Ricordando Aldo Moro e Marco Biagi per un’Italia inclusiva

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A marzo il popolo italiano ha ricordato le tragiche morti di due uomini, che stavano tentando di cambiare l’Italia: Aldo Moro, rapito il 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse, con l’uccisione delle guardie del corpo; e Marco Biagi, assassinato a Bologna il 19 marzo 2001 dalle Nuove Brigate Rosse.

Però purtroppo la strada della memoria riesce ancora difficile, tantochè il capo della polizia, Franco Gabrielli, ha ribadito che: “riproporre ex terroristi in asettici studi televisivi come se stessero discettando della quinta essenza della verità rivelata credo sia un oltraggio per tutti noi e soprattutto per chi ha dato la vita e il sangue per questo Paese… Questi signori erano delinquenti due volte perché non solo uccidevano, rapinavano, privavano agli affetti i familiari, ma cercavano in una logica di morte di sovvertire le istituzioni democratiche del Paese”.

Ma quale visione aveva del mondo Aldo Moro? Egli stesso lo scrive nel 1977 sul ‘Giorno’: “Penso all’immensa trama di amore che unisce il mondo, ad esperienze religiose autentiche, a famiglie ordinate, a slanci generosi di giovani, a forme di operosa solidarietà con gli emarginati ed il Terzo Mondo, a comunità sociali, al commovente attaccamento di operai al loro lavoro. Gli esempi si potrebbero moltiplicare.

Basta guardare là dove troppo spesso non si guarda e interessarsi di quello che troppo spesso non interessa… Il bene, anche restando come sbiadito nello sfondo, è più consistente che non appaia, più consistente del male che lo contraddice. La vita si svolge in quanto il male risulta in effetti marginale e lascia intatta la straordinaria ricchezza dei valori di accettazione, di tolleranza, di senso del dovere, di dedizione, di simpatia, di solidarietà, di consenso che reggono il mondo, bilanciando vittoriosamente le spinte distruttive di ingiuste contestazioni”.

E nel Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana del 1968 parlava di una nuova comunità in cammino: “Non si tratta solo di essere più efficienti, ma anche più profondamente capaci di comprensione, più veramente partecipi, più impegnati a far cogliere in noi non solo un’azione più pronta, ma un impegno di tutta la vita, un’anima nuova che sia all’unisono con l’anima del mondo che cambia, per essere migliore e più giusto.

Il nostro dovere è oggi estremamente complesso e difficile. Perché siamo davvero ad una svolta della storia e sappiamo che le cose sono irreversibilmente cambiate, non saranno ormai più le stesse… Noi dobbiamo governare e cioè scegliere, graduare, garantire, ordinare, commisurare l’azione ai rischi che sono tuttora nella vita interna ed internazionale, ma sapendo che il mondo cambia per collocarsi ad un più alto livello.

Certo noi opereremo nei dati reali della situazione, difendendo, contro il disordine, la libertà, l’ordine e la pace. Ma dovremo farlo, e questo è il fatto nuovo e difficile della nostra condizione, con l’animo di chi, consapevole delle strette politiche e delle ragioni del realismo e della prudenza, crede profondamente che una nuova umanità è in cammino, accetta questa prospettiva, la vuole intensamente, è proteso a rendere possibile ed accelerare un nuovo ordine nel mondo”.

Mentre ricordando Marco Biagi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sottolineato il coraggio di chi aveva visto un futuro per l’Italia: “Sono trascorsi sedici anni dal crudele agguato in cui venne ucciso Marco Biagi e la ferita inferta dai terroristi assassini è ancora aperta nella nostra comunità civile.

In questa giornata desidero rinnovare la mia vicinanza e la mia solidarietà alla signora Marina Orlandi Biagi, ai familiari, agli amici, ai colleghi, a quanti hanno continuato in questi anni a sviluppare i temi della ricerca di Biagi, approfondendo e ampliando il confronto, cercando soluzioni positive alle domande poste dai mutamenti profondi del lavoro e dei mercati, tentando di tenere insieme le esigenze di competitività del sistema con i principi costituzionali di equità e di giustizia sociale.

Il terrorismo è stato sconfitto irrevocabilmente nella coscienza popolare, grazie all’unità del popolo italiano. Nel loro assalto all’ordinamento e alla convivenza civile, i terroristi hanno spezzato con disumanità tante vite e provocato immense sofferenze, ma non sono riusciti a disgregare la società e a colpire la Costituzione, che resta il fondamento della Repubblica.

Il coraggio di uomini come Marco Biagi, il quale non ha rinunciato ai propri convincimenti, né alla libertà di collaborare con le istituzioni, nonostante mani omicide avessero già barbaramente colpito altri docenti universitari, come Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli e Massimo D’Antona, testimonia la solidità dei sentimenti di democrazia e libertà nel nostro Paese, contro ogni sopraffazione”.

In effetti alcune settimane prima di essere ucciso Marco Biagi, presentando alla Cei il Libro bianco sul mercato del lavoro, affemò: “La questione è come si tutelano le persone; qual è il modo più efficace, quali sono le tecniche di regolamentazione giuridica che possono consentire una migliore…

Perché se io devo ammettere che la tutela, o come noi diciamo ipertutela, di alcuni si continui a tradurre nella sottotutela e nell’abbandono di tanti altri, in questo mercato del lavoro nero che continua a proliferare, allora mi consentirete di affermare: la mia etica mi impone di occuparmi di tutti, non solo di quelli che sono tutelati”.

Infine uno sguardo al ‘futuro presente’, chiedendo un ‘rafforzamento’ dei servizi pubblici: “Dal lavoro al mercato. Questa è una scelta che esiste nel Libro bianco, dal rapporto al mercato, come diciamo noi. Cioè la tutela del lavoro non avviene soltanto sul singolo posto di lavoro, e quindi nell’ambito del rapporto bilaterale datore-prestatore di lavoro, ma anche e soprattutto nel mercato.

Perché il lavoratore passa da un lavoro all’altro, perché la vita lavorativa è cambiata, perché i 30-35 anni nella stessa azienda non esistono più. Il lavoratore viene sempre più espulso; come facciamo a tutelare questo lavoratore che è sempre più sul mercato, cioè sulla strada, molte volte? Occorrono i servizi pubblici per l’impiego, però occorre che i privati facciano la loro parte, perché oggi quando i ragazzi vogliono trovare lavoro vanno nelle società di lavoro interinale; vogliamo?”

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