Martin Luther King: il suo sogno non sia spento

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Mercoledì 4 aprile è stato ricordato il 50^ anniversario di Martin Luther King, ucciso a Memphis il 4 aprile 1968: una ricorrenza che cade in un contesto segnato da nuove preoccupazioni e tensioni legate al proprio rispetto dei diritti elementari degli immigrati e delle classi sociali più deboli.

L’importanza dell’anniversario, come detto, è stata sottolineata dall’episcopato cattolico con una dichiarazione a cura dell’Administrative Committee: “In questo giorno, riflettendo sulla sua vita e sul suo lavoro, dobbiamo chiederci se stiamo facendo tutto il possibile per costruire la cultura dell’amore, del rispetto e della pace a cui il Vangelo ci chiama. Cosa ci viene chiesto di fare per nell’interesse del nostro fratello o nostra sorella che soffre ancora sotto il peso del razzismo?”

Inoltre i vescovi statunitensi hanno ricordato la fedeltà al ‘principio della resistenza non violenta’: “King era andato a Memphis per sostenere i lavoratori dei servizi igienico-sanitari afro-americani sottopagati e sfruttati. Sentiva che Dio lo aveva chiamato alla solidarietà con i suoi fratelli e sorelle bisognosi.

Nel suo discorso finale della sera prima della sua morte, ha fatto esplicito riferimento alle numerose minacce contro di lui. Ma più importante per lui, disse, era il suo desiderio di fare semplicemente la volontà di Dio”.

In Italia l’anniversario è stato ricordato nel giorno di Pasqua in chiusura della trasmissione radiofonica Culto evangelico di Radio1 RAI delle 9.05 da Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope-Progetto rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche (FCEI):

“In 50 anni, quella di King è diventata un’icona popolare, una star nel firmamento culturale e politico degli Stati Uniti. E in effetti fondamentali conquiste democratiche e civili dell’America moderna si devono al movimento nonviolento guidato da Martin Luther King: il superamento della segregazione, il diritto al voto ai neri, l’integrazione delle minoranze in una società multietnica e interculturale, il concetto stesso di comunità riconciliata, bianche e neri insieme come si cantava nelle memorabili marce per la libertà.

Nel 1965 King aveva ottenuto il premio Nobel per la pace ed era probabilmente al picco della sua popolarità. Soltanto tre anni dopo, però, la sua denuncia della guerra in Vietnam e della connessione tra razzismo, militarismo e povertà ne avevano fatto un personaggio più controverso. Non è più il King di una volta, dicevano in molti, quello che sapeva parlare ai bianchi moderati e alla loro coscienza…

Ma come un profeta biblico che gridava verità sgradevoli, King fu ignorato, criticato, isolato. La chiave del suo omicidio è in questa progressiva solitudine e nell’avere scelto l’America dei poveri e degli ultimi. Cinquant’anni dopo, ci pare questo il King da ricordare: il leader e il predicatore che non si accontenta dei risultati raggiunti, e che continua a ammonire, predicare e lottare perché sa che la terra promessa della giustizia e della vera libertà è ancora lontana”.

In questa ricorrenza ha ancora una fondamentale importanza ricordarlo attraverso le parole del discorso che tenne il 28 agosto 1963 durante la marcia per il lavoro e la libertà davanti al Lincoln Memorial di Washington: “Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia. Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!

Io ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud. Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza”.

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