MariaPia Veladiano: la Madonna è una donna corale

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“Sono una donna corale. Un’opera collettiva senza il nome degli autori segnato in fondo. Sono stata scritta da uomini e donne di ogni tempo. Mi hanno vista bambina, signora, gran dama, regina spaventata, incantata, sgomenta, solenne, vestita di perle e di sacco. Sono stata di tutti come l’aria che si respira, l’acqua che dà vita, l’abbraccio di cui si ha bisogno. Sarò di tutti ancora e per sempre, sono madre e non c’è fine al desiderio di essere figli”:

così è l’incipit del romanzo dedicato alla Madonna, ‘Lei’, scritto dalla scrittrice MariaPia Veladiano, preside in un istituto scolastico a Vicenza, che con il suo primo romanzo, ‘La vita accanto’ ha vinto il Premio Calvino ed è giunta seconda al Premio Strega. Nella sinossi di quest’ultimo romanzo dedicato alla Madre di Dio c’è un invito speciale alla lettura:

“E’ la storia umanissima di Maria, madre di Dio bambino, la stessa di ogni madre per cui il proprio bambino è Dio, vita che si consegna fragilissima e si promette eterna. Ma il figlio di Maria è troppo speciale perché la storia sia solo questa e infatti sarà altra, raccontata per generazioni in poesia, in pittura, in musica, nel vetro, nel ghiaccio immacolato, a punto croce, sulle volte delle cattedrali e sui selciati delle piazze. Qui parla Maria”.

Perché un romanzo raccontato da Maria?
“Perché di Maria si parla tantissimo, è oggetto di trattati, di devozione, soggetto di preghiere, ma i Vangeli la fanno parlare pochissimo. Sei volte interviene e una volta si tratta del Magnificat e si sa che non sono parole di un dialogo, è una preghiera successivamente elaborata e fatta pronunciare a Maria. Ma lei deve aver parlato tanto. Ha avuto un bambino, lo ha cresciuto. Quante parole gli avrà detto?

E quante di queste parole il figlio ha fatto sue e sono poi diventate parte del suo parlare e predicare? Nel romanzo Maria racconta i suoi pensieri di ragazzina che ha avuto un figlio inatteso e ha imparato a diventare madre di questo figlio particolare, imparando ad accogliere e accettare tutta la impensabile diversità di vita rispetto a quello che una madre dell’epoca e di ogni epoca poteva pensare e immaginare.

Ha imparato a lasciarlo andare e ad essere sempre con lui. Le ho dato delle parole. L’ho fatto da un punto di vista di profondissima empatia. Una donna giovane che impara insieme a suo figlio a costruire le loro vite”.

Cosa vuol dire per Maria essere una donna corale?
“Che la sua vita e la sua storia sono consegnate al mondo e il mondo le fa proprie e ciascuno può raccontare di lei a seconda del proprio incontro con lei. E’ come se tutta la sua bellezza potesse essere riconosciuta solo da tutte le narrazioni di chi l’ha incontrata.

Storie, dipinti, sculture, ricami, poesie. Sono le prime parole che dice nel romanzo: ‘Sono una donna corale, mi hanno raccontata in ogni modo’. E coralità vuole anche dire che a Maria bisogna restituire tutta la sua umanità.

Su di lei la teologia ha fatto un’operazione di sottrazione del corpo e del percorso umanissimo di ragazzina che diventa madre e deve imparare ad amare un figlio speciale. L’abbiamo portata in cielo subito ma lei ha attraversato la vita di ogni maternità, ogni genitorialità conosce la paura di non capire un figlio, la paura di perderlo perché di quel legame noi teniamo solo un capo, mentre dall’altro capo c’è la liberà di una persona che deve vivere la propria vita quale che sia.

La storia di Maria che segue Gesù quando parte, che si interroga su quel che va, che, nel romanzo lo dice, spera che la vita sua possa essere normale, abbastanza normale, tutto questo è esperienza comune e leggere e scoprire come anche lei ha dovuto imparare a essere vicina ma a lasciare andare, è importante”.

Cosa ha significato per Maria credere?
“Come per tutti noi, accogliere un incontro sorprendente, non capire tutto, a volte capire pochissimo, ma sapere che quell’incontro è per sempre, si sarà sempre accompagnati, anche quando il silenzio è troppo e la notte sembra senza resurrezione”.

Ad ottobre la Chiesa dedica un sinodo per i giovani: come raccontare ad essi la Madre di Dio?
“Ma direi che dovrebbero loro raccontarla. Facciamoci raccontare come la sentono, in quale modo vicina e in quale modo estranea. E poi credo che questo debba essere fatto senza in alcun modo voler ‘portare’ nessuno a credere a qualcosa di particolare. Il credere è così meravigliosamente personale e sorprendente.

E’ facile sentire vicina Maria se la si lascia essere quella che è stata: una giovanissima madre di un figlio che le ha dato tanti pensieri e che lei ha imparato ad accompagnare. Vicina, sempre vicina. In fondo quello che lei ancora oggi ci dice è qualcosa di cui abbiamo un bisogno estremo: non avere paura, non avere paura, non avere paura”.

(Tratto da Aci Stampa)

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