La battaglia di Alfie contro il nuovo Erode

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La scia di morte e di indifferenza, tracciata da una magistratura miope e arroccata su pregiudizi, non sembra concludersi.

Dopo Charlie Gard e Isaiah Haastrup, sembra giunta l’ora di Alfie Evans, bimbo di quasi due anni, affetto da una non ben diagnosticata patologia degenerativa e ricoverato presso l’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool.

I giudici, in più gradi di giudizio, hanno confermato che il “best interest” di Alfie è concludere la sua esistenza, definita inutile, futile, priva di un senso.

Se pensiamo che, solo settant’anni fa, la Germania nazista aveva proceduto con Aktion T4 a sopprimere le vite indegne di essere vissute (ovvero diversamente abili), inorridiamo al fatto che la civilissima Inghilterra abbia adottato, in modo formalmente e giuridicamente più sofisticato, l’assunto hitleriano.

In questi tre casi, le famiglie dei piccoli hanno manifestato la propria opposizione, basandosi non tanto su una speranza di guarigione, ma sulla certezza che nessuno può arrogarsi il diritto di decidere della dignità della vita di un altro.

Dal concepimento fino alla morte naturale, la vita è sempre sacra e, nel caso di patologie a prognosi infausta, non potendosi ottenere la guarigione, è necessaria una terapia di accompagnamento.

Dietro un velo di pietà per la condizione patologica del piccolo e dietro una rilettura faziosa e strumentale dei concetti di accanimento terapeutico (che comprenderebbe anche i supporti vitali) e di “miglior interesse”, si cela la menzogna per cui un individuo possa sostituirsi al naturale corso degli eventi.

Purtroppo, l’idea dominante nel contesto europeo – consideriamo che la Corte di Strasburgo, investita delle questioni, ha sempre ritenuto corrette le statuizioni eutanasiche dei giudici inglesi – è quella di considerare l’uomo niente più che una macchina, da buttare quando non è funzionale.

L’uomo non è più considerato un essere relazionale, ma un essere relativo, il cui valore può agevolmente messo in confronto con altri (tra cui spicca il carico economico), più meritevoli di tutela.

Se questa tendenza è divenuta una costante supinamente accolta dal sistema, talvolta vi è, per fortuna, qualche scheggia, o meglio, qualche saggia persona che ci fa aprire gli occhi.

La nostra stima non può non andare alla famiglia Evans, come anche ai Gard e agli Haastrup: la loro battaglia si ferma nelle fredde aule di tribunale; anche se i loro sforzi sono stati vani (ma ancora confidiamo in un aiuto dall’Alto gli Evans), il martirio dei figli non è stato vano.

Anzi, in queste vicende, constatiamo che, nonostante le mosse di tanti nuovi Erode, la vittoria è sempre dell’Infinitamente Altro.

Se ancora oggi non ha vinto l’acquiescenza all’eutanasia, se ancora oggi possiamo parlare di dignità della Persona, se davanti all’Alder Hey Children’s Hospital si è riunita una pacifica assemblea di manifestanti, se le pagine dei nostri social si sono riempite di appelli, se il Santo Padre ha ricordato pubblicamente nella preghiera del Regina Coeli Alfie, la speranza c’è.

Forse non su questa terra, ma la speranza c’è…

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