crocifisso tra malfattori. E così visse il suo sacerdozio.

Papa Francesco ha iniziato un nuovo cammino per i sacerdoti nella Chiesa. Chi cerca onorificenze, privilegi, distinzioni e cose del genere che le cerchi altrove. Perché in realtà non è stato papa Francesco, né san Francesco al quale egli si ispira, ma Dio stesso, in Gesù, ad aprire il cammino che sconcerta tutti noi”.

Ed in un altro contributo, ‘L’umanità di Dio’ Castillo ha mostrato che il centro del cristianesimo è Gesù, Figlio di Dio: “Il centro del cristianesimo non è Dio, ma Gesù. Mi riferisco al Gesù terreno, nato, vissuto e morto nella Palestina del I secolo. Quell’uomo è il centro del cristianesimo perché in lui Dio si è rivelato, si è fatto conoscere, ha comunicato e si è donato a noi.

Di modo che, in Gesù, Dio è entrato nella nostra immanenza e si è unito alla condizione umana. Il che significa che è nell’umano, e solo nell’umano, che possiamo incontrare Dio e relazionarci con Dio. Ciò che afferma la teologia cristiana, quando parla del mistero dell’incarnazione di Dio in Gesù, rappresenta, tra l’altro e fondamentalmente, l’avvenimento dell’umanizzazione di Dio, così come si è realizzato e si è vissuto in quell’essere umano che fu Gesù di Nazareth. Sono convinto che su questo la teologia cristiana non ha riflettuto sufficientemente, né ne ha tratto le dovute conseguenze”.

Da questa nuova prospettiva deriva un modo ‘altro’ di vivere la religione: “Secondo i vangeli, Gesù traccia il cammino della nostra umanizzazione perché il progetto di vita che ci ha lasciato consiste nel non voler mai dominare o sottomettere gli altri, ma nell’essere sempre con loro, specialmente con gli ultimi, con quanti stanno più in basso e sono per questo le vittime della storia…

Pertanto, se Dio lo incontriamo in ciò che è veramente umano, ciò vuol dire che lo incontriamo nella libertà umana, nell’amore umano, nel rispetto per gli altri, nella vicinanza a tutto ciò che c’è di autenticamente umano nella vita”.

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