Azione cattolica: una parabola del laicato

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Quando nel 1868 scrisse il suo primo Statuto, la Società della Gioventù cattolica italiana indicò come suo primo scopo “di formare tutti gli individui che vi appartengono, ad uno spirito franco e coraggioso in professare e praticare pubblicamente la loro Cattolica Religione”.

Infatti l’Azione cattolica ha fornito all’Italia in significativi momenti della sua storia personalità politiche di grande rilievo che hanno decisamente contribuito alla edificazione della Repubblica, alla ricostruzione materiale e morale, allo sviluppo di una democrazia matura che va oggi rinvigorita vincendo il populismo dei demagoghi e restituendo al popolo quella sovranità responsabile in cui si esplicano scelte veritative, e non strumentali, per il bene comune.

Riflettiamo sulla storia d’Italia vissuta attraverso l’Azione Cattolica con il prof. Ernesto Preziosi, membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto per la Storia dell’Azione Cattolica e del Movimento Cattolico in Italia ‘Paolo VI’:

“Nel 1867 due giovani, Mario Fani di Viterbo e Giovanni Acquaderni di Bologna s’incontrano e lanciano un appello ai giovani cattolici italiani perché aderiscano a una Società della gioventù cattolica (SGC), utilizzando un diritto riconosciuto dal nuovo stato: la libertà d’associazione.

L’iniziativa è laicale: insieme stilano un programma e un regolamento e solo l’anno seguente, nel maggio 1868, Pio IX darà un’approvazione formale alla nuova associazione. L’impegno assunto dai due giovani e dai loro amici è quello di formare gli aderenti alla pubblica professione della fede con uno stile missionario, per ‘ravvivare con l’esempio nella gioventù e nel popolo il sentimento religioso’.

La proposta si diffonde e già pochi anni più tardi, nel 1874, si contano una settantina di circoli, diffusi soprattutto nel centro-nord della Penisola”.

E con il Concilio Vaticano II l’Azione Cattolica è chiamata a scoprire la vocazione laicale: “Con il Concilio Vaticano II per l’Azione cattolica si apre una fase di rinnovamento nel quadro delle tensioni sociali del tempo, a partire dalla contestazione giovanile. La crisi, il calo di adesioni, sono da inquadrare in un contesto di rapidissima trasformazione della società; molto incide anche il nuovo clima ecclesiale.

Il richiamo del Concilio Vaticano II alla riscoperta da parte dei laici della propria vocazione apostolica battesimale, fa credere a molti che non vi sia più la necessità di un’associazione: ‘A cosa serve l’Azione cattolica? Non siamo tutti laici per il battesimo?’.

Papa Paolo VI è convinto che l’Azione cattolica serva ancora e che il Concilio l’abbia in un certo senso, ‘canonizzata e inserita ormai nel disegno costituzionale e nel programma operativo della Chiesa’. Per questo papa Paolo VI investirà notevoli energie per accompagnarne il rinnovamento, considerandolo apporto fondamentale per il rinnovamento della Chiesa italiana”.

Altro anno importante è stato il 1968: cosa ha rappresentato per l’Azione Cattolica?
“Al rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II l’Azione cattolica risponde con un forte rinnovamento strutturale attraverso il nuovo Statuto del 1969, sotto la presidenza di Vittorio Bachelet. Se questo non frena il calo delle adesioni, che pone anche seri problemi organizzativi, il nuovo Statuto mette le basi per un rilancio.

Esso però deve fare i conti con la difficoltà a promuovere la nuova struttura e i movimenti d’ambiente, e a misurarsi con il proliferare dei gruppi spontanei e di nuovi movimenti religiosi. Il titolo della prima Assemblea della ‘nuova Azione cattolica’, nel 1970: ‘Nella scelta religiosa, il rinnovamento dell’associazione e l’attuazione del Concilio’ indica con chiarezza una nuova fase nella storia dell’associazione.

La stessa ‘scelta religiosa’ che l’Azione cattolica compie, in coerenza con la sua identità conciliare, non viene sempre capita né adeguatamente sussidiata con nuovi strumenti. Essa indica con chiarezza la nuova fase”.

Ed arriviamo al pontificato di papa Francesco, che ha tracciato un nuovo percorso per l’Azione Cattolica: quale?
“Alla luce del pontificato di papa Francesco, che ha ripreso con forza l’insegnamento conciliare, per l’Azione cattolica oggi si riapre una prospettiva, pur nel ridimensionamento dei numeri.

Gli scenari che si aprono nella Chiesa hanno il sapore della grande speranza che si accese con il concilio Vaticano II; essi consolano e interrogano insieme, chiedendo di ripartire sempre dalla centralità dell’annuncio del Vangelo. Le parole rivolte lo scorso 27 aprile da papa Francesco al Forum internazionale dell’Azione cattolica costituiscono un invito forte e coinvolgente a recuperare la spinta propulsiva che viene dalla storia, guardando avanti con ‘la decisione per lavorare per la costruzione del Regno’. La fisionomia dell’Azione cattolica è riportata al suo carisma originario: un impegno missionario per l’annuncio del Vangelo”.

Allora quanto è importante per l’Italia un’associazione che forma i cattolici?
“Se esaminiamo la storia d’Italia vediamo che un grande apporto è stato dato da un laicato formatosi alla scuola dell’Azione Cattolica. E non credo che sia stato solo per un fatto storico, ma anche per la particolarità del metodo formativo dell’associazione, che dalla sua nascita ha creduto in un aspetto importante per formare le coscienze: la responsabilità delle persone nel mondo alla luce del Vangelo. Questo senso di responsabilità è un grande contributo che l’Azione Cattolica ha dato non solo alla Chiesa, ma anche alla società italiana”.

Quindi ancora oggi è una palestra di democraticità?
“Sì è un’esperienza per decollare verso un nuovo cammino secondo l’incoraggiamento espresso da papa Francesco lo scorso anno, perché dice cose molto esperienziali, affermando l’importanza per il popolo di un’associazione che con quel metodo di responsabilità laicale, vissuto democraticamente, possa formare le persone a partecipare alla vita della società. Questo aspetto è un carisma dell’Azione Cattolica, che ricalca l’impegno missionario della Chiesa”.

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